Diana Recco: la vendicatrice calabrese (S.V.)
Ho appreso di questa storia a Vibo Valenza, “città del libro” per il 2021, durante la presentazione, proprio nel castello in cui sono successi i fatti, di un libretto, autore Bruno Berlingieri, in cui è raccontata in una “lirica in vernacolo vibonese” la vicenda di Diana Recco.. I fatti si svolsero in un arco di tempo tra il 1420 e il 1518. Un arco di tempo così lungo è motivato da indispensabili premesse storiche per capire la dinamica dei fatti. Nel 1420 Giovanna II d’Angiò, ultima sovrana francese, vendette la città di Monteleone di Calabria a Ciarletta Caracciolo per estinguere un debito di mille ducati. Nel 1479 Ferrante d’Aragona riscattato il debito restituiva alla città il suo rango demaniale. Malgrado una ferma richiesta degli abitanti di non perdere il proprio rango e di non dare in pegno o in vendita la città, rivendicando il diritto di resistere, la città fu rimessa in vendita altre due volte, una dallo stesso Ferrante, l’altra da Federico II d’Aragona che, intorno al 1500, la concesse in governo a Giambattista Brancaccio e ai suoi eredi per 3000 ducati, sotto la protezione militare di Giovanni Lo Tufo. Essendosi i Monteleonesi ribellati, il re, alzando l’ingegno, dietro il pagamento di 3000 ducati, per punizione della ribellione nei confronti di Lo Tufo e di 2000 per risarcimento agli eredi di Brancaccio, restituì il ruolo di città demaniale: così, senza alcuno sforzo, ci guadagnò i 3000 incassati per la concessione e i 3000 per il ripristino della condizione. Ma non era finita: uno zio degli eredi Brancaccio, Ettore Pignatelli, nel 1508 attraverso falsi documenti d’acquisto stipulati con l’ormai defunto Federico II e poi misteriosamente scomparsi, pretese di essere padrone di alcuni feudi, tra i quali Monteleone, suscitando la ribellione degli abitanti, che cacciarono le milizie del tiranno. Nottetempo il predetto Giovanni Lo Tufo riconquistò il castello e invitò i sette capi della ribellione a discutere sulle condizioni di governo della città: una volta dentro li fece catturare e decapitare e fece esporre, come terribile monito, le teste dei sette martiri sugli spalti del castello: tra costoro c’erano Ortensio Recco e suo padre Giovanni. Secondo una leggenda, la notte dell’8 giugno un cavallo bianco scendeva dal castello e percorreva le vie del paese emettendo paurosi nitriti e scintille dagli zoccoli. Dieci anni dopo Diana Recco, ancora ragazzina all’epoca dei fatti, durante il matrimonio della figlia di Lo Tufo, Maddalena, pugnalò e uccise l’assassino di suo padre e di suo fratello e, fatta vendetta scomparve in mare, sul cavallo bianco che, per l’ultima volta attraversò il paese. L’episodio, a parte il cavallo, è riportato da alcuni storici locali e acquista importanza considerato che, nel 1518 una ragazza calabrese, dopo aver covato per dieci anni la sua voglia di vendetta, nei confronti di un potente ed emerito assassino, la porta a termine con freddezza, restituendo al paese la sua usurpata condizione. Un esempio di come le donne, andando oltre la rassegnazione, come in questo caso, di tutti gli altri abitanti vittime del sopruso siano in grado di consumare una vendetta cruenta quando sono ferite nei loro affetti familiari. Qualche altro storico avanza qualche perplessità nel riconoscerle il ruolo di eroina e abbozza l’ipotesi, non suffragata da alcuna prova, che Lo Tufo, per punizione divina, sarebbe morto in mare nel corso di un naufragio, dopo aver compiuto il massacro.