MOVIMENTO ANTI ANTIMAFIA: CONSIDERAZIONI (M.Mellini)
Quanto andiamo scrivendo da lungo tempo sul carattere e le pericolose implicazioni e degenerazioni dell’”Antimafia Devozionale” come la chiama Vitiello con ineguagliabile puntualità, sta trovando negli ultimi tempi un consenso e provoca degli sviluppi decisamente impensabili ancora qualche mese fa.
Da più parti mi si invita a dar vita ad un “movimento”, a prenderne nientemeno che la direzione. All’acquiescenza imposta ed accettata fino a non molto tempo fa, si direbbe che stia subentrando l’impazienza ed il desiderio di dare concretezza e far sentire il peso delle nostre convinzioni.
Ciò non può che dare vitalità e speranza a questa mia lunga e troppo vecchia battaglia, ai miei pensieri ed alle mie speranze.
Mi impone però alcuni doveri, cui non potrei derogare senza, in sostanza, tradire proprio quelle attenzioni, quei consensi e quelle speranze di quanti si trovano sulla mia stessa sponda e mi confortano con la loro vitalità.
In primo luogo debbo ricordare a tutti, non avendolo mai dimenticato con me stesso, che il “movimento”, un “movimento” vero, non si “fonda”, non viene in essere per atto notarile o per altra formale dichiarazione: c’è o non c’è. Molti, troppi “movimenti” fondati, rifondati, etichettati, denominati, presieduti, diretti, non si “muovono” affatto e non si sono mai mossi.
Un nostro “movimento” esiste, si muove.
Esiste nelle reazioni, non più covate e dissimulate delle vittime dell’antimafia mafiosa, della giustizia ingiusta. Esiste negli scritti, nelle grida, nella rottura del silenzio sulla sciagura che una certa antimafia, una dittatura giudiziaria, un balordo “uso alternativo della giustizia” hanno provocato e provocano.
Sentenze come quella ottenuta dalla Signora Mastella hanno scatenato i commenti sulle conseguenze incancellabili di quel lontano, improvvido provvedimento di arresti domiciliari, ma, soprattutto molti sono quelli che si domandano quanti altri hanno subìto simili sopraffazioni e non vediamo mai fatta un po’ di giustizia sul loro caso.
E tutti abbiamo provato a domandarci quanti solo le vittime dell’antimafia, del sistema dei pentiti, della depredazione dei patrimoni e delle aziende di indiziati di essere mafiosi e di indiziati di essere indiziati, vittime, in generale, di una giustizia ingiusta, di magistrati che sono troppo presi dalle esigenze di una assurda archeologia dietrologica giudiziaria per andare oltre l’approssimazione nella distribuzione di anni di galera e nella depredazione degli averi dei cittadini?
Vittime risultate innocenti di cui poco, soprattutto se non si è la Moglie di un ex Ministero, ma tuttavia un po’ si parla e si commenta, la cui riconosciuta innocenza (e la colpevolezza, magari, di chi li ha condannati) però “non fa notizia”. Ma nel silenzio tombale delle celle degli ergastoli e delle carceri sono sepolte le vittime delle più clamorose, irreparabili (allo stato della attuale legislazione) dell’ingiustizia e dei fabbricanti di ingiustizia.
A quante di queste vittime è possibile far giungere la nostra voce facciamo giungere la nostra solidarietà, anche se sappiamo che essa è nulla a fronte del debito che la società, noi tutti abbiamo nei loro confronti.
Ad essi diciamo di non nascondersi, di non tacere, di accusare, al caso, chi più degli altri è responsabile della loro mala sorte, di invocare a gran voce la ribellione contro la sistematica violazione di quella dimenticata norma del Codice che afferma che si può arrivare alla condanna solo quando la colpevolezza è provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Siamo dunque un “movimento” di civile rivolta per la civiltà della giustizia.
Organizzarci? Darsi un nome, un simbolo, dei capi?
C’è, intanto, quella “organizzazione” che potremmo dire “naturale” o, elementare, che consiste nel riconoscersi tra quanti condividono le stesse idee e gli stessi propositi, il ricercarsi tra loro, il moltiplicare contatti, diffondere idee, scritti, prese di posizione.
Ma c’è l’organizzazione vera e propria. Quella che oggi alcuni amici domandano e vorrebbero vedere realizzata al più presto. C’è chi, come Francesco Bongiovanni chiede a me, nientemeno di “mettermi alla testa” di un costituendo movimento.
Dico subito che auguro agli amici, ai loro propositi, alle loro speranze, qualcosa di meglio che la leadership di un novantenne. Di meglio e di più duraturo.
Proprio perché questo nostro consentire sulla necessità di reagire alla giurisdizionalizzazione dello Stato, al Komeinismo dell’Antimafia mafiosa, alle ingiurie ed alla soppressione dei diritti fondamentali di libertà, alla giustizia sistematicamente ingiusta è un vero movimento, credo che possa essere, per ora almeno, pericoloso, minimalista, regressivo, farne una associazione, un movimento nel senso corrente di “partito” o qualcosa di simile.
Che, poi, per quanto accade per i troppi “movimenti” che assai poco o per nulla si muovono e che raccolgono o dovrebbe raccogliere gente che in comune ha assai poco pensiero ed assai vaghi propositi, è un modo che più vale per allontanare quanti non abbiano per diverse ragioni, modo, occasione, volontà di farne parte, che per stringere legami e spirito di militanza tra quanti vi aderiscono.
In altre parole: Amici! Attenzione!
Il nostro può essere ed è un vero movimento che può diventare una svolta epocale. Non pensate, non operate in modo di ridurlo ad una sigla, ad uno dei tanti sedicenti gruppi che pullulano nell’aria poco salubre del nostro Paese.
Non è questo un invito alla rassegnazione, una dissuasione dal fare, dall’impegnarsi.
Basterebbe che quanti condividono le nostre idee, il nostro annoso e petulante incalzare gli uomini della classe politica sui problemi veri della giustizia giusta, le nostre grida di allarme per il prolificarsi di una nuova funesta fase di autoritarismo paragiudiziario, basterebbe che, come avviene con pochi e valorosi amici ci si intendesse tutti assieme per espandere le ragioni e la ragione che ci animano e soprattutto sul modo di “uscire allo scoperto” delle vittime di questo ipocrita sistema, e saremo già una consistente e temibile forza politica.
Che fare, dunque? Intanto lo dico con esplicito riferimento alle prossime elezioni siciliane, c’è un modo di partecipare alla battaglia elettorale che non implica necessariamente candidarsi e sostenere candidature.
C’è la partecipazione, che può risultare fondamentale, di chi denunzia le ipocrisie, i falsi culti, le malefatte. C’è nel nostro caso l’occasione di far sentire per la prima volta al di fuori e da dentro le liste dei candidati la voce delle vittime dell’antimafia, delle sue persecuzioni assurde, delle sue depredazioni rovinose, per persone innocenti e per tutto il sistema economico. Se questa voce si farà sentire, i ridicoli e funesti aspiranti al supergoverno di un’antimafia mafiosa ed affarista, una magistratura complice o essa stessa vittima rassegnata e consenziente di questa ignominia, avremo fatto ben altro che agitare una sigla.
Vorrei che quanti trovino ragionevole questo scritto e siano d’accordo sul forte ed intenso impegno che propongo agli amici che lo condividono, rispondano a questi appelli, si facciano sentire, spendano il loro nome come promessa di collaborazione e di aiuto.
I “mi piace” che solitamente arrivano siano, oltre che assai più numerosi, più impegnativi: mi piace? Sì, mi impegno.
Auguri! Il “movimento” si fa in un modo solo: muovendosi.
Mauro Mellini
18.09.2017