9 maggio tra Peppino Impastato ed Aldo Moro.
Da qualche anno si è voluto dedicare il 9 maggio alle vittime del terrorismo, in ricordo soprattutto della morte di Aldo Moro “ucciso come un cane dalle Brigate Rosse” (per citare una frase che lo scrivente pronuncia nel film “I cento passi”). Un particolare sguardo va soprattutto ai magistrati uccisi, in considerazione del killeraggio sistematico e spietato che attualmente il capo del governo sta mettendo in atto contro chi ha osato denunciare le sue malefatte. Ma altre vittime del terrorismo occorre ricordare, dai morti della stazione di Bologna a quelli di Piazza Fontana, in un mostruoso progetto che, dalla fine degli anni 60 ha attanagliato l’Italia in una mossa mortale, dietro cui agivano in silenzio e con il massimo della copertura e dell’impunità neofascisti, piduisti, mafiosi, servizi segreti , partiti politici e altri violentatori della democrazia italiana. Tutto questo è passato e sembra appartenere a un altro mondo, a parte qualche cerimonia occasionale che ci ricorda molto ritualmente ciò che per altri è meglio rimuovere e dimenticare. Quello che non siamo riusciti a fare, malgrado le nostre proposte, è di associare, nell’occasione del 9 maggio, alle vittime del terrorismo, le vittime di mafia, ovvero le vittime di un terrorismo che ha ricoperto le strade d’Italia di bombe, attentati, omicidi a sangue freddo, incursioni di commandos specializzati nel seminare morte e distruzione. Cioè, ancora una volta, di associare Peppino Impastato ad Aldo Moro, entrambi morti nello stesso giorno ed entrambi vittime, da aspetti diversi, del terrorismo. Difficile trovare spiegazioni: Peppino è stato già individuato, a suo tempo, come terrorista, e riabilitato solo dopo un lungo e paziente lavoro di ricostruzione della sua immagine e del suo lavoro politico condotto dai suoi amici e dalla famiglia. Nulla a che fare tra l’extraparlamentare rivoluzionario e disturbatore della quiete pubblica, negli anni in cui, per vie stellarmente diverse, Aldo Moro cuciva con sapienti manovre la sua strategia di apertura a tutte le forze della sinistra. Peppino riteneva che il riformismo di Moro altro non fosse che un momento del consueto lavoro di ricomposizione e di rafforzamento delle forze dominanti, a scapito dei bisogni dei lavoratori, attraverso tagli e sacrifici che avrebbero rafforzato il potere e chi lo deteneva. Peppino riteneva che il potere democristiano fosse “banditesco e truffaldino”, più o meno com’è stato il potere berlusconiano. Moro pensava ad altre strategie non certamente di rottura, ma di “buon governo” in cui alle forze progressiste si offriva la possibilità di essere coinvolti nello stesso disegno politico di avanzamento sociale della nazione.
Nessun punto di contatto tra queste due dimensioni di progetto politico, dove l’intransigenza dell’estrema sinistra si scontrava con l’arte della mediazione attraverso i mille tentacoli della politica e del malaffare. “ La D.C. non si processa”, aveva detto Moro, più o meno come Berlusconi poi ha detto di se stesso. La sconsideratezza e il fanatismo di alcuni “presunti” compagni, che in realtà erano assassini, qualcuno dice pilotati da personaggi ben più furbi di loro, hanno reso Moro martire, uccidendolo, tanto quanto la ferocia e l’intolleranza di alcuni mafiosi hanno fatto con Peppino. Altro non c’è. Nella ricorrenza del 9 maggio 2014 la figlia di Moro Agnese è stata a Cinisi ed ha parlato della scelta della non trattativa voluta allora dalla D.C. con l’obiettivo, neamche troppo nascosto, di liberarsi di un personaggio diventato scomodo, anche su alcune strategie politiche interne non in libea con le strategie e le tradizionali alleanze internazionali. E tuttavia, vista la tendenza, da parte di ogni parrocchia, a ricordare i propri morti, noi oggi rendiamo omaggio dovuto a Moro, ma ci riconosciamo, senza ombra di dubbio, nella grande eredità di lotta politica tracciata da Peppino. Un’ultima nota: anche la strategia informativa si associa a questa doppia identificazione di morti di serie A e B. Pochi minuti nel tg3 regionale e nella pagina regionale di Repubblica poi nessuna parola, da parte di nessun giornale, è stata spesa su quel minimo di iniziative, in gran parte mediatiche e virtuali con le quali Giovanni Impastato e il suo staff di Casa Memoria hanno cercato di ricordare Peppino Impastato qTanto per chiarire la vecchia strategia della notizia che diventa tale solo quando è trasmessa da un mezzo d’informazione. Altrimenti è meglio ignorare, oscurare, cancellare