Sistemi elettorali: maggioritario o proporzionale?

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L’articolo, a parte qualche modifica, è stato pubblicato su  Antimafia Duemila il 9 dicembre 2013. Dopo che il PD renziano, con l’approvazione del Rosatellum ha fatto uno degli errori più grossi della sua storia politica, il tema si ripropone in questi giorni con una funambolica inversione delle scelte: Berlusconi, da proporzionalista convinto è diventato sostenitore del maggioritario (assieme a Salvini), mentre il PD, da sempre amante del maggioritario, è diventato, assieme ai Cinque stelle,  sostenitore del proporzionale. 

Nelle sue regole logiche Aristotele scriveva che “tertium non datur”, ma la logica non ha le stesse regole della politica, poiché essa si occupa di linguaggio e di concetti, mentre la politica si occupa di rapporti tra esseri umani e di costante adattamento delle regole alle condizioni di vita, di sviluppo sociale ed economico, di coabitazione che vengono espresse  dai vari gruppi  presenti in porzioni di territorio, villaggi, città, regioni, stati.

Tutto questo non vuol dire che la volontà della massa debba imporsi e cancellare quella del singolo: la massa ha il diritto di vivere nella sua uniformità, che spesso è mediocrità, ma non può  togliere al singolo la libertà di non riconoscersi in essa, il rifiuto di volere uniformarsi, né tantomeno “il diritto” di essere rappresentato proporzionalmente alla forza elettorale espressa dal gruppo politico in cui si riconosce o si ritiene politicamente più vicino, senza l’obbligo di dovere scegliere tra A e B, tra bianco e nero. Esiste anche il grigio. In Italia, dove si tende a schematizzare e a banalizzare tutto, questa scelta di democrazia, che porta direttamente alla rappresentanza proporzionale, è stata definita “terzo polo” ed è stata regalata a un presunto centro che dovrebbe ideologicamente ispirarsi alla vecchia Democrazia Cristiana. Nulla di più sbagliato. Il proporzionale è espressione non di un partito politico, ma della volontà popolare.

Dopo che la Corte Costituzionale ha abolito la legge elettorale definita Porcellum, indicando, come espressione della democrazia, proprio il ritorno al sistema proporzionale, tutto il ceto politico italiano, da Napolitano a Renzi, ad Alfano, a Berlusca, le voci di giornalisti che si definiscono “politologi”, si è scatenato per dire peste e corna del sistema proporzionale e sostenere la necessità di un sistema elettorale a due partiti, con l’introduzione, sul modello francese, del ballottaggio, ovvero di un secondo turno a due, in quanto l’eletto deve essere espressione del 50,1 dei votanti. La critica maggiore che si fa al sistema proporzionale è quella di essere fondato sulle alleanze: essendoci il pluripartitismo, per raggiungere una maggioranza di governo è necessario fare i conti con altre forze politiche. Tutto questo viene chiamato con il termine napoletano disprezzativo “inciucio”, ma non c’entra niente, perché l’inciucio scatta, apertamente o sottobanco, quando maggioranza e opposizione si mettono d’accordo, com’è successo nelle ultime esperienze di governo, da Monti a Letta. In Germania la Merckel non si è fatto alcuno scrupolo a ricreare la grande coalizione con l’opposizione, in Italia questa è ritenuta una sorta di rinuncia alla propria identità politica. Ma in Germania esiste un ottimo sistema proporzionale, di cui in Italia non si vuol più sentir parlare, con lo sbarramento del 5%.  L’altra accusa è quella che il proporzionale porta alla prolificazione dei partiti e partitini: ma perché, forse che con il maggioritario no? Abbiamo, in questi ultimi anni di maggioritario più o meno palese, visto nascere i partitini più strani, da quello dei pensionati, a quello anti-euro, ai fratelli d’Italia a Fermare il declino, a Fiamma tricolore, a Scelta Civica, a Rivoluzione civile, alla Lega, all’Italia dei Valori, a SEL-Vendola, per finire al Nuovo Centro destra :  alle ultime nazionali se ne contavano una quarantina, mentre col proporzionale ce n’erano sei o sette. La possibilità, per costoro, è stata, o di correre in proprio, con buona possibilità di non superare lo sbarramento, o di associarsi con un partito più grosso, all’interno del quale contrattare l’elezione di un certo numero di deputati (vedi i partitini di Vendola o di La Russa). E comunque, ove si eccettui l’esplosione del grillismo, costruita con una capillare raccolta degli elementi del dissenso nel tempo della crisi economica e della degenerazione della partitocrazia, non è facile a un gruppo di persone che ha un’idea o un progetto politico e vuole organizzarsi in partito, essere rappresentato. Il rispetto delle minoranze, il loro diritto all’esistenza, non esiste. Il sistema maggioritario taglia le gambe a qualsiasi diversità politica omogeneizzando tutto in due possibilità di scelta, nelle quali non c’è spazio per chi non ha capitali e potere sufficiente per accaparrarsi un certo numero di voti. E’ stato ancora detto che il voto di preferenza favorisce il clientelismo, perché il singolo politico cerca l’affermazione attraverso tutta una serie di amicizie alle quali è d’obbligo fare dei favori, mentre, quando il deputato o senatore è scelto dal partito, si dovrebbe trattare di persone oneste: e abbiamo visto tutti, quello che è successo in questi ultimi anni, con il dilagare della corruzione, portata avanti dagli uomini scelti dai partiti. La volontà dei partiti di non lasciarsi sfuggire qualsiasi controllo della volontà popolare sta poi nella scelta del candidato unico che è espressione del collegio elettorale: non c’è dubbio che questo viene scelto a tavolino e che l’elettore non ha altra possibilità se non di votare solo per lui, a meno che, come qualche volta è stato fatto, non si mettano in lista quattro candidati: cosa che, con il proporzionale e con una lista di candidati pari al numero di seggio disponibili, offre ben altre possibilità di scegliere il candidato che piace all’elettore. Non voglio mettere in mezzo altre componenti, come la mafia, la quale controlla i suoi elettori con qualsiasi sistema elettorale. La bandiera della “governabilità” sembra poi una sorta di passaporto che autorizza alla violazione sfacciata di qualsiasi regola democratica, prima fra tutti quella dell’introduzione del premio di maggioranza: sinora tuttavia le passate leggi, a partire dalla famigerata Legge Acerbo,  quella che portò il fascismo al potere, assicuravano una soglia, una percentuale di consensi, raggiunta la quale sarebbe scattato, in  premio, un numero integrativo di deputati tale da assicurare la maggioranza, e quindi la governabilità. E’ successo che, anche maggioranze grandissime, come quella del passato governo Berlusconi, o come quella striminzita del precedente governo Prodi, si siano sfaldate, creando seri problemi di governabilità. Perché l’errore di fondo che si continua a commettere è quello di voler far credere che  la colpa del malgoverno è di una cattiva legge elettorale e non degli uomini che sono chiamati a governare e non sanno farlo. La governabilità non si assicura truccando i dati e aumentando artificialmente il numero degli eletti: in tal modo, un partito con il 30% può aumentare la sua forza rappresentativa regalandosi una maggioranza assoluta che, nella realtà, non possiede. Questo sistema elettorale, stava bene a Grillo, per sua affermazione, perché gli consentiva di gestire, come d’altronde fa Berlusconi,  gli eletti, di ricattarli e di obbligarli ad obbedire alle sue imposizioni. Anche i Cinquestelle se credessero davvero nella strombazzata democrazia della base, dovrebbero  considerare che il vantaggio di essere “arbitri” comporta, nel bipolarismo, il rischio di essere fagocitati dalle alleanze politiche con le quali si schierano per governare , ovvero dai due grandi partiti di destra e sinistra. In conclusione, dietro queste ventate maggioritarie si nasconde la vecchia malattia autoritaria ereditata, a sinistra dalle impostazioni governatine filosovietiche e a destra da quelle filofasciste. Lo scimmiottamento del sistema americano porterà inevitabilmente al passaggio successivo, ovvero a quello del Presidente che è insieme capo del governo, il cosiddetto presidenzialismo, dove il maggior potere al presidente è determinato dalla sua elezione popolare e non da quella che ne fanno gli eletti, i rappresentanti del popolo E così, ove non si metta mano a una legge elettorale con il sistema proporzionale puro, si corre il rischio,  tra qualche anno, di chiudere il cerchio sulla fragile democrazia italiana, secondo un disegno che già caro a Napolitano, con l’avallo della corte di Berlusconi, ovvero stravolgere la costituzione e  lasciare il paese nelle mani di pochissime persone, facendo credere che questa è democrazia, quando invece è l’esatto contrario. Nessuno si stupisca: tutto questo appartiene alle regole, già previste da Marx, con cui il capitalismo cerca di far fronte alle sue crisi cicliche rafforzando e concentrando i poteri in poche mani,  in modo da poter garantire la sopravvivenza  degli equilibri economici che lo sostengano, cioè, in modo da garantire che i ricchi restino ricchi e che la loro agiatezza possa essere portata avanti sulle spalle dei ceti sociali più deboli, il cui compito è lavorare produrre per perpetuare l’esistenza degli squilibri sociali di cui sono vittime.

Salvo Vitale – Antimafia duemila 9.12.2012

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