Giuseppe Di Matteo, “u canuzzu”
Oggi è il 25° anniversario della morte di Giuseppe Di Matteo, ucciso l’11 gennaio 1996. Oggi avrebbe 39 anni.
Giuseppe Di Matteo fu rapito il pomeriggio del 23 novembre 1993 a quasi 13 anni su ordine di Giovanni Brusca, boss di San Giuseppe Jato. I sequestratori si travestirono da poliziotti della DIA invitando il ragazzo a seguirli, e facendogli credere che doveva rivedere il padre, allora sotto protezione. Dice Spatuzza: “Agli occhi del ragazzo siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi. (…) Lui era felice, diceva ‘Papà mio, amore mio’ “. Il ragazzo fu legato e lasciato nel cassone di un furgoncino Fiat Fiorino, prima di essere consegnato ai suoi carcerieri. Fu chiaro che il rapimento era una chiara minaccia nei confronti di Santino Di Matteo, affinche ritirasse le sue rivelazioni a proposito della strage di Capaci. Per un anno venne spostato in varie masserie disabitate del trapanese e dell’agrigentino e nell’estate 1995 fu rinchiuso in una tana ricavata nel sotterraneo di un casolare-bunker costruito nelle campagne di San Giuseppe Jato, dove rimase per 180 giorni fino alla sua uccisione. Dopo la sua condanna all’ergastolo per l’omicidio di Ignazio Salvo, Brusca ordinò l’uccisione del ragazzo, dimagrito e indebolito per la prolungata e dura prigionia: venne strangolato e successivamente sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996, poco prima di compiere 15 anni, dopo 25 mesi di prigionia, 779 giorni. I suoi carnefici lo chiamavano “u canuzzu”, viste le condizioni di abbandono, di sporcizia nelle quali lo costringevano a vivere, in una sorta di buca al buio, peggio di un cane.
La ricostruzione che il suo assassino Vincenzo Chiodo ha fatto nel corso del processo, è uno dei racconti più agghiaccianti dei livelli di barbarie e di ferocia raggiunti dalla mafia.
“Io ho detto al bambino di mettersi in un angolo, cioè vicino al letto, quasi ai piedi del letto, con le braccia alzate e con la faccia al muro. Allora il bambino, per come io ho detto, si è messo faccia al muro. Io ci sono andato da dietro e ci ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte, me lo sono tirato indietro e l’ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo in questa maniera (incrocia le braccia) e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muoveva. Nel momento della aggressione che io ho butttato il bambino e Monticciolo si stava già avviando per tenere le gambe, gli dice ‘mi dispiace’ rivolto al bambino ‘tuo papà ha fatto il cornuto’ (…) il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era… come voglio dire, non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro… cioè questo, il bambino penso non ha capito niente. Sto morendo, penso non l’abbia neanche capito. Il bambino ha fatto solo uno sbalzo di reazione, uno solo e lento, ha fatto solo questo e non si è mosso più, solo gli occhi, cioè girava gli occhi. (…) io ho spogliato il bambino e il bambino era urinato e si era fatto anche addosso dalla paura di quello ce abbia potuto capire o è un fatto naturale perché è gonfiato il bambino. Dopo averlo spogliato, ci abbiamo tolto, aveva un orologio da polso e tutto, abbiamo versato l’acido nel fusto e abbiamo preso il bambino. Io ho preso il bambino. Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno così l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra. (…) io ci sono andato giù, sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare e ho visto che c’era solo un pezzo di gamba… e una parte… però era un attimo perché sono andato… uscito perché lì dentro la puzza dell’acido era… cioè si soffocava lì dentro. Poi siamo andati tutti a dormire.”
( confessione di Vincenzo Chiodo, uomo di fiducia di Brusca e Bagarella, tratta da Atti del processo del libro “Al posto sbagliato, Storie di bambini vittime di mafia”).