6 agosto: Trentuno anni fa l’omicidio di Ninni Cassarà
In un’intervista rilasciata ad Adnkronos il 05/08/2015 , Così l’ex vicequestore della Polizia scientifica Margherita Pluchino, che negli anni Ottanta lavorava nella sezione investigativa della Squadra mobile di Palermo guidata da Ninni Cassarà, ricorda – il commissario ucciso dalla mafia trentuno fa, il 6 agosto 1985: “In quegli anni non c’erano supporti tecnici d’aiuto alle indagini contro la mafia: il vero computer era la testa di Ninni Cassarà. La sua intelligenza investigativa era fuori dall’ordinario. Era davvero un ‘eccezionale poliziotto’, come fu definito dall’ex procuratore antimafia Piero Grasso”..
Ninni Cassarà fu ucciso sotto casa, in viale Croce Rossa a Palermo, da un commando composto da otto killers che spararono 200 colpi di kalashnikov, assime all’agente Roberto Antiochia, 23 anni, rientrato dalle ferie per stare vicino al suo capo. Aveva 38 anni. Morì sulle scale del palazzo tra le braccia della moglie Laura. “Cassarà sognava una Palermo libera dalla criminalità e dalla mafia: ce l’ha messa tutta, ma ci ha lasciato la pelle”, racconta Margherita Pluchino. Era capace di coinvolgere tutto il personale, dava fiducia a tutti e la sua squadra funzionava alla perfezione: ognuno si sentiva responsabile del compito che gli veniva affidato. Aveva una grande capacità organizzativa. Lavorava senza orari ed era capace di scendere in piazza per i suoi uomini in qualunque momento, supportandoli. Non scaricava mai nessuna responsabilità assumendosele in prima persona e questo per noi che lavoravamo con lui era tanto”.
Nella foto:Ninni Cassarà, Giovanni Falcone, Rocco Chinnici
Dopo l’assassinio del commissario Beppe Montana, ucciso dalla mafia il 28 luglio del 1985, ci fu un’accelerazione degli accadimenti. “Ero rientrata dalle ferie di corsa a Palermo – ricorda Pluchino -. C’era l’inferno in quei giorni. Cassarà viveva in un isolamento totale”, abbandonato anche da “funzionari e colleghi”. Solo questione di tempo poi l’agguato che lasciò una scia di sangue in viale Croce Rossa a Palermo. “Senza il suo lavoro sfociato nel famoso rapporto dei 161+1, che rivelò la struttura dei mandamenti mafiosi, non ci sarebbero state tutte le indagini successive che portarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a istruire il maxiprocesso contro Cosa Nostra – dice ancora Pluchino -. Quel rapporto fu una base (e un metodo) indispensabile e insostituibile per le investigazioni che inchiodarono oltre 400 persone per reati di mafia”. Da non dimenticare “l’intuizione che ebbe con le indagini che seguivano la ‘via di soldi’ inaugurata proprio con l’amico e collega Falcone”.
Il 17 febbraio 1995, la terza sezione della Corte d’Assise di Palermo ha condannato all’ergastolo cinque componenti della Cupola mafiosa (Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Bernardo Brusca e Francesco Madonia) come mandanti del delitto, ma possiamo tranquillamente dire che i mandanti non sono stati soltanto questi. I veri motivi dell’omicidio di Cassarà non sono mai venuti fuori e ci troviamo senza dubbio davanti a una di quelle tante pagine oscure su cui non avremo mai risposta. Di sicuro Cassarà, così come Beppe Montana, ucciso alcuni giorni prima, aveva toccato qualche nervo scoperto, qualcuno dei tanti lati oscuri dentro i quali uomini della mafia e uomini dello stato attraversano un percorso comune. La sua agenda, piena di preziosi appunti, così come quella di Borsellino, non è mai stata ritrovata. Esiste invece una medaglia d’oro al valor civile, che gli è stata attribuita nel 1985 con questa motivazione: «Con la piena consapevolezza dei pericoli cui si esponeva, nella lotta contro la feroce organizzazione mafiosa, ispirava, conduceva e sviluppava in prima persona e con eccezionale capacità investigativa una serie di delicate operazioni di polizia giudiziaria che portavano all’identificazione e all’arresto di numerosi fuorilegge. In un proditorio agguato teso davanti alla propria abitazione, veniva colpito da assassini armati di fucili mitragliatori, trovando tragica morte. Alto esempio di attaccamento al dovere spinto fino all’estremo sacrificio della vita.».
Ed esiste anche a Partinico, la cittadina di cui egli era originario, una scuola media a lui intestata.
Nella foto in basso Ninni Cassarà e Roberto Antiochia