Quale  antimafia?  (Salvo Vitale)

 



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1 Una condanna prestabilita

Le vicende di Pino Maniaci suggeriscono alcune riflessioni

Partiamo dalle azioni della Procura e dei carabinieri di Partinico: un’operazione che doveva  essere quella dell’arresto di nove mafiosi di Borgetto e nella quale è stato “infilato”. ad arte,  anche Maniaci L’obiettivo era chiaro: assimilare Maniaci con i mafiosi, metterlo assieme con quelli che sono stati bersaglio delle sue denunce, fare di tutta l’erba un fascio, cioè suggerire l’idea che l’antimafia di Maniaci non serve come strumento di lotta alla mafia, ma che non c’è nessuna differenza tra il mafioso e Maniaci, tra Nicolò Salto, Giambrone e chi li chiama invece Pezzi di Merda. Insomma, nessuna differenza tra Maniaci che chiede il “pizzo” più IVA al sindaco di Borgetto, il quale si mette in bella vista sotto l’occhio della telecamera mentre conta i soldi, e chi taglieggia tutti i titolari degli esercizi commerciali della zona senza comunque rilasciare fatture.Maniaci con loro è come loro. Anzi, a giudicare dal numero di pagine dedicate nell’ordinanza a Maniaci (circa 300) e quello dedicato ai nove  mafiosi (circa 200), sembra che le vicende di Maniaci interessino chi ha commissionato le intercettazioni più di quelle dei mafiosi borgettani. Per non parlare delle modalità: alle tre di notte si presentano due capitani a casa di Maniaci per intimargli “lo sfratto”, cioè il divieto di soggiorno. Perchè tale divieto a tale orario? C’è una tale pericolosità nel soggetto, da richiederne l’esilio immediato? No, ma l’imputato così si puiò rendere conto di essere accusato di un grave crimine, e poi  si tratta di una  misura preventiva che può essere assunta, a parte il carcere, senza bisogno di processo. In realtà è una misura “d’immagine”: mostrare che comunque un provvedimento è stato preso perchè ci sono saldi elementi criminosi per giustificarlo. Tutto è poi associato al video distribuito a tutte le emittenti, otto minuti che condensano quasi due anni d’intercettazioni, con  un preciso obiettivo : mostrare a tutta Italia, prima dell’inizio di qualsiasi procedimento, che Maniaci chiede soldi, cioè estorce, che dice che Renzi è stronzo, che il premio che gli hanno regalato è un “premio del cazzo”, che ha l’amante e che interviene in suo favore presso il sindaco di Partinico obbligandolo a darle un lavoro, una carrozzella per la figlia malata, un sussidio. Anche qua salta tutto, ovvero viene fuori che, con i rapporti personali, tipo raccomandazione, si può ottenere tutto in barba a ciò che prescrive la legge. Altro che legalità! Ci troviamo davanti a un soggetto che, usando lo spettro del suo microfono e della sua telecamera, crede di poter fare tutto e di fottersene persino di quella stessa antimafia che egli dice di praticare. Si tratta, a un’attenta lettura, di mosse preventivate, studiate, accantonate al momento, cioè quand’è scoppiata la vicenda Saguto,  e poi tirate fuori  “a scurdata”. In pratica “fare fuori” l’uomo attraverso la distruzione della sua immagine, vista l’inconsistenza penale delle accuse nei suoi confronti. Domanda: Perchè?

Maniaci

2 Qual’è l’antimafia giusta?

Partiamo dall’affermazione di uno dei giudici che si occupa del caso Maniaci, Vittorio Teresi: “Non abbiamo bisogno dell’antimafia di Pino Maniaci, un’antimafia a fini personali”. Com’ è stato notato dall’ex collega Ingroia, che difende Maniaci, sembra già una sentenza di  condanna prima che si faccia il processo, “una caduta di stile”. Che ne sa Teresi dell’antimafia fatta da Telejato, di giorni e giorni con la telecamera in giro per documentare favori, abusi, disfunzioni, cattura di boss, sequestri e confische, manifestazioni, interviste alla gente comune, agli studenti,agli studiosi, ai fedeli, agli scettici? Che ne sa di imprenditori venuti in redazione per denunciare le ingiustizie nei loro confronti, in nome dell’antimafia?  Delle interviste messe in onda a gente che, in nome dell’antimafia e per azione della legge aveva perso tutto, soprattutto il lavoro,  ma che ci teneva a salvare almeno la dignità?  Che ne sa delle riprese al matrimonio della figlia di Totò Riina, di quelle per l’arresto dei Lo Piccolo, di quelle a Montagna dei Cavalli nel covo di Provenzano? Che ne sa di ragazzi con la telecamera in mano che vanno a fare le interviste e si ritrovano   aggrediti e malmenati, anche da parte di coloro dei quali volevano trasmettere la voce e le idee? Che ne sa il giudice degli estenuanti viaggi in tutta Italia, non per ritirare un “premio del cazzo” intestato agli “eroi del nostro tempo”, ma per parlare a centinaia di ragazzi e trasmettere loro il messaggio che senza i mafiosi il mondo è migliore? Viaggi per i quali Maniaci non ha mai chiesto un euro, neanche il risarcimento delle spese. Che ne sa delle migliaia di ragazzi venuti da tutta Italia per visitare gli studi di Telejato, quelli dove si trasmette l’antimafia in diretta, per ascoltare Salvo e Pino parlare di cosa vuol dire fare informazione in terra di mafia.

Si potrebbe rispondere che  l’antimafia di alcuni ragazzi volenterosi ,  l’antimafia di Salvo Vitale, che da Radio Aut ha continuato a Telejato un percorso iniziato con Peppino Impastato, è un’altra cosa rispetto all’antimafia di Pino Maniaci, ovvero che c’è un’antimafia di Telejato e una di Maniaci, un’antimafia corretta e un’antimafia usata come strumento “d’interesse personale”. Non è così, perchè non c’è l’una e l’altra, perchè l’una non esisterebbe senza l’altra, ed  è tutto la stessa cosa. Difficile credere, per chi non lo sa all0accusa di “interessi personali”: Telejato vive ogni giorno sull’orlo della precarietà, sopravvive.

 E allora, se di questa antimafia che usa il mezzo d’informazione televisivo come uno strumento per propagandare le iniziative di legalità, per far cambiare mentalità alla gente, per distruggere l’immagine di “uomo di rispetto” che il mafioso si porta addosso, per far conoscere le facce di malandrini, per diffondere i comunicati sull’operato delle forze dell’ordine, che denuncia le malefatte, anche le disfunzioni, da qualsiasi parte esse provengano, non ce n’è bisogno,  qual’è l’antimafia giusta, di quale antimafia c’è bisogno?

Antimafia (1)3 L’antimafia e i giornalisti

Non credo all’antimafia della magistratura nè a quella delle forze dell’ordine: quella non è antimafia, è lavoro, è il loro lavoro. Essere mafiosi è un reato, perseguire i mafiosi, da chi è pagato dallo stato per farlo è un obbligo, un dovere. Sulla correttezza di questo lavoro, ma non di tutto il lavoro, qualche dubbio è d’obbligo: quattro giorni prima dell’inizio dell’operazione denominata Kalevra le imputazioni a Maniaci e l’indagine su di lui erano state anticipate  da un articolo di Francesco Viviano su “La Repubblica”: Viviano era informato, Maniaci no. Lo stesso giornale ha tenuto una linea d’accusa e di condanna prestabilita anche nei successivi articoli. Domanda: chi ha fornito le informazioni a Francesco Viviano?. L’anticipazione dell’indagine faceva parte di un disegno preventivo per incastrare Maniaci?.

 Il discorso si allarga al rapporto strettissimo tra alcuni giornalisti e i magistrati della Procura di Palermo. Non ci vuole molto a rispondere su chi fornisce a costoro informazioni riservate, frammenti d’indagine, testi delle intercettazioni. Ma questo stretto rapporto può diventare funzionale ad alcune strategie che i magistrati adottano quando vogliono andare oltre le comuni garanzie  che tutelano i diritti della persona sotto indagine, nel tentativo di aggiungere ulteriori tasselli al materiale probatorio di cui dispongono. Il giornalista è uno strumento che può gonfiare o distruggere  l’immagine e la credibilità di qualsiasi persona. Il sospetto, il “pare che…” “si dice…”, “secondo voci di corridoio” “negli ambienti bene informati gira voce che…” sono premesse professionali indispensabili per poter dire ciò che non è provato, di cui non si hanno completi riscontri. A volte basta buttare un cerino acceso, basta ingenerare il sospetto: supponiamo che io dica: il procuratore Vittorio Teresi ha lavorato fianco a fianco della Saguto nell’ufficio misure di prevenzione: se qualcuno non conosce Vittorio Teresi e non sa delle sue posizioni di distacco dall’operato della Saguto, potrebbe pensare che egli stia agendo per “vendicare” l’azione di Telejato nei confronti della collega.  Oppure ascoltiamo una registrazione in cui Maniaci dica a cento ragazzi venuti a visitare gli studi: “Adesso levatevi dai coglioni perchè devo fare il telegiornale”. Qualsiasi illazione è possibile.

E qua entra il giornalismo di Maniaci, quello che non fa sconti a nessuno, neanche ai due sindaci di Borgetto e Partinico, neanche alle associazioni antimafia o alle icone intoccabili dell’antimafia ufficiale, senza per questo voler metterne in discussione l’operato e  i meriti di nessuno.  A questo giornalismo d’assalto, spesse volte aggressivo e istintivo, sino a colpire la dignità della persona accusata, si contrappone quello dei  “porgitori di microfono”, pronti a scrivere  un articolo  a telecomando, magari a colpi di copia-incolla, dimentichi dei rischi e ormai incapaci di portare avanti un’inchiesta sul campo. In questo contesto si possono leggere le interviste piene di incensamenti, vedi quella fatta da Leopoldo Gargano alla presidente Saguto nello scorso maggio, poco prima dell’ articolo sull’attentato farlocco alla stessa Saguto, che portò a un rafforzamento della scorta e alla possibilità di disporre di una nuova macchina blindata. Nelle intercettazioni si legge della volontà della stessa Saguto di mettere a disposizione di Gargano, e quindi dell’ordine dei giornalisti un appartamento confiscato, in zona centrale a Palermo. E comunque a Gargano va riconosciuto di avere raccolto nel suo archivio un’enorme mole di materiale di ogni provenienza sulle vicende dell’antimafia in vetrina. In un paese come l’Italia dove, assieme ai quotidiani attentati contro i giornalisti si usa la denuncia come atto intimidatorio,  dove i partiti politici hanno lottizzato l’informazione, dove la libertà d’informazione è inferiore a quella di paesi  africani sotto la dittatura, il giornalista “corretto” ha l’obbligo  di individuare contenuti deontologici e comportamentali da tenere come faro guida e di non scordare che si tratta di un mestiere a rischio. Soprattutto se, assieme alle persone di cui si parla c’è anche lo Stato, che progetta sino ad otto anni di carcere per la diffamazione a mezzo stampa, anzichè accontentarsi, come nei paesi civili, di una rettifica dell’errore o di una presa d’atto di quello che comunica la persona lesa. Multe stratosferiche e carcere. A seguire, per il giornalista pagato cinque euro a pezzo pubblicato,  una triste domanda: chi me lo fa fare?

La mafia è umna montagna..._n

4 L’antimafia difficile

Non credo all’antimafia dei politici:  è passerella, vetrina, in qualche raro caso è rivisitazione della memoria, ma non lascia tracce operative. Una fiaccolata, un corteo, un’inaugurazione di una targa, un convegno e l’antimafia si esaurisce nella sua improduttiva doverosa formalità. Per non parlare di una secolare serie di sospetti, di contatti reali, di depistaggi, di indagini messe a tacere, di corruzione e scambio di favori e di voti, di affari pilotati, ecc.

Meno che mai è esente da dubbi  l’antimafia degli imprenditori che dicono di non pagare il pizzo, che fanno convegni e invitano altri imprenditori a ribellarsi. Non so e lo lascio decidere a chi legge, se abbiamo bisogno dell’antimafia di questi giornalisti, di questi magistrati, di questi uomini politici, di questi imprenditori.  E allora di quale antimafia abbiamo bisogno?

In un convegno organizzato a Cinisi nel ventennale della morte di Peppino Impastato i cui atti furono pubblicati da Umberto Santino, l’abbiamo chiamata “l’antimafia difficile”. Allora ci si riferiva alla difficoltà di operare in un ambiente ostile e ostinatamente richiuso nella difesa dei suoi valori spesso arcaici. Certamente è difficile l’antimafia che  si pratica nelle scuole. Con tutti i suoi limiti, con le ostilità di docenti che non vogliono “sottrarre” ore di lezione e che si sentono quasi “derubati” della loro presenza o “obbligati” ad assicurarla darla quando sono annunciate iniziative che coinvolgono tutta la scuola, con l’atteggiamento spesso distaccato e menefreghista di buona parte degli studenti che accoglie tali iniziative solo per fare “vacanza”. Le scuole sono un luogo naturale dell’antimafia, dove possono essere individuati e portati avanti gli elementi, i principi educativi per promuovere e realizzare una società in cui tecniche, metodi e strategie mafiose possano essere messi nell’angolo.  Il principio dell’informazione e della comunicazione  che, dal docente passa all’alunno, non è diverso da quello che dal giornale o dal teleschermo passa al lettore o al telespettatore.

Sempre a Cinisi, nel 2002, nacque il Forum Sociale Antimafia che cominciò a parlare di antimafia sociale. Il termine, citato anche dal magistrato  Teresi, indica l’antimafia che interessa e coinvolge i vari strati della società civile, che si pratica nei luoghi di lavoro, nelle manifestazioni per il lavoro o per i diritti civili, tra i senzatetto, in mezzo ai quartieri degradati della città o alle storie di violenza nascoste dentro le case dei paesi, quella che ci porta a diretto contatto con le vittime del sistema, con gli estorti, con i figli dei mafiosi, con i ragazzi che si trovano a scegliere se iniziare una carriera criminale veloce o la lenta ma onesta ricerca di un lavoro che non c’è.  L’antimafia di chi si ribella al pizzo, denuncia gli estortori, ma si ritrova solo e, per colmo, con i beni sequestrati, grazie a una legge sulle misure di prevenzione che può consentire di travalicare i normali diritti del cittadino, anche sulla base di sospetti.

L’antimafia di coloro ai quali viene affidato un bene confiscato ai mafiosi e che devono studiare come renderlo attivo e produttivo. Attivo, se si tratta di luogo destinato ad utilità sociale, luogo d’incontro e di lavoro culturale comune, produttivo se si tratta di luogo da destinare ad attività economiche che possano realizzare la vittoria di un modello di gestione diverso da quello mafioso, nel rispetto delle garanzie di chi ci lavora o vi partecipa. Non è facile. Si potrebbe pensare ad Addio Pizzo e a Libera e chiuderla lì, ma si troverà, se si vuole, ugualmente qualcosa da dire: magari che si fa antimafia per fini economici o, per  tornaconto.

 Peppino disegno manifestazione

5 Assalto all’antimafia

Da alcuni mesi c’è un attacco senza precedenti all’antimafia, L’attacco più violento è stato sferrato a Libera, alla gestione autoritaria di Don Ciotti, ad alcune disfunzioni al suo interno, al monopolio che essa detiene nell’assegnazione dei beni confiscati, al mancato rapporto tra quanto prodotto e quanto messo in vendita ecc. Non meno criticati i ragazzi di Addio Pizzo che,  attraverso un’agenzia di viaggio lucrerebbero su progetti di itinerari di turismo civile o su progetti  con finanziamenti governativi. Nel mirino ci sono  poi alcuni imprenditori, Helg, Montante. Lo Bello, Catanzaro,Ciancio  finiti in inchieste giudiziarie a causa di  relazioni sospette con  il mondo che hanno combattuto o che dicevano di combattere.

Conclusione: d tutto si fa un bel fascio e si tenta di dargli fuoco. Difficile dire le motivazioni di questo “obiettivo antimafia”. Cosa c’è dietro queste  manifestazioni critiche? Un’ipotesi provocatoria potrebbe essere quella della mafia nascosta nel nostro subconscio, legata a lontane origini mai cancellate, a messaggi sepolti, ma sempre attivi, per cui la mafia è nell’ordine naturale delle cose e l’antimafia rappresenta il suo sommovimento, un’ipotesi di ribellione rispetto a tutto quello che è stato stratificato da secoli, ciò che garantisce stabilità. Possiamo dirla con Salvo, cioè con chi scrive, nel film  “I cento passi”: “E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo! Non perchè fa paura, ma perchè dà sicurezza, perchè ci identifica, perchè ci piace! Noi siamo la mafia”. Personalmente non generalizzerei: io sono un siciliano, la mafia non la voglio e non mi sento mafioso,  ma le sedimentazioni dell’inconscio sono imprevedibili.

L’altra ipotesi è quella del purismo: l’antimafia, nella sua sacralità, nella sua scelta di costruire un mondo nuovo, non può lasciarsi coinvolgere da tentazioni economiche non può essere “usata” a fini di lucro”, quasi che il denaro sia sporco, mentre c’è invece chi ne profitta per arricchirsi.  Anche Telejato ha spesso sostenuto che l’antimafia non dovrebbe diventare affare e nessuno dei ragazzi venuti a visitare Telejato ha mai pagato nulla, mentre ai tirocinanti è stato dato vitto e alloggio gratis. Ma non c’è da scandalizzarsi di chi, per portare avanti una struttura chiede un contributo economico. E’ cosa nota che Libera manda ragazzi che vogliono fare esperienze d’impegno civile o andare nei campi di lavoro confiscati alla mafia, che la stessa chiede a ogni partecipante un contributo minimo, in genere 15 euro al giorno e che la struttura ospitante deve versare a Libera una parte del contributo. E’ noto che “Addio Pizzo chiede un contributo per accompagnare i ragazzi nei luoghi più significativi a Palermo, che un contributo va viene chiesto ai visitatori di casa Memoria Impastato.

Vengono fuori voci, spesso messe in giro ad arte, particolarmente da chi non ha tagliato il cordone ombelicale con la sua “mafia sommersa”, di finanziamenti di cui i destinatari si sarebbero appropriati, di fondi male usati e senza il conseguimento degli obiettivi, di soldi chiesti in cambio di prestazioni le cui motivazioni avrebbero dovuto essere  educative, di protagonismo, di millantato credito, di testimonianze di presenze e di azioni e collaborazioni che non ci sono state ed altro. L’intenzione, che qualcuno teorizza è di  rifondare l’antimafia, di reimpostarla su una “sacralità” che nulla ha da spartire con l’altra ipotesi più concreta, ovvero  come l’economia può ripartire con un corretto uso degli strumenti della legalità, come sia possibile e possa essere realizzato un progetto di lavoro alternativo a quello mafioso. Il pericolo nascosto, la destinazione finale di queste critiche è di cancellare l’antimafia, di prospettarla come un’emergenza ormai inutile,di lasciare tutto in mano allo stato e ai suoi rappresentanti, gli unici deputati ad agire. In pratica, smontare l’antimafia per lasciare la mafia. Se così è non ci sto e credo che non ci stiano tanti altri. Migliaia di altri..

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