Nel 40° della marcia contro i missili
Corteo contro la guerra in Ucraina
Per una Sicilia e un mondo di Pace
4 aprile 2022 ore 16:30
(da Baden Powell a Fonte Diana)
Acli Sicilia, Addiopizzo, Anci Sicilia, Anpi Sicilia, Arci Sicilia, “Il femminile è Politico”, Centro Impastato, Memoria e futuro, Centro Paolo e Rita Borsellino, Centro Pio La Torre, CGIL Sicilia, Comune di Palermo, Comunità di Sant’Egidio, Comunità Siciliana Islamica, Confcoop Sicilia, Erripa “Grandi”, Fondazione Costa, Fondazione Falcone, Istituto Arrupe, Legacoop Sicilia, Libera Sicilia, UIL Sicilia
Quarant’anni fa giovani di tutto il mondo si riunirono in Sicilia, qui a Comiso, a protestare contro i missili, a fermare la guerra e a chiedere ai potenti del mondo un mondo di pace. Quel giorno servì a qualcosa: i missili non partirono, vecchi muri crollarono, nuovi capi sovietici offrirono la pace. Sembrò che un mondo giovane si avvicinasse. Ma non fu così. Nuovi muri si alzarono, nuove ambizioni si spiegarono, la pace fu derisa, vecchi odi si aizzarono. Sull’unico pianeta tornò a regna- re la guerra.Noi, giovani di allora, chiediamo a voi giovani di adesso: lottate, come noi, per la pace! Nessuno può più vincere nessuna guerra, la guerra è il suicidio idiota di tutto ciò che siamo.
Sono passati quasi 40 anni da quando Giuseppe Fava scrisse questo articolo. Un messaggio sempre attuale nei confronti di chi non ama i suoi simili.
Giuseppe Fava
Ti lascio in eredità i missili di Comiso
Voglio fare un discorso corretto e sereno sui siciliani, premettendo naturalmente che io sono
perfettamente siciliano. Un discorso cioè sulla stupidità dei siciliani. Noi affermiamo spesso
d’essere straordinariamente intelligenti, quanto meno di avere più fantasia e piacere di vivere,
rispetto a qualsiasi altro popolo sulla faccia della terra. Non è vero! La storia è là a dimostrarlo. Da
migliaia di anni siamo semplicemente terra di conquista, gli altri arrivano, saccheggiano, stuprano,
costruiscono qualche monumento, ci insegnano qualcosa, e se ne vanno. Noi ci appropriamo di una
parte di quella civiltà, a volte diventiamo anche i custodi del tempio, in attesa che arrivi un’altra
ondata saccheggiatrice. Siamo quasi sempre colonia per incapacità di essere veramente popolo.
Presi i siciliani ad uno ad uno, può anche accadere che taluno riesca ad esprimere (nella poesia, nel
delitto, nella finanza, nell’arte) attimi di ineguagliabile talento. Sono quelli che ci fottono, che ci
danno l’impressione, spesso la certezza di essere i migliori. Nella realtà, presi tutti insieme, siamo
quasi sempre un popolo imbecille.
L’ultimo monumento civile che gli altri stanno erigendo nella colonia Sicilia, sotto lo sguardo inerte
degli indigeni, sono le rampe per i missili atomi
Discutiamone per un istante poiché si tratta della nostra vita e soprattutto di quella dei nostri
figli. La guerra nucleare è come un assassinio mafioso: non si dichiara ma si esegue, cioè si scatena
senza preavviso e nel momento più imprevedibile. Accade che una delle due parti, nella disperazione di essere condannata alla sconfitta, o nella illusione di poter fulmineamente annientare il nemico e vantare alla fine una popolazione superstite, decida l’aggressione atomica. La quale naturalmente deve essere totale e contemporanea, cercando anzitutto di colpire e distruggere il maggior numero di strutture belliche avversarie. Anche questo è un perfetto principio mafioso: mai dare uno schiaffo al rivale, né sparargli alle gambe, ma mirare direttamente al centro degli occhi in modo da non correre alcun rischio di reazione.
A sua volta la nazione aggredita ha una sola possibilità di sopravvivenza: incurante cioè delle sue
città annientate e dei suoi milioni di morti, reagire quanto più fulmineamente e spaventosamente
possibile, cercando di colpire subito gli obiettivi essenziali dell’avversario, anzitutto naturalmente le
strutture di offesa nucleare. Anche questo rientra nella perfetta logica della lotta: tu mi spari al
centro degli occhi, prima di morire debbo disperatamente tentare di spararti al cuore. L’ipotesi di
guerra nucleare è questa soltanto: una reciproca, folgorante distruzione delle rispettive strutture
atomiche e delle grandi città, dopo di che gli eserciti tradizionali, in tute di amianto e piombo,
cominceranno lentamente ad avanzare, eliminando pietosamente gli agonizzanti e imprigionando i
superstiti.
Tutti sanno questo. Da quarant’anni migliaia di scienziati, generali e politici lavorano a perfezionare
questo progetto di distruzione contemporanea e totale sicché è assolutamente certo che in Russia e America hanno raggiunto in tal senso la perfezione: oramai sono in condizione nei giro di due
minuti di colpire gli obiettivi essenziali del nemico ed essere annientati. Il tutto completamente
computerizzato: all’essere umano non resta nemmeno il compito di premere il fatidico pulsante. Per gli esseri viventi i cervelli elettronici hanno calcolato esattamente il tempo di farsi la croce.
Ciò premesso, per capire esattamente la situazione siciliana, valutare cioè il significato
dell’impianto di missili nucleari in Sicilia, sarebbe opportuno immaginare (ma non ci vuole molta
fantasia) la cronaca di quanto accaduto in un giorno imprecisato dello scorso agosto, poco prima del
mezzogiorno a Mosca, in uno dei misteriosi sotterranei del Cremlino (a prova di offesa atomica
naturalmente, poiché i capi politici ed i massimi strateghi, siano essi duri capitalisti reganiani,
oppure cupi marxleninisti, hanno provveduto per tempo e perfettamente alla loro incolumità e
scamperebbero certamente all’apocalisse atomica, salvo poi essere impiccati dai vincitori o, alla
meglio, essere divorati da qualche affamata banda di superstiti).
Ebbene in quel mattino di quell’imprecisato giorno d’estate, al Cremlino si è riunito un vertice
strategico al quale hanno partecipato ministri della guerra, marescialli e scienziati. Dall’Italia era
arrivata notizia che erano stati concessi i primi appalti per la costruzione della base di missili
nucleari a Comiso. La notizia precisava che gran parte degli appalti erano stati concessi a cavalieri
del lavoro, siciliani e settentrionali, e questo particolare aveva fatto una grande impressione perché
anche al Cremlino è giunta voce della straordinaria bravura e rapidità dei cavalieri nell’esecuzione
delle opere pubbliche. Su una parete del grande salone sotterraneo moscovita si stendeva la mappa
dei due emisferi sulla quale Comiso era indicata come un puntolino rosso e luminoso in mezzo
all’azzurro del Mediterraneo.
La riunione è stata lunga e approfondita. Politici e militari sovietici hanno esaminato tutti gli aspetti
della situazione, al fine di indicare esattamente quali obiettivi in terra russa i missili siciliani
potrebbero eventualmente colpire e, viceversa, da quali basi sovietiche l’impianto di Comiso poteva
essere raggiunto e distrutto nel più breve tempo possibile. Pare che dieci missili a testata atomica
bastino. Si tratta di stabilire perfettamente traiettorie e rotte, roba che i sofisticatissimi congegni
elettronici di punteria possono decifrare in pochissimo tempo. Comunque alla fine è stato deciso di
affidare ad una équipe scientifi – co – militare il compito di mettere perfettamente a punto entro due anni (cioè prima della costruzione della base sia completata) una struttura offensiva che da basi di terra o dal fondo del mare, per mezzo di sommergibili atomici, o forse anche dallo spazio dagli
imminenti satelliti nucleari, possa concentrare su Comiso (guerra offensiva o reattiva non importa)
un uragano nucleare in meno di novanta secondi. Nei calcoli è prevista una approssimazione del
dieci per cento, il che significa che, per avere la certezza di distruggere la base di Comiso nel raggio
di dieci chilometri, viene prevista una distruzione dell’area circostante, per il raggio di cento
chilometri. Vale a dire da Messina a Capo Passero. Circa trecento fra città e paesi e tre milioni di
abitanti.
L’équipe sovietica si è messa subito al lavoro. Scienziati e militari designati accoppiano la disciplina cieca del buon marxista alla paziente fantasia della gente russa. In questo momento
dunque in un laboratorio misterioso del territorio russo, c’è un team di tecnici e strateghi che sta
lavorando esclusivamente a questo progetto: un sistema di offesa nucleare che, in meno di cento
secondi, possa infallibilmente uccidere tre milioni di siciliani in mezzo ai quali ci onoriamo di
essere io che scrivo e voi che leggete, i nostri genitori, fratelli, figli, amici, ed anche le case dove
nascemmo, le strade dove camminiamo, i nostri libri pazientemente raccolti, le fotografie di tre
generazioni, il diploma di laurea, il libretto di risparmio, e tutte quelle altre infinite, minuscole,
preziose cose che compongono la nostra vita. Da quel giorno di estate, mezza Sicilia, quelli che
siamo vivi e quelli che nasceranno, sarà costretta a vivere con questa ipotesi di morte atomica sopra
la testa, un’apocalisse che forse non si verificherà mai e tuttavia niente esclude che possa accadere
(anche per errore) da un momento all’altro in meno di cento secondi. Si sono appropriati di una
parte di noi ed anche di una parte dell’amore per i nostri figli. Un giorno accadrà che i nostri figli o i
nipoti che ancora debbono nascere ci guarderanno negli occhi con un sorriso sprezzante, e ci
chiederanno: voi dove eravate quando fu deciso di costruire la base (di missili a Comiso e
condannarci quindi a vivere una vita provvisoria. Come vi siete permessi di appropriarvi anche del
nostro destino umano prima ancora che fossimo concepiti. Un essere umano afflitto da un’atroce
inguaribile deformità, il quale apprende che il padre pur sapendo che sarebbe nato malato, deforme
ed infelice, volle tuttavia egualmente farlo nascere, ha il diritto di sputare in faccia al padre.
E mentre questa cosa terribile accade, la nostra massima reazione è stata una lamentosa protesta
dell’assemblea regionale, i politici siciliani si sono intabarrati nel loro impaurito silenzio, i sindacati
nazionali disposti a battersi furentemente per le “una tantum” sono rimasti in stato di ebetudine,
migliaia di buoni ragusani hanno espresso soprattutto la loro preoccupazione sull’equo prezzo degli
espropri per gli impianti militari, altri stanno febbrilmente organizzando qualche buona iniziativa
commerciale, alberghi, villaggi turistici, balere, ristoranti tipici (da quelle parti si fa la migliore
salsiccia del mondo). Inutile indignarsi se da cento anni lo Stato italiano ci tratta da colonia. Per
incapacità politica e per strafottenza popolare, troppo spesso meritiamo di esserlo. E invece sarebbe
tempo che imparassimo ad essere finalmente padroni del nostro destino storico, specie quando esso coincide con una grande causa civile e umana.
(I Siciliani, gennaio 1983)