To lock or not to lock: Amleto ai tempi del corona virus (Alessio Pracanica)
To lock or not to lock
“Il derubato che sorride,
ruba qualcosa al ladro,
ma chi piange per un dolore vano,
ruba qualcosa a sé stesso. “
(Otello, atto I, scena III –W. Shakespeare)
Chiudere o non chiudere, questo è il dilemma.
Se sia più nobile soffrire i dardi e i proietti d’atroce pandemia,
intascando lo spicciolo consenso di esercenti, imprenditori e pizzicagnoli,
o impugnare le armi contro la virulenza,
distanziando per cagionarne la fine.
Pagare, indebitarsi…
Nient’altro e con un recovery fund annunciare
che leniamo il dolore del Pil
e tacitiamo i mille tumulti dello spread.
Chiudere, aprire, spalancare, socchiudere forse.
Ivi è l’ostacolo, giacché da quello spiraglio
quanti fatali miasmi possano derivarne,
è cosa che deve farci riflettere.
È questo lo scrupolo,
ponderando l’angoscia che una vita troppo lunga
induce in un direttore dell’Inps.
Chi infatti sopporterebbe l’aumento della spesa,
le torme di invalidi,
la tediosa insistenza degli ammortizzatori sociali,
quando potrebbe alfine darsi pace,
con un semplice decreto?
Chi vagherebbe, grugnendo e sudando,
onusto del peso d’un paniere Istat,
se il timore del sovranismo,
paese inesplorato da cui nessun Boris Johnson ha mai fatto ritorno,
non sconcertasse ogni volontà?
Così la coscienza ci rende tutti codardi
e il colore della risolutezza è reso malsano
dalla pallida cera di insignificanti alternative.
E imprese di grande altezza,
come terminare regolarmente il campionato di calcio,
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azioni.
(DPCM della Presidenza del Consiglio, Atto III, Scena I)
ALESSIO PRECANICA