MORTE DEL MARESCIALLO LOMBARDO, «HOUSTON, ABBIAMO UN PROBLEMA»
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Nelle motivazioni della sentenza del procedimento “Bagarella e altri” pubblicate lo scorso 5 agosto, come già indicato ieri, è tracciato un affresco complessivo del contesto in cui si sviluppò l’interazione tra i Ros e la compagine mafiosa attraverso quella definita in sentenza come una «improvvida iniziativa» finalizzata a «fermare l’escalation di violenza mafiosa ed evitare nuove stragi».
Nella parte che riguarda quanto fatto al fine dell’arresto di Totò Riina, si tratteggia il ruolo determinante che ebbe il Maresciallo Antonino Lombardo, al tempo comandante della stazione dei CC di Terrasini ma già collaboratore del Ros .
«Più esattamente, già alla fine di luglio (del 1992, ndr), secondo la scansione temporale accertata nel processo che vide MORI e DE CAPRIO imputati di favoreggiamento aggravato in relazione all’episodio della mancata perquisizione del covo di RIINA — entrambi assolti con la formula “perché il fatto non costituisce reato” con sentenza emessa dal Tribunale di Palermo il 20.02.2006, confermata in appello e divenuta irrevocabile – e secondo quanto ha dichiarato il Generale MORI al processo BORSELLINO ter, risalirebbe una prima riunione operativa alla caserma dei Carabinieri di Terrasini. Il numero e il livello dei partecipanti denota l’importanza di quella riunione. Erano infatti il presenti M.llo LOMBARDO, all’epoca ancora comandante della locale stazione dei CC, il suo superiore gerarchico, Capitano BAUDO, comandante della Compagnia CC di Carini, nonché il Col. Sergio CAGNAZZO, vice comandante operativo della Regione Sicilia e, per il R.O.S., il Maggiore Mauro OBINU, comandante del Reparto Criminalità Organizzata, il Capitano ADINOLFI, comandante della Sezione Anticrimine di Palermo, il Capitano DE CAPRIO, comandante della I sezione del Reparto C.O.: “Lo scopo era quello di costituire una squadra composta sia da elementi del ROS che della territoriale, che avrebbe dovuto occuparsi in via esclusiva delle indagini finalizzate alla cattura di Salvatore RIINA. Al Mar.llo Lombardo, soggetto ben inserito nel territorio e profondo conoscitore della realtà mafiosa, in grado di disporre di utili canali confidenziali (tra questi, quel Salvatore Brugnano che, successivamente all’arresto del Riina, sarà sospettato dal gotha mafioso – come ha riferito in dibattimento il collaboratore Brusca – di aver contribuito alla cattura del latitante), venne affidato l’incarico di attivare le sue fonti al fine di reperire notizie che potessero essere sviluppate dal ROS, con l’effettuazione delle necessarie e conseguenziali attività di indagine, in direzione della ricerca del boss corleonese”».
Le capacità e qualità investigative, oltre che di analisi del fenomeno mafioso, del M.llo Lombardo si evincono anche da quanto si segnala al riguardo indicando che «il ruolo del M.llo LOMBARDO, che prima ancora transitare nei ranghi del R.O.S. era ritenuto dal Col. MORI, per sua stessa ammissione, un prezioso collaboratore del Raggruppamento, per il suo acume investigative, come asserito da MORI, certamente; ma anche perché, ad onta del suo incarico non proprio di primo livello (Comandante della piccola stazione dei CC. di Terrasini) disponeva di fonti confidenziali ritenute affidabili. E il territorio in cui il M.llo LOMBARDO operava e intratteneva i suoi contatti con le sue fonti era la zona di Cinisi-Terrasini e dintorni: ossia una zona in cui Bernardo PROVENZANO, per tutta una lunga fase della sua latitanza (fin dalla prima metà degli anni ‘70) aveva letteralmente messo radici anche messo su famiglia, sposando una “cinisara” (Benedetta Saveria PALAZZOLO), come la apostrofa RIINA in una delle conversazioni con la “dama compagnia” LO RUSSO captate al carcere di Milano Opera, rivolgendole peraltro convinti attestati stima affetto (al punto di farne una delle ragioni per aveva voluto bene allo stesso Binnu, cioè a PROVENZANO) anche per fatto che aveva saputo diventare una “corleonese”, dimenticando sue origini, ossia provenienza da territorio che – verosimilmente per essere stato il regno di Gaetano BADALAMENTI, ma anche perché non ci si poteva fidare cinisari – non era cuore di RIINA. Proprio la conoscenza del territorio, delle sue dinamiche mafiose e i suoi confidenti permisero al M.llo Lombardo di raccogliere le prime, ma importanti, informazioni su chi si facesse carico della latitanza dei Riina perché «a fine settembre, nel corso di una nuova riunione operativa non meno riservata della precedente, sempre alla presenza del Capitano De CAPRIO e del Maggiore OBINU, entrambi sotto il comando del Col. MORI, loro diretto superiore gerarchico n.q. di vicecomandante operativo del R.O.S., il M.llo LOMBARDO riferì l’informazione ricevuta dalle fonti, secondo cui era Raffaele GANCI, capo della potente famiglia mafiosa della Noce di Palermo a farsi carico in quel momento, insieme ai suoi figli, di proteggere la latitanza Salvatore RIINA (…) e degne di fede – tanto da farne discendere l’attivazione di una specifica operazione investigativa con l’allestimento di una squadra catturandi, al comando del Capitano DE CAPRIO – furono ritenute le informazioni acquisite alla fine di luglio-primi di agosto sempre dal M.llo LOMBARDO attraverso le proprie fonti, secondo cui era Raffaele GANCI con i suoi figli a farsi carico direttamente di curare la latitanza di Salvatore RIINA: una soffiata che si rivelerà fondamentale, oltre che esatta, per le successive indagine sfociate nella cattura del capo di Cosa Nostra, e che poteva provenire solo da persone che facessero parte dell’entourage dello stesso RIINA o avessero contatti stretti con soggetti che ne facevano parte».
Ma il suo contributo fondamentale nella cattura di Totò Riina fu, sicuramente, una delle cause della sua morte perché riuscì a “forare” quella bolla di omertà mafiosa tant’è che «quando si venne a sapere che il M.llo LOMBARDO aveva dato un contributo fondamentale nella cattura di RIINA, per avere ricevuto una soffiata preziosa, ha detto BRUSCA, cominciarono a sospettare che DI MAGGIO non avesse avuto il ruolo determinante che gli era stato attribuito e ad interrogarsi, insieme a BAGARELLA (del quale ricorda un commento sprezzante alla notizia del suicidio del povero LOMBARDO: “se sapevo, invece di farti suicidare ti sarei venuto a cercare e ti avrei ammazzato io”) su chi potesse avere passato al M.llo LOMBARDO le notizie che erano servite poi all’indagine sfociata nell’arresto di RIINA. E i sospetti ricaddero su Francesco BRUGNANO, che sapevano essere un confidente di Partinico, il quale poteva essere collegato a soggetti dell’area, tra virgolette, provenzaniana».
Houston, abbiamo un problema
Che la mafia abbia deciso di “chiudere i conti” con il M.llo Lombardo ritenendolo una spina nel fianco non solo per la cattura di Riina ma anche per le sue indagini su quel territorio che ben conosceva e che miravano a svelare affari e collusioni che, dopo la sua morte, sarebbero stati sviluppati anche in nome di un nuovo modello di antimafia che null’altro era che non una trasformazione in quella c.d. “mafia liquida” in grado di permeare il territorio in tutti i suoi interessi sia politici sia economici, può essere ritenuto lecito ma, se è vero questo assunto, appare evidente che “Houston, abbiamo un problema”. Sì perché il corpo del M.llo Lombardo non fu trovato senza vita in un auto parcheggiata in un posto qualunque, ma all’interno della caserma dei CC “Bonsignore”, oggi dedicata a Carlo Alberto dalla Chiesa e sede del Comando Legione Carabinieri Sicilia, il cui accesso, si ritiene, era sottoposto a controlli e riscontri rigorosi. Improbabile, quindi, che un gruppo di fuoco, anche composto di una o due persone, sia potuto entrare nella caserma per uccidere Lombardo ma non si può escludere, anche a seguito di una serie di contraddizioni emerse nelle archiviate indagini, che il M.llo Lombardo, o meglio il suo corpo, sia stato portato in quella caserma già senza vita. La mancanza di una perizia calligrafica sulla presunta lettera di “giustificazione” del suicidio, l’approssimazione della perizia balistica, la non effettuazione di un’autopsia “come atto di riguardo” nei confronti della famiglia, la tardiva riconsegna del giaccone di Lombardo, non ritrovato nell’auto che conteneva il suo corpo, la scomparsa della borsa che portava con sé e altre critiche evidenze, tracciano un quadro che, inevitabilmente, porta a ritenere che l’interesse della mafia alla eliminazione di Lombardo possa essersi accompagnato ad altri interessi, interessi che hanno permesso le complicità necessarie per la “costruzione” della scelus scaena, la scena del crimine.