24 maggio 1915: Il Piave mormorava

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Il Piave mormorava, calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio.

 

In questa data l’Italia, dopo essere stata due anni a guardare,  entrò in guerra contro i suoi alleati della “Triplice Alleanza”, cioè Austria e Germania, schierandosi con la Francia e L’Inghilterra. A Salandra, che aveva avviato le trattative, con il Patto di Londra promisero mari e monti. Scavalcando il parere del parlamento, dove la maggioranza giolittiana era contraria e lasciandosi convincere dalle sirene interventiste, l’Italia si buttò nell’impresa. affidando il comando al generale Luigi Cadorna,  uno che considerava i soldati come pezzi di legno da muovere sulla scacchiera, ma che non sapeva giocare a scacchi, se per gioco si intende strategia. Migliaia di giovani persero la vita sulle pietraie del Carso, falcidiati dalle mitragliatrici austriache, ma l’ordine era quello di conquistare quegli aridi posti, non importa quanto dispendio di vite umane ci fosse. E poiché tra i soldati italiani circolavano idee socialiste e pacifiste, con qualche diserzione di gente che non ne poteva più della brutale disciplina, il grande Cadorna aveva la bella abitudine di ricorrere al metodo romano della “decimazione”, per dare l’esempio: faceva mettere in fila i suoi soldati, e ogni dieci ne faceva fucilare uno. La sconfitta di Caporetto e il dilagare delle truppe austriache, che in un solo colpo si ripresero quanto avevano perso in due anni di guerra. La rotta segnò il punto più basso dell’impreparazione militare dell’esercito italiano: Cadorna, che attribuiva tutto alla viltà dei soldati, venne rimosso e sostituito con Diaz, anche Boselli venne sostituito con V. Emanuele Orlando e, con uno scatto straordinario di reazione, furono chiamati a combattere i “ragazzi del 99”, cioè i diciottenni, sino ad arrivare allo scontro decisivo di Vittorio Veneto, che fortunatamente andò bene per gli italiani. I 650 mila morti e i due milioni tra feriti e mutilati, in gran parte meridionali, erano poca cosa rispetto ai 10 milioni di morti degli altri stati. All’Italia venne dato il ruolo di potenza secondaria e tutto venne spartito tra le grandi potenze dell’Intesa.  Molto di quanto era stato promesso venne negato: L’Italia avrebbe dovuto avere il Trentino, Trieste, l’intera Dalmazia, l’Albania, le Isole del Dodecaneso, il bacino minerario turco dell’Adalia e partecipare alla spartizione delle colonie. In realtà ebbe ben poco, anche perché dalla guerra erano nate realtà politiche diverse, come la Jugoslavia. In quella scarsa capacità diplomatica, che indusse Orlando a ritirarsi dalla Conferenza di Parigi per protesta, salvo poi ritornarci col cappello in mano, c’era già presente il grosso bubbone del fascismo, attraverso le lamentele dei nazionalisti  che parlavano di “vittoria mutilata” e che gettavano fango su un parlamento dove la maggioranza liberale da sempre al potere, doveva fare i conti con socialisti, popolari e nazionalisti, ma soprattutto con un grande movimento di ribellione che portò all’occupazione delle fabbriche tra il 1919 e il 1921. In fondo i fatti avevano dato ragione al vecchio Giolitti, il quale aveva sostenuto, sin dall’inizio, che, restando neutrale, l’Italia avrebbe potuto ottenere “parecchio”, ma che fu deriso da coloro che spasimavano per la guerra, come “l’uomo del parecchio”.

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