25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
L’uccisione di una donna da parte di un uomo è la chiara dimostrazione del fallimento di quest’uomo.
Appunti di Dina Provenzano
Il femminicidio, come cita il Devoto-Oli è “Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.
La giornata internazionale contro la violenza sulle donne è stata istituita dall’Onu nel 1999, in ricordo delle tre sorelle Mirabal, deportate, violentate e uccise il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana. Da alcuni anni a questa giornata si associa il colore rosso utilizzato dall’artista messicana Elina Chauvet nella sua installazione “Scarpette rosse” apparsa per la prima volta davanti al consolato messicano di El Paso in Texas: centinaia di scarpe rosse abbandonate in una piazza per ricordare le centinaia di donne uccise. Era il 22 agosto 2009 quando, proprio per ricordare le donne vittime di violenza, l’artista messicana Elina Chauvet posizionò in una piazza della città 33 paia di scarpe femminili, tutte rosse. Da allora il rosso è il colore simbolo di questa giornata.
Panchina rossa – La panchina rossa, colore del sangue, è il simbolo del posto occupato da una donna che non c’è più, portata via dalla violenza.
Fiocco bianco Questo semplice nastrino bianco ha in sé un significato di grande importanza: esso riassume l’impegno che gli uomini hanno deciso di portare avanti in prima persona, per dire no alla violenza sulle donne.
Si parte dai numeri: 600 milioni di donne è vittima di violenze nel mondo. Una popolazione maggiore di quella di tutta l’Europa. Dietro ai freddi dati ci sono persone, vite, drammi. E morti: sono già più di 100 dall’inizio dell’anno le donne vittime di femminicidio in Italia. Il termine femminicidio si riferisce a tutti quei casi di omicidio in cui una donna viene uccisa da un uomo per motivi relativi alla sua identità di genere (a volte questo genere di violenza è compiuto da persone che hanno legami strettamente sentimentali con la vittima come mariti o fidanzati, ma vengono compiuti anche da padri verso figlie, o addirittura da figli verso le madri) cioè di regola in relazione al fatto che la medesima è o è stata la moglie o in relazione sentimentale con l’autore del delitto, ovvero il medesimo autore presumeva che la vittima dovesse iniziare o continuare la relazione sentimentale o sessuale. . Il 70% circa delle donne è stata ucciso da uomini con cui le donne avevano o avevano avuto una relazione sentimentale (mariti, compagni, ex mariti, ex compagni etc.); la maggior parte degli omicidi vengono compiuti nella casa della coppia, della vittima o dell’autore, circa 80% delle donne sono italiane, come anche gli autori sono italiani.
Negli ultimi anni è nata una certa attenzione soprattutto nei mass-media con trasmissioni televisive come Amore criminale si è potuto notare l’impegno di giornalisti come Riccardo Iacona, è nato uno spettacolo teatrale sull’omicidio di donne Ferite a morte, di Serena Dandini. Associazioni in soccorso di donne che hanno subito abusi e violenza, Centri antiviolenza sono in continua crescita.
Caso Lucia Annibali 16 aprile 2015: lo scopo è quello prevenire atti di violenza, proteggere le vittime e perseguire gli aggressori, oltre che riconoscere una volta per tutte la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani. È composta da 81 punti alcuni dei quali riguardano anche la protezione dei bambini testimoni di violenza domestica, la penalizzazione dei matrimoni forzati, dello stalking, dello stupro, delle molestie sessuali, delle mutilazioni genitali femminili, dell’aborto e della sterilizzazione forzata. La convenzione dispone inoltre che tali reati debbano essere perseguiti anche senza la denuncia da parte della vittima. Se la denuncia c’è e poi viene ritirata e le accuse ritratte, lo Stato deve prevedere che il processo possa continuare. Tuttavia perché la Convenzione sia effettivamente vincolante è necessario che gli Stati firmatari varino una legge d’attuazione che possa coprire finanziariamente e concretamente gli interventi di prevenzione e di sostegno.
In Italia, sino a pochi decenni fa, la commissione di un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l’onore (ad esempio l’uccisione della coniuge adultera o dell’amante di questa o di entrambi) il cosiddetto “delitto d’onore” era sanzionata con pene attenuate rispetto all’analogo delitto di diverso movente, poiché si riconosceva che l’offesa all’onore arrecata da una condotta “disonorevole” valeva di gravissima provocazione, e la riparazione dell’onore non causava riprovazione sociale
L’art. 587 del codice penale consentiva quindi che fosse ridotta la pena per chi uccidesse la moglie (o il marito, nel caso ad esser tradita fosse stata la donna), la figlia o la sorella al fine di difendere “l’onore suo o della famiglia
Va detto che contemporaneamente vigeva l’istituto del “matrimonio riparatore“, che prevedeva l’estinzione del reato di violenza carnale nel caso che lo stupratore di una minorenne accondiscendesse a sposarla, salvando l’onore della famiglia.
Franca Viola :
Nel Dicembre del 1965 ad Alcamo una ragazza di 17 anni viene rapita, violentata e sequestrata per alcuni giorni. La ragazza si chiama Franca Viola, il rapitore è uno spasimante respinto, Filippo Melodia, di famiglia mafiosa. Una storia come tante che sarebbe finita con le nozze riparatrici. Ma Franca non vuole sposare il suo rapitore. La notizia vola su tutti i giornali e la ragazza siciliana diventa un simbolo vivente di un mutamento culturale, in un periodo in cui il codice penale prevedeva che il reato di violenza sessuale, considerato un reato contro la moralità pubblica e non contro la persona venisse estinto con il matrimonio tra la vittima e il colpevole. Franca si è poi sposata con l’uomo che amava. Il giorno delle nozze ha ricevuto un regalo dal presidente della repubblica Giuseppe Saragat e successivamente lei e il marito sono stati ricevuti in udienza privata da Paolo VI. Filippo Melodia è stato condannato a 11 anni di carcere e nel 1978 è stato ucciso per conflitti interni alla mafia di Alcamo. Franca ha avuto 3 figli ed è nonna. Dalla sua storia è stato fatto un film diretto dal regista Damiano Damiani “La moglie più bella” con protagonista l’attrice Ornella Muti.
Dopo il referendum sul divorzio (1974), dopo la riforma del diritto di famiglia (legge 151/1975), e dopo il referendum sull’aborto, le disposizioni sul delitto d’onore sono state abrogate con la legge n. 442 del 5 agosto 1981.
“Ferite a morte” di Serena Dandini (spettacolo teatrale)
“Io ci sono: la storia di non amore” di Lucia Annibali
“Se questi sono gli uomini” di Riccardo Iacona
“Quello che resta” di Serena Maiorana
«Malgrado i risultati ottenuti, ancora nel 2005, una donna violentata “avrà avuto le sue colpe”, “se l’è cercata” oppure non può appellarsi a nessun diritto perché legata da vincolo matrimoniale al suo carnefice. Inoltre, la società fa passare pubblicità sessiste o che incitano allo stupro; pornografie e immagini che banalizzano le violenze alle donne…». A rileggere queste righe vengono i brividi. Vengono perché chi le ha scritte, è stata una giovane donna di nome Stefania Noce, che in quel momento non poteva immaginare che, a sua volta, sarebbe stata vittima di violenza, sarebbe stata uccisa dall’uomo che avrebbe dovuto proteggerla e amarla, il suo compagno. Quando scriveva queste righe – che lei stessa dedicò a «quelle donne che non hanno ancora smesso di lottare. Per chi crede che c’è ancora altro da cambiare, che le conquiste non siano ancora sufficienti, ma le dedico soprattutto a chi NON ci crede. A quelle che si sono arrese e a quelle convinte di potersi accontentare» non poteva prevedere il suo destino, e neanche che la sua battaglia in difesa dei diritti delle donne avrebbe dato qualche frutto solo dopo la sua morte, attraverso la sua morte. Infatti, alla fine del processo di primo grado per il suo omicidio un giudice per la prima volta ha sancito l’esistenza del reato di femminicidio, riconoscendo i meccanismi che portano a questo tipo di delitto. Ma che cosa accadde a Stefania Noce? «Stefania aveva 24 anni, studiava Lettere e filosofia all’Università di Catania, era appassionata di letteratura, attualità e politica. Era una femminista convinta Ma la mattina del 27 dicembre 2011 è stata uccisa a coltellate dall’ex fidanzato, Loris Gagliano, con il quale si era lasciata dopo una relazione di circa quattro anni. Loris Gagliano, il 5 aprile 2013, è stato condannato in primo grado all’ergastolo». Una sentenza storica per il nostro Paese, nella quale finalmente, per la prima volta, si riconoscono le dinamiche che conducono al femminicidio, dinamiche che integrano l’aggravante della premeditazione, escludendo il raptus.”: è la prima volta che accade in Italia.
Roberta Riina
Il 18 ottobre 2005 nella sua stanzetta al primo piano di un’abitazione di via Marsala a Partinico, veniva uccisa Roberta Riina studentessa di 24 anni che sognava di diventare una giornalista. L’assassino Emilio Zanini, un vagabondo affetto da disturbi psichici fu identificato mesi dopo, aveva tentato di stuprare una donna partinicese che però era riuscita a metterlo in fuga. Zanini sta scontando una condanna a 22 anni di reclusione. Roberta da 18 anni non c’è più, è sempre vivo il dolore nei suoi familiari.
Il problema principale che caratterizza l’inadeguatezza delle risposte istituzionali alla violenza maschile sulle donne in Italia, è rappresentato dal mancato riconoscimento da parte delle Istituzioni della persistente esistenza di pregiudizi di genere, e dell’influenza che questi esercitano sull’adeguatezza delle risposte istituzionali in materia. C’è infatti una vera e propria tendenza alla rimozione, del fatto che fino a ieri il sistema giuridico italiano era profondamente patriarcale: chi ricorda la data della riforma del diritto di famiglia, che ha abolito la potestà maritale? E le riforme del codice penale che abolito l’attenuante – per gli uomini – del delitto d’onore e hanno spostato la violenza sessuale da reato contro la morale a reato contro la persona? Il fatto è che quella stessa mentalità ancora oggi è profondamente radicata nel pensiero degli operatori del diritto e, in assenza di formazione professionale sul riconoscimento della specificità della violenza maschile sulle donne e delle forme in cui si manifesta e degli indicatori di rischio che espongono la donna alla ri-vittimizzazione, spesso si risolve in sentenze dalle motivazioni anche palesemente sessiste ovvero nella mancata ricezione di denunce-querele ovvero nella mancata adozione di misure cautelari a protezione della donna, il tutto descritto dalle Nazioni Unite come il persistere di atteggiamenti socio-culturali che condonano la violenza di genere. La percezione di inadeguatezza della protezione da parte delle sopravvissute al femminicidio in Italia risponde a un problema reale, confermato dai dati ormai noti: 7 donne su 10 avevano già chiesto aiuto prima di essere uccise, attraverso una o più chiamate in emergenza, denunce, prese in carico da parte dei servizi sociali. Allora occorre anche da parte degli operatori del diritto sollecitare i soggetti istituzionali preposti al corretto adempimento delle obbligazioni internazionali in materia di prevenzione e contrasto al femminicidio. In particolare sul fronte della prevenzione, con la predisposizione di sistemi di efficace e uniforme raccolta dei dati sulla vittimizzazione e sulla risposta del sistema giudiziario (con dati pubblici, disponibili online e costantemente aggiornati); e la formazione di genere per tutti gli operatori del diritto.
Il femminicidio e la violenza di genere sono problemi globali
Mahsa Amin è morta in Iran il 16 settembre 2022 dopo 3 giorni di coma e dopo essere stata picchiata dalla polizia “morale” iraniana ….La sua “colpa” ? Non avere indossato correttamente il velo e avere lasciato vedere i suoi capelli!!!!
Saman Abbas era una ragazzina pakistana di 18 anni. Scomparsa il 1° maggio 2022 è stata uccisa dai suoi parenti perché rifiutava un matrimonio imposto dai suoi genitori e perché non voleva vivere secondo le regole della cultura pakistana
Malala
Attivista pakistana per i diritti civili che sin da ragazzina ha denunciato pubblicamente gli abusi dei talebani. «Un bambino, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo»: questo inno alla forza dell’istruzione è il motto di Malala Yousafzai, la ragazza pakistana impegnata per l’affermazione dei diritti civili e per il diritto all’istruzione, che nel 2014 ha ricevuto il Premio Nobel per la pace .
Il 9 ottobre 2012 un ufficiale intima lo stop all’autista del bus che la porta a scuola per un banale controllo, nel frattempo un uomo armato sale dalla parte delle ragazze chiedendo chi sia Malala: nessuna risponde ma le bambine più piccole si girano istintivamente e guardarla e l’uomo spara più volte. Due sue amiche e compagne vengono ferite mentre l’ultimo sparo raggiunge Malala alla testa. All’ospedale di Peshawar le sue condizioni appaiono subito gravissime e il premier pakistano la fa portare con un elicottero all’ospedale di Birmingham in Gran Bretagna. Il leader dei talebani rivendica l’attentato motivando il tentato omicidio di una ragazzina come “necessario per eliminare un simbolo di infedeltà e oscenità”.
Malala sopravvive: devono ricostruirle la parte sinistra del cranio con una placca di titanio e impiantarle una protesi acustica per permetterle di recuperare l’udito all’orecchio sinistro. Ci vogliono mesi, durante i quali è spesso incosciente ma viene raggiunta in Gran Bretagna dalla famiglia e da migliaia di lettere e disegni di auguri e incoraggiamento da ogni parte del mondo.
Il femminicidio mafioso
Molte donne siciliane sono state per troppi anni relegate all’unico ruolo di mogli fedeli e sottomesse agli uomini di famiglia (padre, fratello, marito, figlio).
Per troppi anni esse sono rimaste in complice silenzio, inesistenti nell’impegno politico e sociale, rispettose dei misfatti e dei crimini compiuti dalla mafia, spesso trasmettitrici dei disvalori della cultura mafiosa.
Ma tante siciliane hanno messo in discussione questi luoghi comuni. Sono donne che con il loro orgoglio, con il loro sacrificio, con il loro impegno, con la loro ostinata voglia di cambiare, hanno sfatato l’immagine stereotipata della donna siciliana e con tenacia continuano a farlo.
Una volta si diceva: «Tranquilli, la mafia non tocca le donne e i bambini.» Ma è solo una leggenda metropolitana dato che la lista delle donne che sono state brutalmente uccise da Cosa Nostra è infinita. Donne interne all’universo mafioso ma anche donne sfortunate che si sono trovate nel luogo sbagliato al momento sbagliato: Graziella Campagna, Rita Atria, Lia Pipitone, Lea Garofalo ecc.
I mafiosi uccidono le donne quando vengono contraddetti, per gelosia, per paura di essere scaricati…Un pensiero inammissibile per un mafioso…Un vero e proprio disonore! L’onore offeso, un mafioso, lo lava col sangue!
Palmina Martinelli, uccisa nel 1981, era una ragazza di 14 anni, si innamora follemente di Giovanni Costantino, un giovane di 19 anni, che insieme al fratello è già stato in carcere, accusato di avere avviato delle ragazzine alla prostituzione. Palmina si rifiuta di prostituirsi e i due fratelli, certi dell’assenza del resto della famiglia, irrompono in casa sua, la cospargono di alcool e le danno fuoco. La ragazzina tenta di spegnere le fiamme entrando sotto la doccia ma non c’è l’acqua, è stata chiusa dai suo carnefici!
Era l’11 novembre del 1981, il 2 dicembre, Palmina muore ma prima di morire con un filo di voce accusa i suoi assassini.
Non è creduta e viene avvalorata l’ipotesi del suicidio, sostenuta da una lettera da lei scritta «sicuramente» sotto minaccia. La magistratura assolve così i suoi loschi e feroci assassini!!!!
Lia Pipitone (1983)
Lia Pipitone, figlia di Giuseppe Pipitone, capo del potentissimo clan del quartiere Acqua Santa di Palermo, non vuole essere figlia di un mafioso e rivendica una vita normale e libera. Il suo carattere forte si scontra con il clima patriarcale che si respira nella sua famiglia: dopo aver scoperto di essere figlia di un mafioso si ribella al padre autoritario e repressivo, lascia il contesto familiare e si sposa appena diciottenne. Tenta così di vivere la sua vita in maniera libera e indipendente.
Il padre, per punirla, decide di farla ammazzare. Il 29 settembre 1983, due falsi rapinatori uccidono Lia Pipitone all’interno di un negozio. La sua colpa? Avere disonorato suo padre e tutta la sua cosca. La storia di Lia Pipitone è stata raccontata dal giornalista Salvo Palazzolo e dal figlio nel suo libro «Se muoio Sopravvivimi».
Lea Garofalo (2009)
Lea Garofalo aveva 35 anni, i capelli neri, gli occhi vispi e impauriti. Era nata a Petilia Policastro, nel crotonese, terra di ‘ndrine in guerra per il controllo del territorio e del traffico di droga. Voleva una vita migliore per sua figlia Denise. L’unica cosa possibile è scappare via dalla ‘Ndrangheta che conosceva sin da piccolissima. Lontano dalle sue logiche, dai suoi codici e dai suoi progetti. Sì, aveva denunciato, ma, nessuna delle sue dichiarazioni era diventata oggetto di inchiesta. Lei aveva fatto i nomi. Li aveva denunciati tutti. Si era staccata da loro, aveva tradito, rotto il silenzio. Aveva deciso di raccontare tutto ai magistrati, ma, non sopportava di essere additata come pentita. Pentita di che?
Rivendicava i suo non aver commesso alcun reato. Rischiava tanto, sapeva benissimo che la ‘Ndrangheta non perdona. Lea è scomparsa, il 24 novembre 2009, a Milano. Erano state insieme tutto il giorno, mamma e figlia. Poche ore dopo la scomparsa Carlo Cosco e i suoi fratelli, padre e zii di Denise vanno a prendere la ragazza ed iniziano le ricerche. A distanza di quasi quattro anni dall’uccisione di Lea le dichiarazioni del pentito Carmine Venturino, ex fidanzato di Denise, hanno permesso, la scorsa estate, di ritrovare in un tombino i pochi resti della donna. Non l’hanno sciolta nell’acido. L’hanno massacrata, fatta a pezzi e bruciata.
Annunziata Pesce (1981)
Innamorarsi dell’uomo sbagliato, trasgredire, per le donne dei clan significa andare in contro a morte sicura, su questo tema i codici sono durissimi, perché l’uomo del clan, delle cosche, delle famiglie, non può essere messo alla berlina, deriso, sbeffeggiato. Anche Annunziata Pesce, nipote del boss calabrese Giuseppe, il 20 marzo dell’81 viene ammazzata dal cugino davanti al fratello più grande, come vuole il codice delle ‘ndrine. Aveva tradito il marito in carcere con un carabiniere. Doppio disonore!
L’elenco delle vittime di sesso femminile all’interno delle organizzazioni criminali è lunghissimo. Quelle che «sfidano» le regole dell’organizzazione sono donne coraggiose ma, fare l’apologia della figura femminile all’interno delle mafie non rientra nei nostri ragionamenti, non ci interessa; i fatti dimostrano che le donne nel corso degli anni hanno conquistato terreno e potere all’interno dell’universo mafioso. Oggi le donne dei clan, delle famiglie, delle cosche, le ritroviamo a dirigere al posto dei loro cari quando si verifica un vuoto di potere. Donne che comandano e ordinano di uccidere. Donne solo nelle fattezze perché il loro agire va esattamente nella direzione opposta.
Nota: Questi appunti sono parte di un lavoro scolastico condotto negli anni in cui ho insegnato Lingua e Letteratura inglese, senza sottrarmi all’impegno educativo e alla presa di coscienza dei problemi più gravi del nostro tempo, anche nel contesto della mia materia. Naturalmente l’elenco va annualmente aggiornato dalla catena di donne vittime della violenza da parte di assassini che non riescono ad accettare il loro fallimento.