1 maggio 2021: poche verità a 74 anni dalla strage di Portella della Ginestra (S.V.)
Quel giorno circa duemila i lavoratori di Piana degli Albanesi, di San Giuseppe Jato, San Cipirello, e altri paesi vicini, quasi tutti contadini, erano tornati nel luogo originario della festa, a Portella della Ginestra, una località montana del comune di Piana degli Albanesi, nella vallata circoscritta dai monti Kumeta, Maja e Pelavet, a pochi km da Palermo, per manifestare contro il latifondismo, chiedere l’assegnazione delle terre incolte, secondo una legge dello stato, i decreti Gullo, e per festeggiare la recente vittoria del Blocco del Popolo. La strage venne organizzata dalla banda di Salvatore Giuliano, ma i mandanti non sono mai stati individuati. Il rapporto dei carabinieri sulla strage, compilato mesi dopo, faceva chiaramente riferimento a “elementi reazionari in combutta con i mafiosi”. Giuliano fu una pedina all’interno di una macchinazione molto più complessa di quello che egli stesso poteva immaginare, dietro cui stavano gli interessi dei grandi proprietari terrieri, della mafia e dei servizi segreti americani, preoccupati dall’avanzare del comunismo in Sicilia, assieme a parecchi esponenti fascisti che gli americani avevano inserito nei loro servizi come collaborazionisti.
Lo storico Giuseppe Casarrubbea , figlio di uno dei sindacalisti uccisi nel 1947 (Partinico 22 giugno), dopo un attento esame dei documenti americani desecretati dell’OSS e del CIC (sigle dei servizi segreti americani), è arrivato alla conclusione che a Portella della Ginestra spararono anche dei lanciagranate in dotazione alla Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, cooptata dai servizi segreti USA. I manifestanti si trovarono quindi sotto il tiro e la sorveglianza della banda Giuliano, dei mafiosi di San Giuseppe e Sancipirello e dei fascisti di Borghese. Le successive ricostruzioni hanno cercato di dimostrare, senza grandi risultati, che Giuliano avrebbe sparato per spaventare i dimostranti, ma che, poco più avanti a lui avrebbe sparato direttamente sui manifestanti Salvatore Ferreri, detto Fra Diavolo, uno dei componenti della banda, nella quale era stato infiltrato, assieme ai suoi uomini, da Ettore Messana, capo della polizia in Sicilia.
Al processo di Viterbo il bandito Pisciotta, dichiarò di avere ucciso successivamente Salvatore Giuliano e fece i nomi dei deputati monarchici Giovanni Alliata Di Montereale, Tommaso Leone Marchesano, Giacomo Cusumano Geloso , e quelli dei democristiani Bernardo Mattarella e Mario Scelba, accusandoli di essersi incontrati con il bandito Giuliano per pianificare la strage, ma tuttavia la Corte dichiarò infondate tali accuse di Pisciotta poiché il bandito aveva fornito nove diverse versioni sui mandanti politici della strage. Ancora oggi un velo di mistero grava su quella che Casarrubbea ha definito “una strage di stato”, la prima di una serie infinita di altre stragi che da allora in poi hanno segnato la storia della Repubblica Italiana. Come scrive Carlo Ruta “ Nel pianoro di Portella venne forgiato infatti un peculiare concetto della politica che giunge in sostanza sino a noi.»
Malgrado il governo Renzi avesse annunciato, tre anni fa, la desecretazione delle carte riguardanti la strage di Portella della Ginestra, ancora oggi, dopo 74 anni gran parte di quei documenti sono inaccessibili, non sono indicizzati, sono in un formato che ne rende difficilissima la consultazione e difficilmente, da come vanno le cose in Italia, si può pensare che possa succedere la desecretazione già invece avvenuta negli Stati Uniti e in Inghilterra. I documenti, gran parte dei quali acquisiti da personali ricerche, da Giuseppe Casarrubbea e facenti parte del suo archivio, che Partinico non ha saputo conservare, hanno consentito la ricostruzione di frammenti di verità e incredibili intrecci fra fascisti, nuovi poteri politici, potenze straniere, addirittura il Vaticano, la mafia italiana e quella italo-americana intorno a una tragedia che il nostro storico ha definito “la prima strage di stato della nuova Repubblica appena nata. Un ulteriore contributo è stato dato da Pietro Orsatti nel 2017 con il libro “Il Bandito della Guerra Fredda”. L’obiettivo, in gran parte pilotato dai servizi segreti americani, e dal generale americano Angleton, era quello di condurre una strategia di destabilizzazione per rovesciare la neonata Repubblica, nata dal referendum e instaurare un governo autoritario, come già successo in Grecia nell’agosto del ’47 . E la banda Giuliano, a quanto pare, era uno degli snodi determinanti di tutta l’operazione. E intorno un fronte anticomunista clandestino composto da ex uomini della Decima Mas, dall’Unione patriottica anticomunista costituita da carabinieri del Servizio informazioni militare, l’ex Gruppo Franchi del capo partigiano Edgardo Sogno, monarchico e liberale, e i gruppi espressione del neo fascismo dell’epoca: le Squadre armate Mussolini (Sam), l’Esercito clandestino anticomunista (Eca) e i Fasci di azione rivoluzionaria (Far). Tutto questo attorno agli uomini della banda Giuliano, che, secondo il controspionaggio italiano e inglese erano «da ritenersi a completa disposizione delle Formazioni Nere». In un rapporto del Sis si legge: «A Venezia, Milano e nella Calabria ferve il lavoro delle Sam, le quali sono sovvenzionate da Giuliano e il suo aiutante è lo Scugnizzo»: lo Scugnizzo non è altro che Salvatore Ferreri, detto Fra’ Diavolo, uno dei futuri protagonisti della strage di Portella della Ginestra del primo maggio 1947. Insomma, il cerchio era chiuso attorno alla Sicilia, e continuò a stringersi con la morte di Antonio Canepa, leader della sinistra del movimento indipendentista, con gli 11 morti e i 40 feriti di Portella e con la strage di decine di manifestanti, uccisi in tutta Italia. Il 22 giugno furono assaltate le sezioni comuniste di Partinico, Carini, Borgetto, San Giuseppe Jato, Monreale e Cinisi: nove morti e decine di feriti. Furono uccisi quaranta sindacalisti e capilega. Nell’azione si distinse in particolare il gruppo di Fra’ Diavolo, la cui morte, seguita da quella di Giuliano e di Pisciotta, finirà col chiudere la bocca a coloro che avrebbero potuto parlare troppo. Queste sono le undici vittime, così come riportate dalla pietra incisa posta sul luogo del massacro: Margherita Clesceri (47 anni), Giorgio Cusenza (42 anni), Giovanni Megna (18 anni), Francesco Vicari (23 anni), Vito Allotta (19 anni), Serafino Lascari (14 anni), Filippo Di Salvo (48 anni), Giuseppe Di Maggio (12 anni), Castrense Intravaia (29 anni), Giovanni Grifò (12 anni), Vincenzina La Fata (8 anni). Su quel pianoro è rimasto, soffocato nel sangue, il sogno dei Siciliani di potere vivere in una Sicilia migliore.