AUGURI, DANILO……(S. Vitale)

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Oggi Danilo Dolci avrebbe 97 anni : il suo messaggio vale ancora

 

Nato il 28 giugno 1924 oggi compirebbe 97 anni. Non è stato solo un profeta della non violenza. E’ stato un sociologo, uno scrittore, un poeta, un infaticabile organizzatore di iniziative per il riscatto della Sicilia, un provocatore, un rivoluzionario, un educatore, un comunicatore, un musicista. Si potrebbe parlare giorni interi della poliedricità di questa persona che scelse di vivere e morire in Sicilia. Ma soprattutto di agire: tutta la sua vita è un susseguirsi di iniziative, digiuni, interventi, progetti, marce, cortei, realizzazioni, scritte murali, conferenze, contatti internazionali con gli intellettuali più noti dell’Europa del ‘900. Una delle sue iniziative più eclatanti fu la nascita, si potrebbe dire l’invenzione della prima radio libera nata per far conoscere al mondo la disumana condizione dei sopravvissuti, al micidiale terremoto del Belice del 14 gennaio 1968. A due anni di distanza non era stato fatto niente e da lì nacque un grido d’aiuto  attraverso Radio Libera Partinico, da Danilo stesso chiamata “La radio dei poveri cristi” xhe mise in onda un messaggio e una serie di voci per 27 ore, sino all’irruzione delle forze dell’ordine.

“S.O.S, S.O.S. Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale attraverso la radio della nuova resistenza….si sta compiendo un delitto di enorme gravità, assurdo, si lascia spegnere un’intera popolazione…….” Questo è l’inizio del messaggio trasmesso il 27 marzo 1970 alle ore 19,30 da Franco Alasia e Pino Lombardo, all’interno di Palazzo Scalia a Partinico . Fuori c’era Danilo e un gruppo di cittadini che ascoltavano il messaggio alla radio, messaggio che continuava: “Uomini di governo, non sentite vergogna a non garantire subito case, lavoro, scuole, nuove strutture sociali ed economiche?… questa è la radio della nuova Resistenza, abbiamo il diritto di parlare e di farci sentire, abbiamo il dovere di farci sentire, dobbiamo essere ascoltati…Qui si sta morendo…. La nostra terra, pur avendo grandi possibilità, sta morendo abbandonata.”

A cinquant’anni, anzi 51 di distanza quel messaggio va riascoltato e riproposto integralmente. E’ vero, non sono più i tempi dei terremotati del Belice abbandonati a se stessi, non sono più i tempi della fame, dell’asino nel tugurio in cui si dormiva, dei bambini seminudi e pieni di scabbia, della mancanza totale di strutture, di scuole, di strade, di acqua, di fogne, di giustizia, ma se facciamo oggi un rapporto con le condizioni della ricca Italia del Nord, troviamo che:

-siamo la regione più povera d’Europa, con il più basso reddito pro capite, con il maggior numero di disoccupati e inoccupati non solo in rapporto al resto d’Italia, ma d’Europa, senza posti di lavoro, o con posti la cui assegnazione è già prestabilita per i cosiddetti figli delle classi sociali più abbienti. Per gli altri l’assistenzialismo provvisorio del reddito di cittadinanza, quando spetta, non può sostituire la dignità di un lavoro.

-siamo la regione in cui aumenta ogni anno, spaventosamente il numero delle terre incolte, abbandonata alla desertificazione, non solo a causa degli incendi, per prevenire i quali non si trovano o non si vogliono trovare né mezzi né uomini, ma per mancanza di servizi irrigui efficienti. Basti pensare che l’acqua della Diga Jato, sognata da Danilo come il polmone per una nuova e ricca terra verde, ha una rete colabrodo di tubature fatiscenti, ancora in amianto, e si perde tra le campagne  perché il servizio di assistenza e di distribuzione non offre alcuna garanzia. In tutto questo è difficile programmare una stagione, con il rischio di trovarsi poi senz’acqua. Ma la mancanza d’acqua va di pari passo con la mancanza di un mercato ortofrutticolo attrezzato, in cui il produttore possa portare i suoi prodotti, senza la certezza di dovere regalare mesi di lavoro a gente che poi, attraverso una serie di passaggi nella filiera della distribuzione, decuplica i prezzi, derubando anche gli utenti, con complesse tecniche di compravendita. La difficoltà di dedicarsi all’agricoltura procede anche con una serie di passaggi burocratici che rendono problematico, se non impossibile, l’acquisto di mezzi e strumenti di lavoro, di trattori, di carburante, di piante e piantine da mettere a dimora.

La pubblica amministrazione è un altro settore dove funzionari spesso inesperti, più spesso corrotti, gestiscono le briciole del potere loro affidato dall’incarico ricoperto, come quello di una bottega privata, rimandando da un ufficio all’altro, alla ricerca di un timbro, di una relazione, di un permesso per avere una licenza di vendita o una concessione edilizia. Di burocrazia si muore, scriveva Danilo. Stranamente invece procede a ritmi velocissimi  la svendita o la concessione di porzioni di territorio, spiagge, strade, zone demaniali, a prezzi irrisori e con profitti altissimi.

Disastroso il discorso sull’edilizia scolastica e sulle attrezzature didattiche. Scuole fatiscenti con aule che spesso sono stanze di locali privati presi in affitto,  dove vengono stipati una trentina di alunni, il doppio di quelli che potrebbero essere accolti per legge. Non parlo del livello dell’istruzione, anch’esso tra i più bassi d’Italia, sia degli alunni che dei docenti , i quali provengono da Università regionali anch’esse prive di attrezzature, strumentazioni, docenti, strutture di formazione e di praticantato. Gran parte dei giovani neodiplomati vanno a iscriversi in università del Nord e, una volta laureati, a lavorare possibilmente anche fuori dall’Italia, impoverendo la popolazione e il livello d’istruzione. Si tratta di un esodo, di un’ondata emigrativa senza precedenti.

Stesso discorso vale per la pesca, su un mare, come il Mediterraneo, sempre più povero, sempre più inquinato, sempre più depredato da tecniche di pesca invasive o da mezzi di protezione di guerra su presunte acque nazionali.

Più drammatico il discorso sui migranti, con una corsa che non si riesce ad arrestare e con il sovraffollamento di strutture recettive non in grado di contenere l’afflusso. Ma questo è un discorso ben più complesso che purtroppo l’Europa ci ha scaricato addosso e di cui non di intravede alcuna via d’uscita.

La viabilità è l’eterno dramma siciliano:  strade vecchie, sfossate, interrotte, con mezzi pubblici di spostamento assenti o carenti, con zone all’interno dell’isola che sembra non si siano ancora affacciate alla civiltà. Le difficoltà di percorrenza sono appena attenuate da un minimo di strutture autostradali, sempre interrotte da cantieri, da crolli, da ripavimentazione. Non si parli di reti ferrate, rimaste al tempo dei Savoia, senza doppi binari e con distanze brevi per percorrere le quali occorrono ore. In tutto questo si parla di Ponte sullo Stretto, senza affrontare il problema di come spostarsi una volta arrivati sull’isola.

Siamo una regione che,  da Cuffaro in poi, sul modello della sanità lombarda,  ha cercato di dirottare i soldi della sanità pubblica alle strutture sanitarie private, un paese senza ospedali, o con qualche ospedale, come quello di Partinico, o quello di Marsala, che si trovano  addosso un’utenza di circa centomila persone e vengono chiusi per diventare centro Covid, salvo poi essere ripristinati, ma senza i già carenti servizi di cui prima disponevano. I viaggi della speranza continuano sistematicamente, così come il travaso di denaro dalle tasche dei siciliani in quelle dei medici del Nord, che offrono, ma non sempre, più garanzie.

La piaga del lavoro nero, del lavoro retribuito molto meno rispetto a quanto risulta in busta paga, del cantiere che lavora eludendo qualsiasi regola, anche sulla sicurezza, del medico che ti dice, con la ricevuta paga 120, senza cento, dello scontrino ridotto ad optional, delle dichiarazioni dei redditi in cui l’orefice o il macellaio  denunziano  20 mila euro l’anno di ricavi,  è uno dei settori in cui prolifica l’illegalità in cui sono esperti senza paura di confronti, i mafiosi, attraverso il controllo dei vari terreni d’accumulazione, dall’edilizia al commercio di droghe, a quello di esseri umani, all’estorsione.

Poco si salva in questo quadro: la presenza dello stato è affidata a caserme, sempre con personale e mezzi ridotti, e quindi con difficoltà a fare i controlli e ad assicurare un minimo di sorveglianza sul territorio. Anche la magistratura in questo è vittima di una deriva in cui i magistrati , sempre sotto organico, sono oberati da un numero non gestibile di processi, senza escludere quelli che contano  su una giustizia, quasi sempre affidata alle capacità dialettiche e alle conoscenze degli avvocati. Lo stato assente si misura anche in questo settore, nel quale il comune cittadino che chiede giustizia.

Sul turismo ben poco da dire: l’immensa ricchezza del nostro patrimonio artistico e culturale finisce giornalmente nelle mani di pochi, diventa un servizio a costi sempre più alti e l’apertura ai turisti è strozzata da prezzi e costi da strozzinaggio da parte delle strutture ricettive, che quando vedono un turista esultano perché vedono il pollo da spennare.

Le politiche sociali in Sicilia  sono ritenute quelle che offrono meno servigi e che vengono usate secondo il consueto obiettivo elettorale, per procacciarsi voti. Chi ha bisogno di istruire una pratica, di chiedere un sussidio, di preparare un curriculum o una dichiarazione dei redditi, di chiedere una licenza, di portare un figlio alla scuola materna, di difendersi da un licenziamento, di inoltrare un ricorso trova la vita complicata da un passaggio all’altro, dopo essere stato sottoposto ad ore di fila, triplicate adesso per la presenza del Covid.

C’è poi l’eterno problema dell’ambiente, della sua salvaguardia, della prospettiva del futuro che noi siciliani non abbiamo, neanche nella forma verbale. Non solo Bertolino, ma depuratori mancanti, rifiuti abbandonati, amianto e rifiuti tossici disseminati intorno, dissesti idrogeologici e avvelenamenti vari di ciò che finisce sulle nostre tavole.,

Si potrebbe continuare all’infinito. In tutto questo c’è ancora qualche bulletto che  grida “Prima il Nord” e qualche siciliano che gli va dietro rinnegando se stesso e i suoi corregionali.

In un articolo scritto all’indomani della condanna per lo sciopero della trazzera, Danilo invita a non perdere la speranza nella lotta per la conquista dei diritti. Rispetto alla siciliana tendenza alla rassegnazione e all’immutabilità dell’ordine delle cose, “l’uomo venuto dal nord” riesce a trasmettere lo stimolo all’azione, a coinvolgere le persone e ad organizzarle per lottare : “La nuova coscienza darà la forza di risolvere i problemi. Non basta l’idea del lievito a far lievitare il pane. Occorre proprio il lievito e nella pasta. E i domani amati verranno, anche se oggi, quasi, non par vero”..

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