Portella della Ginestra: fine segreto Mai (Pietro Orsatti)
Lunedì prossimo sarà il 70esimo anniversario della strage di Portella della Ginestra. La prima strage di Stato della Repubblica Italiana. Migliaia di persone, come ogni anno, saliranno fino al luogo dell’eccidio per commemorare le vittime di quell’eccidio. Senza sapere tutta la verità su quello che accadde realmente il primo maggio del 1947, senza conoscere chi affiancò Salvatore Giuliano e la sua banda, chi erano i mandanti, quali furono i fiancheggiatori e complici fra i politici e le forze dell’ordine, che ruolo giocò l’Alleato nordamericano nella preparazione di quel tragico evento, quanto pesò la cosiddetta “resistenza fascista” che la storia ufficiale ha rimosso e quale u il ruolo della mafia non solo siciliana ma anche italo americana.
Perché, nonostante le dichiarazioni e le norme (o meglio per come sono state costruite quelle norme) il segreto di Stato posto su quei fatti continua a rimanere in vigore nonostante sia stato ufficialmente rimosso dallo Stato Italiano lo scorso anno.
Perché la verità su quella e altre stragi è stata condannata all’ergastolo.
Ho pubblicato un mese fa un libro (“Il bandito della Guerra Fredda” pubblicato da Imprimatur editore) nel quale ho tentato di ricostruire e rendere comprensibile anche a un pubblico non specializzato quello che avvenne in Italia dal luglio 1943 al 1950 e su chi fosse davvero Salvatore Giuliano e come si costruì non solo la strage di Portella ma una vera e propria “guerra santa” che voleva sovvertire il fragile processo di democratizzazione del nostro Paese che ha provocato un numero impressionante di vittime (e non solo in Sicilia) in quel periodo storico. Per realizzarlo ho dovuto avvalermi di fonti processuali (in particolare gli atti del processo di Viterbo), di atti allegati a varie commissioni di inchiesta frammentari e parziali, a alcunii fondi archivistici privati (primo fra tutti l’archivio messo in piedi dallo storico Giuseppe Casarrubea recentemente scomparso), perfino scavando in alcune raccolte di collezionisti privati. Ma non da fonti ufficiali dello Stato italiano in relazione agli segretati e che dovevano essere invece resi pubblici e accessibili per legge.
Ci sono tanti modi di rendere eterno il segreto di Stato in questo Paese. Chiunque faccia ricerca (sia accademica che giornalistica) lo sa bene. I rilasci dei documenti, infatti, vengono fatti in maniera caotica, montagne di carte, molte delle quali inutili e depistanti, mischiate a altri atti invece importanti, digitalizzati senza nessun applicazione di software per il riconoscimento testuale (OCR), senza indici – ragionati o no – degni di questo nome, in file solo fotografici di pessima qualità di enormi dimensioni e quindi praticamente non consultabili. Ci sono stati rilasci poi formidabili come quelli relativi a centinaia di ricevute delle spese di trasferta di appuntati, marescialli, tenenti e brigadieri delle forze impiegate contro il banditismo in cui sappiamo con esattezza dove dormì il tal graduato, cosa mangiò, quanto spese e quando richiese il rimborso ai propri uffici amministrativi. Perfino su queste fondamentali note spese è stato posto il segreto in questo paese.
Poi ci sono le norme di accesso a questi fondi di dubbia e quasi impossibile analisi. Come quella che prevede, caso unico nella normativa di accesso agli atti della pubblica amministrazione, dove non vale la regola del “silenzio assenso”, ovvero che dopo un determinato periodo di tempo dalla richiesta di accesso a determinati documenti se non si riceve risposta non si può comunque accedere alle informazione. Come prolungare in eterno la durata del segreto? Semplice, ci si nasconde dietro l’inefficienza della pubblica amministrazione e un cavillino infilato ad arte, regalo della ministra Boschi ai tempi del governo Renzi.
E allora non rimane altro, per sapere cosa successe in Italia, che rivolgersi agli archivi completi, efficienti e totalmente accessibili inglesi e americani. Perché quelle democrazie quando tolgono il segreto di Stato lo tolgono e basta. Siamo noi gli inventori del silenzio assenso discrezionale.
Ma di cosa ci sorprendiamo. Non è l’unico strano caso legato al segreto. A volte si scopre, com e racconto nel libro, che questo è stato posto (e su materia che riguarda la sicurezza e la salute dei cittadini) quando viene sospeso.
“Viviamo in un Paese dove è stato posto il segreto di Stato perfino sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone sui traffici dei rifiuti tossici in Campania, e non si riesce neanche a capire a oggi chi ha ordinato quell’atto. Si sa solo che il 31 ottobre del 2013, sedici anni dopo quelle dichiarazioni, improvvisamente in Parlamento, per l’esattezza nel corso di una seduta della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul ciclo dei rifiuti, quelle carte – da sempre negate – di colpo non erano più segrete”.
Ecco la verità condannata all’ergastolo. Con tanto di timbro e marca da bollo.
Nella foto: Pietro Orsatti