RIPRENDERE GRAMSCI (Salvo Vitale)
Rileggendo Gramsci ci si accorge come ci sono scarse possibilità per uscire dal tunnel in cui è intrappolata la nostra esistenza. Prima fra tutti la rinuncia a far valere la propria volontà, a fermare le leggi che una cricca di cialtroni, fra l’altro ben identificata, riversa sul nostro capo. Una cupa rassegnazione ci spinge ad accettare le prepotenze di una presunta maggioranza eletta in barba a tutte le regole di una normale democrazia elettorale, senza che si veda all’orizzonte la spinta di una vera rivolta, la ribellione organizzata e fatta risposta brutale alla brutalità dei neofascisti che si atteggiano a padroni. Rivolte e ammutinamenti, che Gramsci intravedeva come risposta ancora possibile, ora sembrano reperti del secolo scorso, tutto è fermo. E i pupari muovono i fili sapendo bene che la maggioranza dei pupi accetta di farseli muovere , che la loro volontà non è messa in discussione imbastardita dall’uso della delega, ha rinunciato alla facoltà di alzare lo scudo, all’impegno di sapersi organizzare: lascia fare, lascia promulgare le leggi caratterizzate dalla demagogia del consenso, ritagliate a propria misura, lascia ammuffire uomini e regole che solo un improbabile “ammutinamento” potrebbe rovesciare.
“Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Antonio Gramsci, 11 febbraio 1917