Giuseppe Insalaco, sindaco per cento giorni

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Il 12 gennaio 1988 venne ucciso a Palermo, in pieno traffico e in pieno giorno,  Giuseppe Insalaco,  “Il Sindaco dei cento giorni”. Il fuoco di una 357 Magnum fermò  la sua vita  e quella del suo autista.

Originario di S. Giuseppe Jato , aveva portato avanti la sua carriera politica nella Democrazia Cristiana di Ciancimino, di Lima, dei Salvo, toccando con mano i profondi rapporti tra politica e mafia. La morte di Piersantio Mattarella aveva lasciato un segnale profondo  dentro di lui, soprattutto nella voglia di portare avanti un modo diverso di far politica e un intenso cambiamento in tutto il sistema di appalti, come quelli  per la manutenzione di strade e fogne dal  1938 controllati dalla società Lesca, di proprietà della famiglia Cassina e quelli dell’illuminazione pubblica che dal 1969 erano curati dalla Icem di proprietà dell’Ingegnere Roberto Parisi, ucciso nel 1985 in un agguato mafioso.

Giuseppe Insalaco si insediò come sindaco a  Palazzo delle Aquile il 17 aprile 1984 e vi rimase fino al 13 luglio dello stesso anno.  Prima di lui Nello Martellucci, espressione deli assetti di potere del periodo, ed  Elda Pucci, prima donna Sindaco di una grande città, rimasta in carica circa un anno. Dopo di lui, a partire dal 1985, Leoluca Orlando.

Il quotidiano “L’Ora” scrisse di lui definendolo “scheggia impazzita che sparava dritto contro i suoi nemici e non si rassegnava a tapparsi la bocca”, non aveva nessuna intenzione di fare il “pupo” e lasciare agire i pupari nell’ombra. Nell’anniversario dell’omicidio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, si presentò in veste ufficiale, con la fascia tricolore addosso, tra lo stupore e il malumore dei suoi compagni di partito, e “qualche mese dopo  fece tappezzare la città di manifesti, a firma dell’Amministrazione Comunale, in cui si denunciava l’escalation mafiosa. Fu la prima volta che appariva la parola “mafia” in un manifesto pubblico.  Il 5 maggio dello stesso anno, in occasione di una manifestazione contro la mafia e la camorra, rappresentò il Comune di Palermo. Il suo progetto era di cambiare le cose non solo all’interno della Democrazia Cristiana, ma nella città”. (nota di Roberto Greco).

 

A Falcone, che lo interrogò diverse volte, raccontà dei “perversi giochi” e del malaffare che lo avevano costretto a rassegnare le dimissioni dopo tre mesi.  Anche nel suo personale diario, si leggono precise accuse  contro l’eurodeputato Salvo Lima, i finanzieri Ignazio e Nino Salvo, il funzionario del Sisde Bruno Contrada, Vito Ciancimino, Giulio Andreotti e molti altri. Dopo l’Audizione in Commissione Antimafia, la sua automobile fu rubata e bruciata e cominciò nei suoi confronti . una campagna di fango e accuse di corruzione che lo portò anche in carcere per un breve periodo e si concluse con la sua uccisione.

 

“Insalaco, nelle cui memorie resta una dura denuncia contro quel mondo in cui nacque, salvo esserne poi rimasto vittima, può essere considerato il primo vero Pentito di Stato nel momento in cui si presenta davanti a Falcone e inizia a squarciare il velo che celava il gioco in atto tra mafia, pezzi di Stato, imprenditoria e alta finanza. Forse l’unico che finora può definirsi tale. Certamente, uno di cui ci sarebbe bisogno oggi: qualcuno che descriva con occhio “interno” al mondo delle istituzioni degli scheletri nell’armadio e del marcio ereditato da decenni di convivenza con la mafia”.  (nota di G.Bongiovanni)

 

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