L’uno e il molteplice (S.V.)
La dualità, la dialettica, la scissione, è il momento in cui la compatta unità del tutto si infrange, anche se si volesse leggerla come corsa verso la distruzione per una sua necessaria successiva ricomposizione all’infinito. Dalle lontane origini, Zoroastro, Mani , Pitagora, l’unità dell’essere si frantuma nel suo non essere unità, nel suo caratterizzarsi come diversità, rispetto alla sua identità originaria di cui parlava Parmenide. E così il bene che si osserva e si definisce, diventa, andando oltre se stesso il male, il pari si scopre tale grazie al dispari, ma anche la dualità si moltiplica all’infinito in una serie di sottoinsiemi. Siamo a Democrito e ci potremmo fermare.E invece la metastasi divisiva platoniana procede inarrestabile nello sdoppiamento iperuranio-mondo terrestre, corpo anima, materia spirito, peccato-grazia, paradiso-inferno. Tutti questi dualismi alla fine trovano il loro coagulo finale in un fantomatico ente chiamato dio e considerato l’origine, se non il responsabile del tutto, quindi si tratta di falsi dualismi, a parte il manicheismo.
In realtà le origini sono ben più lontane, nella tradizione del primo pensiero cinese, il taoismo, quando dalle due facce del giorno e della notte si individuarono i due colori di bianco (yang), il lato soleggiato, e nero (yin) il lato in ombra della collina, e di lì, a seguire, ogni aspetto della natura, dalla medicina , alle arti marziali. Le dualità cinesi non sono antitetiche come quelle occidentali, ma sono complementari, sono due polarità energetiche che s’incontrano e si completano, o che prendono origine una dall’esaurimento dell’altra, come il giorno che nasce dalla fine della notte. E in tal senso si tratta di apparenti dualismi che prendono origine dal Polo supremo o Taiji e sembrano diluirsi nella grande sfera dell’universo, tra confusione-chiarezza, luna-sole, passività-attività, freddo-caldo, più-meno, terra-cielo, uomo-donna ecc. niente può essere interamente yin o interamente yang, nel senso che in ogni forza è presente il concetto di yin e yang . la radice di uno si intreccia con l’altro, l’uno non può esistere senza l’altro.
Questa dell’uno che si divide in due e che torna ad essere uno, a dividersi e a riunificarsi, ha un solo difetto, ovvero che gli stronzi, il numero dei quali, dice Einstein è vicino all’infinito, si uniformino e si amalgamino all’insieme, contribuendo a farne abbassare il livello intellettivo e l’evoluzione positiva. Una sorta di entropia della stupidità cui l’umanità andrebbe incontro.
Bruno aveva fatto appena fatto in tempo a teorizzare, c’è chi sostiene che è meglio dire ”intuire”, la causa, principio et uno che già Cartesio riproponeva su nuove basi il dualismo platonico anima-corpo chiamandolo res cogitans e res exstensa.Ulteriore ricomposizione unitaria nel grande Spinoza del deus sive natura e ancora una frammentazione nelle monadi senza finestre di Leibniz , alle quali il suo autore avrebbe fatto meglio a dare fili e aperture di collegamento intermonadico. SI potrebbe approfondire il solco con il dualismo kantiano tra fenomeno e noumeno, con il monismo dell’idealismo tedesco, per arrivare a quello italiano di Gentile o a quello dell’arcana volontà di potenza di Schopenhauer e Nietzsche alla quale è difficile dare esistenza fisica, ove si escluda che ogni essere vivente è una sua espressione. Cito solo tra gli altri innumerevoli passaggi l’intenzionalità di Husserl, le considerazioni tra essere e tempo di Heidegger o a quelle tra l’essere e il nulla di Sartre. Anche in Fisica si passa davanti alla difficoltà di una mediazione tra il movimento ondulatorio e teoria quantistica, alla ricerca della particella non più divisibile. Questa questione che oggi sembrerebbe d’altri tempi è invece sopravvissuta nei secoli e oggi si ripropone, se è vero che l’unità degli insiemi è un altro insieme che si riapre all’infinito, non come perfezione compiuta, ma come imperfezione che si perfeziona nel suo divenire: cosa di cui non ce ne dovrebbe importare niente e che per contro ci mette davanti a gran parte dell’umanità che ama rifugiarsi nell’inesistenza della figura ultima per ridurla ad esistenza. Ciò che invece è drammatico è lo scatenamento dell’odio e la mostruosa ricerca del far male, di cui oggi avvertiamo parecchi rigurgiti, come se l’equilibrio col bene si fosse spezzato e non abbia intenzione di ricomporsi. La parola pace sembra essere diventata la carta d’identità di paurosi, vigliacchi, deboli, inermi, senzapalle, mediocri, nell’assenza o nel ripudio di qualsiasi momento d’incontro con quello che non è conforme al proprio modo di essere. Alla fine di morire ci si stanca, di vivere si ha voglia. E anche vero che l’imbecillità umana è capace ancora di arroccarsi nel “mors tua vita mea”, ma è un gioco troppo rischioso, almeno sino a quando il pianeta ha risorse sufficienti per tutti. Se queste invece cominciassero a venir meno e se dovesse continuare il travaso di ricchezza nelle tasche di pochi ”padroni del mondo”,avremmo un ripresentarsi di nuovi e ben più pesanti conflitti sui cui sviluppi non ci vuole grande immaginazione nel fare previsioni.Circa la frammentazione dell’essere in una serie d’infiniti rivoli non più controllabili, sul campo restano le tentazioni del cosiddetto pensiero unico, i tentativi di omogeneizzare i modi di pensare, di comprare, di veicolare e diluire attraverso i cellulari la tensione e la voglia di costruire valori e scelte politiche, nel momento in cui si suggerisce che è preferibile tacere, allinearsi, lasciar fare.
C’è un’ultima nota che estende il rapporto unità-molteplicità dal campo ontologico a quello economico e politico. Troppo facile vedere nell’uno colui che tiene nelle mani tutto, ovvero il dittatore, smorfiato a seconda delle condizioni e della storia del popolo di cui si fa guida. Il comunismo potrebbe essere anch’esso il convogliamento delle parti, date dagli esseri umani, verso l’unico, ovvero un organismo centrale di gestione della dittatura del proletariato, in attesa della fine di ogni sovrastruttura compreso lo stato, ma proprio in questa prospettiva finale si sgranerebbe ogni potere nelle mani di ogni essere umano, sino a rendere impossibile qualsiasi ricomposizione, pena il fallimento del progetto. Difficile immaginare come gestire questo stato di cose, al quale l’umanità non è stata mai abituata a pensare. Con i rischi di sempre: Il massimo della democrazia, affidato al solito capopopolo, sino all’emergere di conflitti interni che ne provocherebbero l’estinzione.