“O con me o contro di me” (Salvo Vitale)
Troviamo la frase “con me o contro di me” nel vangelo di Matteo (12,30) e in quello di Luca (11,23) “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde.”
La frase di Cristo fa seguito a un contesto in cui egli, dopo aver guarito un indemoniato sordo e muto è accusato dai farisei di agire in nome di Belzebù e reagisce sostenendo di agire in nome dello Spirito, dicendo: ”Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del figlio dell’uomo sarà perdonato, ma la bestemmia contro lo Spirito non gli sarà perdonata né in questo secolo né in quello futuro”. Quindi una contraddizione rispetto all’affermazione “O con me o contro di me”, poiché Cristo è disposto a perdonare anche chi è contro di lui, ma non chi è contro lo Spirito, da assumere come l’entità suprema oltre la quale c’è il male, cioè Belzebù: sullo sfondo c’è il Giudizio universale, quando “di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato”. Altra contraddizione sembra esserci nell’importanza data alle parole e non ai fatti, motivata dal fatto che la gente falsa, (i farisei) dice cose apparentemente buone per nascondere la propria cattiveria” (Matteo 12, 34-36). Ma se predica bene e razzola male, e se va giudicata dalle parole, alla fine non dovrebbe essere condannata. Chiaro che non si possono espungere singole frasi da un contesto e che tutti i vangeli presentano discordanze e contraddizioni che alla fine si sciolgono in una globale prospettiva escatologica.
“O con me o contro di me” nasconde un’altra apparente contraddizione con tutto il messaggio cristiano, fondato sull’amore del prossimo, il perdono, la misericordia: col tempo questa frase è diventata la bandiera di tutte le intolleranze, i fanatismi, le condanne, gli odi, le violenze, le inimicizie, le esecuzioni, gli attentati. Chi la pensa diversamente da me è un nemico. Non esiste una terza ipotesi “né con te né contro di te”, perché già questo significa non essere “con me”, è già essere “contro di me”: “tertium non datur”. Tale posizione è più radicata in chi professa un credo religioso o un credo politico, ma ci sono anche le discriminanti razziali, quelle su cui ruota il complesso campo della sessualità, quelle su aspetti etici e giuridici, tipo la pena di morte. Per una componente strutturale, chi, o per scelta personale, o per eredità storica ed ambientale, o per intimo bisogno di credere in qualcosa che si assume per certa in un mondo popolato di incertezze, si porta appresso una fede, un credo, un binario ideologico, una religione, un messaggio salvifico quasi sempre elaborato e trasmesso da altri, nel momento in cui è necessario mettere a confronto le proprie certezze con quelle degli altri, si sente chiamato o a condividerle o a combatterle.
Il “diverso” diventa oggetto di ostilità, molto più intensa se si tratta di un eretico, cioè di qualcuno che non ha condiviso in un certo momento, solo qualche aspetto della monolitica e indiscutibile dottrina scelta come vero e proprio modulo esistenziale, come ortodossia. Le purghe staliniane e il maccartismo americano, Trotsky o Sacco e Vanzetti sono vittime della politica tanto quanto Giordano Bruno e Giovanni Huss lo sono della religione. La “divergenza” finisce anche con il giustificare la negazione della regola del rispetto della vita come dono di Dio, professata da chi emette la condanna.
Fra l’altro l’opposizione e la contrapposizione servono a rafforzare la propria idea, specie quando nello scontro ne esce vincente una delle due parti, mentre l’altra si rifugia, si arrocca dietro una giustificazione di “minoranza” incompresa, ma che sa di vedere molto più lontano del vincitore, si pensi allo slogan consolatorio “meglio pochi ma buoni”. E qui si tracciano percorsi salvifici, scenari di mondi perfetti poggiati sulla felicità universale da venire, destinati agli eletti, successivi al giudizio universale, quando ognuno riprenderà il suo corpo, o altri mondi quelli perfettibili fondati sull’uguaglianza totale, tipici del comunismo o dell’anarchia, che vorrebbero realizzare sulla terra quello che gli “avventisti” credono realizzabile nell’aldilà. Il tutto è infarcito da una terminologia militare, la lotta, la battaglia, lo scontro, la vittoria, la sconfitta, la “pugna”, dove i protagonisti, schiavi di quell’idea, ma convinti di essere portatori della verità, diventano combattenti, guerrieri, crociati, soldati, alfieri, corifei. Combattere per un’idea è comunque una scelta e un impegno rispetto all’indifferenza che appiattisce tutto, ma servirsi della violenza, non solo verbale, per diffondere e propagandare questa idea ne caratterizza già il fallimento, dal momento che nessuna idea imposta con la forza ha lunga vita.
Il confronto, la dialettica, la reciproca attenzione al contributo che ogni confronto può dare nell’arricchire, nel migliorare la propria posizione, sembrerebbero i passaggi più logici e naturali, gli strumenti sui quali si dovrebbe fondare qualsiasi società civile per migliorare “insieme” la propria condizione. E invece essere educati diventa sintomo di debolezza, la correttezza con la quale si vuole intrattenere un rapporto diventa, da parte del più furbo, la fenditura per la prevaricazione.
Questi sono tempi in cui sembrano rinascere oscuri fantasmi di morte, bisogni di scontri, rumori di guerra, ostilità e condanne irrevocabili, deportazioni, nuove schiavitù, razzismi, intolleranze, estenuanti sovrapposizioni urlate di linguaggi e parole si pensa di avere ragione urlando e impedendo all’altro di farsi ascoltare. Il clima si è più incattivito con l’avvento di formazioni politiche definite inopportunamente “populiste” e legate a leaders la cui ambizione è pari alla capacità di cambiare idea o linea sapendo di potere in ogni caso contare sul pecorone di turno che si riterrà soddisfatto di avere qualcuno che parla per lui. Non ci sono discussioni o interpretazioni che tengano quando parla lui. “Ipse dixit”. Nulla di diverso dal “Mussolini ha sempre ragione” o dall’infallibilità del pontefice romano quando parla “ex cathedra Petri”.
Oggi c’è di più: il dialogo sembra essere soffocato dai messaggi internet, necessariamente frutto del proprio giudizio che non accetta confronto o se ne sottrae per paura di essere rimesso in discussione. Ma soprattutto è venuta meno la “socializzazione” che caratterizzava il percorso storico dell’umanità, direi sino all’ultimo scorcio del secolo scorso, ovvero la capacità di incontrarsi, di sentire il suono delle voci, di vedere il fluido che esce dagli occhi, l’odore stesso che emanano i corpi, di avvertire simpatia, attrazione, repulsione, diffidenza al momento del confronto, di elaborare analisi, riflessioni, decisioni, conclusioni comuni nelle quali la perdita di una parte non significa sconfitta, ma arricchimento se questa perdita è rafforzata da altri contributi. La sorte dell’uomo moderno, che non credo decisa dai pochi e misteriosi “padroni del mondo”, è quella di essere condannati alla solitudine, il cui referente è il computer o il cellulare, o il televisore o di intravedersi e dissolversi tra le masse oceaniche, agli stadi per un concerto, una partita, in cui si urla insieme per qualcuno, spesso un furbastro o un imbecille pompato dai mass media, in cui identificarsi, prima di tornare nella propria solitudine.
Contrapposizione
Mi hanno strutturato bene
e adesso lo so,
io sono contro tutto e contro tutti,
contro quelli che la pensano diversamente da me,
contro quelli che concordano,
perché rubano la mia singolarità,
mi sento rappresentato
dalla e nella contrapposizione
che mi dà un’identità,
mi fa contare,
mi rende agente di un meccanismo
dove mi riconosco,
soldato di una causa
per la quale val la pena di lottare,
far valere le mie ragioni,
che non sono mie,
ma che sono state costruite per me,
l’arma di pochi per addormentare tanti.
E così siamo tutti “diversamente” allocchi
protagonisti o vittime del cecchinaggio.
Ognuno è fesso per l’altro
e l’altro è la vittima di turno!
Vaghiamo carponi alla ricerca di un’uscita,
seppur d’emergenza
per emergere dal pantano in cui ci hanno affogati
e tutto ciò di cui siamo capaci
è di stare attenti a non sporcarci l’abitino!
Rielaborazione di un post pubblicato il 26.2.2011 sul sito di B.Grillo, a firma Anthony,
PUBBLICATO SU ANTIMAFIA DUEMILA 12.11.2017