Partinico: Il comune compie 220 anni.
La beffa dell’autonomia
Qualcuno ha voluto ricordare il 19 aprile come l’anniversario dei 220 anni in cui è nato il Comune di Partinico, ovvero come il giorno in cui il re Ferdinando III di Borbone concesse l’autonomia municipale a quella che egli definiva “devotissima civitas”. Partinico veniva così a fregiarsi del titolo di “Universitas”, che, nella struttura amministrativa borbonica stava a indicare “l’università dei cittadini” o delle terre vicine, ovvero il comune. I comuni che potevano fregiarsi di questo titolo nella Val di Mazara, che comprendeva buona parte della Sicilia Occidentale, erano 15. Non Partinico che, a partire dal 20 marzo 1616 il vicerè Ossuna aveva definito, con apposito decreto Quinto quartiere di Palermo, particolarità che le conferiva alcuni privilegi tipici della più grande città dell’isola, l’esenzione di alcune spese di gestione e diverse esenzioni fiscali, “specialmente di quella della farina e della macina, della quale il popolo non se ne può sentire il nome” . Faceva eccezione il pagamento di una gabella di sei tumuli per ogni botte di vino. Il Marchese di Villabianca, proprietario di diversi feudi nell’Agro di Partinico, primo fra tutti quello dell’Abraciara, ha scritto una “Storia della Sala di Partinico”, che è stata pazientemente trascritta dal compianto prof. Nunzio Cipolla e pubblicata nel 1997 con il contributo dell’amministrazione comunale presieduta da Gigia Cannizzo: in quest’opera il “graziosissimo marchese” ci racconta una versione ben diversa da quella “tarallucci e vino” riportata dalla storiografia locale.
E’ necessario precisare che, a partire dal 1799 il Re Ferdinando di Borbone era scappato da Napoli, passata ai francesi e che tra una restaurazione e l’altra rimase in Sicilia sino al 1815. Proprio al primo soggiorno siciliano si riferiscono alcuni passaggi che interessano Partinico, dal decreto sull’autonomia all’acquisto, da parte del Re, delle terre di quello che venne chiamato “Real Podere”, comprese quelle della “Real Casina”, e quelle in cui venne allora costruita la Cantina Borbonica.
Seguiamo il racconto del Villabianca: L’universitas, ovvero l’autonomia “richiesta viene soltanto dalli Cappelli (cioè dai grandi borghesi) o sien gente civile del paese, perché essendo essi tutti quasi sfaccendati e senza impegno trovar possono con la loro penna il desiderato uffizio nella corte dell’Università, e con ciò il sostentamento a seguire di lor famiglia”. Il che equivale a dire che, avendo poca voglia di lavorare, gli sfaccendati nobili e i burocrati del paese con un minimo d’istruzione, si potevano dare alla politica e incassare i contributi previsti per gli amministratori, per portare avanti la famiglia. Esattamente come oggi.
Sull’autonomia Villabianca continua: “la gente però saggia e ben patriotta la detesta ed abborre e sopra ogni altro la tiene in odio il Pretismo, che è il ceto più rispettevole e che la fa da padre e protettore del popolo”.
Passa poi a parlare di Felice de Lioj, procuratore della Commenda dell’Abbazia di Santa Maria di Altofonte, alla quale era stato affidato il territorio di Partinico: costui, a seguito di alcuni disordini, viene a Partinico e destituisce alcuni amministratori . Quando il re passò da Partinico, per una battuta di caccia a Inici “il popolo vedendo il sovrano alzò le voci di fortisseme preci a non permettere l’esecuzione d’Università, ma perché invece di acclamarlo con l’Evviva si servì delle parole di Grazia e Libertà, che si potea prendere per la libertà francese, dispiacque questo errore al Monarca che tosto incollerito se ne passò avanti”, ma, al ritorno, pressato dai notabili e dal Lioj, anche lui “assediato e assai coltivato dalla gente oziosa dei Cappelli”, decise di concedere l’autonomia. A questo punto i responsabili, tra i quali si annoverano l’avvocato Gaetano Bonura e Francesco Paolo del Castillo, marchese della Gran Montagna “imbrogliati assaisssimo se ne restarono a trovare i mezzi e i fondi con che farsene la fondazione. Si trattava di vestire da capo a piedi una persona nuda che avea bisogno del tutto per esistere al mondo….motivo per cui mancandovi dappertutto i panni a coprire la nudità, si rivolse il ciglio alle vili persone dei Somari, che sono i padroni dei feudi e dei terreni e Predij di questo stato e soliti a portar ogni volta le some del popolar servigio. Non vi fu ragione che vi fu allegata per allontanare il pensiero né vi si fecero scrupoli di valersi della roba altrui, onde è che tal fare sapeva molto di furto. Le Terre portavano tasse molto gravose, come quella della fabbrica della Strada di Palermo, del surrogato del tabacco. Dazi questi tutti che han minorato di non poche somme le rendite di cotali proprietari di fondi”.
Gli otto tumuli che si pagavano a Palermo per ogni botte di vino vennero “girati” per il pagamento di una Compagnia di campieri, con livree e marche in testa, che secondo Villabianca erano inutili in quanto ogni grande proprietario disponeva dei suoi campieri e guardiani. : “che siffatti pesi han diminuito pure la rendita lo posso attestare io Villabianca più di ogni altro, che della rendita di onze 300 annue che d’ordinario mi fruttavano li miei aviti fondi, ora mi so conteggiato di sole 200 onze annue…”
Villabianca ci parla anche di alcuni oppositori, “galantuomini”, come il notaio Francesco Catalano, don Nicolò Minore, Giuseppa Di Lisi, e Francesco Galluzzo detto “Panazza”, i quali vennero arrestati e liberati dopo qualche mese di carcere per avere osato sostenere e dimostrare che l’autonomia “essere un’iniqua imposizione e un capo di prepotenza e d’ingiustizia che si recava a una fedelissima stata sempre popolazione di Partinico”.
Il commento finale del Villabianca chiarisce come è in atto un passaggio di poteri dalla nobiltà all’alta borghesia e come da quel momento ci saranno molti più padroni: “Gli oppressori, in sostanza di un paese sono i Cappelli.E tuttavia porta la moda del giorno d’oggi che tutti i paesi piccoli travagliano di questa febbre che le fa adottare il stravolto consigliodi voler essere governati da li Cappelli lor concittadini e non dalli baroni che son padroni di quelli e non sanno poi che invece di un padrone ne vengono ad avere cento, la briga di quelli non tende ad altro che a succhiare il sangue dei poveri”
Una personale considerazione riguarda questo Marchese della Gran Montagna Del Castillo, che doveva essere un gran furbone: il 10 dicembre 1799 , assieme a Bonura, nella chiesa di San Leonardo, si adopera affinchè il Consiglio Civico di Partinico possa chiedere al re l’indipendenza del comune, ma esattamente una settimana prima, il due dicembre, aveva venduto al re per onze 4.700 la montagna, la Torre di Ballo e i terreni su cui doveva nascere la Cantina. Praticamente aveva evitato di pagare al neonato comune tutte quelle tasse che, con l’autonomia, secondo quanto scrisse Villabianca, ricadettero sulle spalle dei grandi proprietari. Ai tempi di Berlusconi si sarebbe chiamato “conflitto d’interesse”.
In conclusione, la “conquista” dell’autonomia significò per Partinico la fine di una serie di privilegi e l’inizio di un nuovo percorso che gravava interamente sulle spalle del neonato comune.
Una, minuziosa e documentata ricostruzione di questi eventi la si può trovare nel libro di Pasquale Marchese, pubblicato pustumo nel 2016, al quale alcuni amici hanno dato l’impossibile titolo “Morino, racioppi e cappeddi
Nella foto: Corso dei Mille e la Chioesa di San Giuseppe in una delle più antiche foto di Partinico