72 anni senza verità. Su Portella della Ginestra, la prima strage di Stato (Pietro Orsatti)
di Pietro Orsatti
Sono trascorsi 72 anni dalla strage di Portella Della Ginestra del primo maggio 1947. La prima strage di Stato. Ormai sono trascorsi più di tre anni mezzo da quando venne decretata dal Governo la fine del segreto su quelle carte, ma ancora oggi grana parte di quei documenti non sono fruibili e il resto vengono rilasciati senza alcuna indicizzazione e in formati che ne rendono quasi impossibile la consultazione e l’autenticità. La verità su quella strage è forse uno dei segreti meglio custoditi dell Repubblica. Chiunque abbia cercato di fare luce su quell’evento si trova da 72 anni a sbattere contro un muro di gomma.
In parte si è riusciti, e quasi solo alla desecretazione avvenuta negli Stati Uniti e in Inghilterra, a ricostruire segmenti di quella vicenda, a rendere visibili gli intrecci fra fascisti, nuovi poteri politici, potenze straniere, addirittura il Vaticano, la mafia italiana e quella italo-americana che condussero a quella tragedia.
Enorme è stato il lavoro di Giuseppe Casarubbea nella ricerca della verità. Uno storico “di paese”, figlio della strage immediatamente successiva a quella di Portella (nel giugno del 1947), che ha speso tutta la sua vita alla ricerca di documenti che dimostrassero quale fosse la reale natura di quell’evento e in quale scenario si inserisse.
Grazie alla suo lavoro, fondamentale per capire in quale ginepraio mi stavo infilando, e accedendo a nuova documentazione sia in Italia che all’estero, nel 2017 ho pubblicato il libro “Il Bandito della Guerra Fredda” per Imprimatur. Qui ne riporto alcuni brani. In attesa di una seconda edizione aggiornata con nuova documentazione che ho acquisisto in questi due anni.
Portella fu una strage di Stato. Inserita in una stretgia di destabilizzazione ben precisa che puntava a rovesciare la neonata Repubblica per instaurare un governo autoritorio nell’agosto del ’47. Esattamente come contemporaneamente avvenne in Grecia. Partendo dal ruolo assunto da Salvatore Giuliano come addestratore di terroristi ebraici in funzione anti Inglese in Palestina nel ’46 in “concerto” con la politica di destabilizzazione dell’area voluta dai servizi statunitensi per indebolire in MO la posizione britannica (intreccio ampiamente documentato e dimostrato nel libro).
Buona lettura
Questa grande operazione segreta, mirata a sostenere i pragmatici idealisti che sognavano la nascita di Erez Israel, si inseriva perfettamente nel gioco avviato da James Angleton sullo scacchiere italiano e mediterraneo. E la banda Giuliano, a quanto pare, era uno degli snodi determinanti di tutta l’operazione.
La tavola imbandita da quello che diverrà poi il capo del controspionaggio della Cia non è tutta in camicia nera, ma i fascisti pesavano, e molto. Siamo, infatti, davanti a quel fronte anticomunista clandestino formatosi a partire dall’estate del ‘46, subito dopo il referendum che proclamerà la Repubblica. Ci sono gli ex uomini della Decima Mas, ma anche quelli della Brigata Osoppo; il generale Raffaele Cadorna e perfino il suo vice Enrico Mattei, che avevano avuto un ruolo di peso all’interno del Cln; l’Unione patriottica anticomunista costituita da carabinieri del Sim, il Servizio informazioni militare, e l’ex Gruppo Franchi del capo partigiano Edgardo Sogno, monarchico e liberale; per arrivare ai nuclei di ex Ustascia croati a cui si aggiungono i gruppi più violenti del neo fascismo dell’epoca: le Squadre armate Mussolini (Sam), l’Esercito clandestino anticomunista (Eca) e i Fasci di azione rivoluzionaria (Far). E poi ci sono gli uomini della banda Giuliano, che i servizi della neonata Repubblica e quelli inglesi definisco più volte e in più documenti «da ritenersi a completa disposizione delle Formazioni Nere».
Talmente a disposizione che il bandito di Montelepre viene chiamato per far evadere Borghese – siamo nel 1947 – dall’Isola di Procida, in modo da accelerare i tempi di un possibile golpe ideato dal principe nero nella primavera di quell’anno, come rivela lo storico Aldo Sabino Giannuli (nel numero di ottobre-dicembre 2003 della rivista «Libertaria, il piacere dell’utopia») citando documenti dei Sis: «Al bandito Giuliano doveva essere demandato il compito di provvedere alla evasione di Borghese» si legge nel documento rinvenuto da Giannulli, «relegato a Procida, perché soltanto l’ex capo della Decima Mas era ritenuto in grado di assumere militarmente il rango, per l’influenza esercitata, di capo militare delle formazion clandestine dell’isola».
Inoltre le organizzazioni nere Far, Eca e Sam fanno direttamente riferimento all’altro fascistissimo nume tutelare dell’epoca, Valerio Pignatelli, di origini nobiliari calabresi e proprietario di enormi tenute agricole e forestali proprio in quella regione. Pignatelli nel 1943, su mandato dei servizi segreti tedeschi, proprio a Cosenza mette in piedi una rete di gruppi paramilitari preposti ad azioni di sabotaggio dietro le linee alleate. E qui Giuliano installa una delle sue centrali operative – e un sicuro rifugio nel primo periodo di latitanza – come svela uno dei rapporti del Sis, i servizi inglesi del Secret intelligence service. «Abbiamo ricevuto numerosi rapporti sul contrabbando di armi in questa regione (provengono dalla Jugoslavia attraverso l’Adriatico)» si legge in un rapporto del 18 aprile 1946. «Corre voce che arrivino soprattutto a Molfetta e a Crotone. Si ritiene che una parte di queste armi sia inviata alla banda Giuliano (Sicilia) per fomentare la causa del separatismo».
Inoltre le organizzazioni nere Far, Eca e Sam fanno direttamente riferimento all’altro fascistissimo nume tutelare dell’epoca, Valerio Pignatelli, di origini nobiliari calabresi e proprietario di enormi tenute agricole e forestali proprio in quella regione. Pignatelli nel 1943, su mandato dei servizi segreti tedeschi, proprio a Cosenza mette in piedi una rete di gruppi paramilitari preposti ad azioni di sabotaggio dietro le linee alleate. E qui Giuliano installa una delle sue centrali operative – e un sicuro rifugio nel primo periodo di latitanza – come svela uno dei rapporti del Sis, i servizi inglesi del Secret intelligence service. «Abbiamo ricevuto numerosi rapporti sul contrabbando di armi in questa regione (provengono dalla Jugoslavia attraverso l’Adriatico)» si legge in un rapporto del 18 aprile 1946. «Corre voce che arrivino soprattutto a Molfetta e a Crotone. Si ritiene che una parte di queste armi sia inviata alla banda Giuliano (Sicilia) per fomentare la causa del separatismo».
Sempre in un rapporto del Sis si legge: «A Venezia, Milano e nella Calabria ferve il lavoro delle Sam, le quali sono sovvenzionate da Giuliano e il suo aiutante è lo Scugnizzo»: lo Scugnizzo non è altro che Salvatore Ferreri, detto Fra’ Diavolo, uno dei futuri protagonisti della strage di Portella della Ginestra del primo maggio 1947.
Alla luce di questi documenti e di questo scenario, assume tutt’altro significato anche la vicenda delle lotte interne al movimento separatista. E anche la morte di Antonio Canepa, leader della sinistra del movimento indipendentista che, sul piano internazionale, era molto più vicino alla Gran Bretagna che agli Stati Uniti.
(…)
«La morte del bandito Ferreri e quella di Giuliano sono due episodi che sconcertano e danno adito alle considerazioni più severe finanche al sospetto di collusione tra forze di polizia e banditi» si legge nella relazione sul banditismo della Commissione antimafia istituita nel 1962. Fossero solo quelle le morti che sconcertano. Immediatamente dopo la strage di Portella, il ministro dell’Interno Scelba manda nelle strade i reparti celere con in dotazione addirittura mitragliatori, autoblinde e mortai: decine di manifestanti in tutta Italia furono uccisi in pochi mesi. Il 22 giugno furono assaltate le sezioni comuniste di Partinico, Carini, Borgetto, San Giuseppe Jato, Monreale e Cinisi: nove morti e decine di feriti. Furono uccisi sindacalisti e capilega. Nell’azione si distinse in particolare il gruppo di Fra’ Diavolo. Poco più di un mese prima, l’8 maggio, l’agente dell’Oss Mike Stern – dietro “indicazioni stradali” del solerte Messana – era andato a trascorrere una settimana di villeggiatura nelle montagne attorno a Montelepre in compagnia di Giuliano e della sua famiglia, ritornando con tanto di foto ricordo. Poche settimane ancora e ad Alcamo veniva liquidato l’intero gruppo di Ferreri in maniera “misteriosa”: lo si può affermare senza timore di incappare in qualche querela, dato che è stato ribadito che misteriosa fu la fine di Fra’ Diavolo anche nella sentenza per il processo intentato contro lo storico Casarrubea nel 2003.
La reazione alla strage di Portella da parte del Pci era stata determinata ma contenuta: si era infatti cercato di impedire in tutti i modi che le proteste sfociassero in incidenti e in possibili reazioni violente. Il sindacato indisse uno sciopero generale, ma anche davanti agli attacchi della celere, spesso e volentieri assolutamente immotivati, prevalse la scelta di mantenere un profilo basso. Tuttavia gli americani continuavano a soffiare sul fuoco. Il segretario di Stato Jorge Marshall inviò una lunga lettera all’ambasciatore in Italia James Dunn, datata primo maggio del 1947 (che le coincidenze in questa storia non mancano mai), in cui si legge: «il dipartimento di Stato è profondamente preoccupato delle condizioni politiche ed economiche italiane, che evidentemente stanno conducendo ad un ulteriore aumento della forza comunista e a un conseguente peggioramento della situazione degli elementi moderati, con i comunisti che diventavano sempre più fiduciosi e portati ad ignorare l’attività del governo».
Pubblicato su Antimafia Duemila 30 aprile 2019