Ortofrutta: le aste dei grandi supermercati aggravano la crisi dell’agricoltura
L’allarme è stato dato da due giornalisti, Fabio Ciconte e Stefano Liberti, autori,nello scorso anno, del dossier “Spolpati” e di una serie di servizi, che hanno messo sotto accusa il sistema delle aste online al doppio ribasso, una prassi che si sta sempre più affermando tra gli operatori della grande distribuzione organizzata (gdo).
“Funziona così: ti arriva una email in cui ti si chiede a quale prezzo sei disposto a vendere una partita di un tuo prodotto, per esempio un milione di scatole di passata. Tu fai un’offerta. Il committente raccoglie le offerte e poi convoca un nuovo tender. L’offerta più bassa diventa la base d’asta”. Così dice un imprenditore che definisce la pratica come “la più scorretta in assoluto della grande distribuzione, più o meno come il gioco d’azzardo…. “Ci mettono intorno a una piattaforma e dobbiamo rilanciare sull’offerta. Ma è la prima asta che ho visto in vita mia in cui i rilanci sono dei ribassi!”. Ci sono stati imprenditori costretti ad abbassare l’offerta anche sotto il minimo accettabile pur di aggiudicarsi la commessa. Il meccanismo delle aste inverse, o al doppio ribasso, sta diventando una sempre più diffusa pratica d’ acquisto per vari tipi di merce, da parte di grandi gruppi e, per quanto riguarda i prodotti alimentari, da tempo è praticato in vari paesi europei e in Nordamerica, ma è arrivato anche in Italia, specie in diversi prodotti confezionati, pomodoro, olio, caffè, legumi e conserve di verdura. Introdotto da Lidl, e dagli operatori francesi (Carrefour e Auchan), è oggi è diventato pratica comune a quasi tutte le catene distributive. Come funziona? L’imprenditore si trova in una piattaforma digitale insieme ad altri fornitori. Entra con il suo user name e una password e ha pochi minuti per aggiudicarsi la gara, senza sapere chi siano gli altri partecipanti, costretto ad abbassare di volta in volta l’offerta. Non esistono regolamentazioni del meccanismo, a tutela del venditore, poiché si tratta di un passaggio di compravendita da un affare all’altro e non da un affare al consumatore, che rappresenta solo l’anello finale della catena di vendita e, conseguentemente, di tutto il sistema speculativo.
Unico vincolo per chi vende è che non può vendere al di sotto del prezzo di produzione, indicato in una colonnina all’inizio del foglio excel all’interno del quale si fanno le quotazioni ma si tratta di una cifra spesso alterata o modificata al ribasso, su richiesta degli stessi imprenditori Naturalmente chi vende sottocosto dovrà poi rivalersi sull’agricoltore che gli fornisce la materia prima, così come l’agricoltore si troverà a rivalersi su chi mette a sua disposizione la propria forza-lavoro: e così saltano le tariffe sindacali, le assunzioni secondo le regole del collocamento, si allarga il lavoro nero a macchia d’olio e il costo del lavoro è sempre più svalutato, sino a provocare livelli incredibili di sfruttamento, anche per due o tre euro l’ora, come emerso dai recenti casi di caporalato, da tempo sotto gli occhi di tutti, ma da nessuno denunciati né perseguiti. Il meccanismo perverso finisce per rovesciarsi su tutta la filiera e su tutti i passaggi di lavorazione e trasformazione del prodotto.
Se diamo un’occhiata al caso del pomodoro, le aste si fanno in primavera, prima cioè che ci sia il prodotto e prima che questo sia lavorato dalle aziende di trasformazione: praticamente gli operatori agricoli chiudono il contratto che stabilisce il prezzo di vendita prima dell’inizio della coltivazione del prodotto, secondo il prezzo d’asta stabilito dalla grande distribuzione (gdo), senza tener conto della situazione reale sul terreno, delle condizioni metereologiche, delle eventuali “malattie” delle piante, finendo così con scatenare una “guerra tra poveri”: una scatola di pelati a 70 centesimi invece che a 90 finisce con il creare a rotazione situazioni insostenibili di concorrenza che spingono il produttore, dal momento che i guadagni sono ristretti e spesso non si coprono le spese, ad abbandonare l’attività distruggendo settori centrali dell’economia agricola. Secondo recentissimi calcoli la confezione in vetro, tappo compreso, per la “passata” costa più del contenuto.
Il meccanismo delle aste ormai si va diffondendo a catena anche in Italia dove ha raggiunto circa il 50 per cento sui discount e poco meno sulle catene classiche della grande distribuzione. Chi fa l’offerta più bassa, vince. In tutto questo la grande distribuzione la fa da padrone, obbliga i fornitori ad adeguarsi ed ha anche il vantaggio di velocizzare le transazioni
Le aste sono convocate da supercentrali europee, da grandi catene distributive in alleanza tra di loro secondo alcune tabelle con basi d’asta predisposte per le diverse quantità di prodotti e quindi con un prezzo unitario a cui si devono vendere. Vince chi vende al minimo ribasso, ma chi vince non sempre riesce a garantire la consegna del prodotto a quei prezzi irrisori”.
In Italia quasi tutti i grandi gruppi di distribuzione, da Eurospin a Lidl, a Carrefour, ad Auchan , agli italiani, Coop Italia. Conad, Esselunga e Unes dicono che questa pratica non è in linea con i loro princìpi, ma dimostrano molte opacità nel dimostrare di astenersene.
Il sistema comporta ricadute a catena sulla qualità dei prodotti, sempre più soggetti a manipolazioni e trattamenti in grado di accelerare la produzione e garantire merce bella all’apparenza, ma bombardata da insetticiti, pesticidi, ormoni, concimi chimici, conservanti.
Possibile andare verso una regolamentazione del sistema delle doppie aste? In Francia nel 2005 è stata approvata una legge (la legge Jacob) tesa a inquadrare le “enchères électroniques inversées” (aste elettroniche inverse) dove si fissano una serie di norme sulla trasparenza nelle contrattazioni, si sanzionano eventuali partecipanti falsi per far abbassare i prezzi e si stabilisce che le aste online debbano tener conto delle contrattazioni con i fornitori abituali ,i quali debbono essere avvisati per tempo in caso di rottura della relazione. Nulla di particolarmente rilevante, ma, anche per questo poco, è improbabile che in Italia, dove la speculazione al ribasso e il conseguente innalzamento del tasso di guadagno non risparmia niente e nessuno, con la scusa del libero mercato, possa essere regolamentato da un minimo di legge. Anche perché le politiche agricole sono l’ultimo dei pensieri dei governi degli ultimi anni e si preferisce comprare a prezzi più bassi i prodotti scadenti provenienti dall’estero, anziché stimolare con opportune politiche l’economia agricola nazionale.