Cara di Mineo tra proteste e inchieste parlamentari (Alessio Di Florio)
Esplode la protesta dei migranti del Cara di Mineo dopo le nuove disposizioni del Comitato per l’ordine e la sicurezza. Intanto la Commissione parlamentare d’inchiesta ne chiede la chiusura, confermando le denunce di associazioni e movimenti.
Un lunghissimo serpentone che occupa parte della carreggiata. È questa la situazione, monitorata dalle forze dell’ordine, che ha animato la Catania-Gela fino alle 13 di oggi (27 giugno, ndr). Centinaia di migranti sono scesi in piazza per protestare contro le nuove imposizioni del Comitato provinciale per l’ordine pubblico e la sicurezza all’interno del Cara di Mineo. Convocato dalla Prefettura, il Comitato ha recentemente deciso di imporre nuove restrizioni, tra le quali il divieto di cucinare negli alloggi e di allestire piccoli spazi commerciali all’interno della struttura. Ai giornalisti accorsi i migranti stanno mostrando vestiti rovinati e bucati. Con la possibilità di vendere qualcosa, sostengono di potersi comprare abiti migliori.
Negli ultimi anni il Cara di Mineo è stato protagonista, a partire da Mafia Capitale, della cronaca giudiziaria. A questo si aggiungono le innumerevoli denunce, soprattutto di associazioni e movimenti antirazzisti, sulle invivibili condizioni al suo interno. L’attuale protesta – al contrario di quanto già dichiarato dal leader della Lega Nord, Matteo Salvini, non è una protesta da “signorini” per il caldo.
Nel mese di gennaio la Rete antirazzista catanese, il Comitato No Muos, l’Associazione “La Città Felice” e i Cobas Scuola di Catania sono tornati a chiedere la chiusura immediata del Cara di Mineo. E in questi giorni si è aggiunta una nuova voce a sostenerne la necessità: una Commissione parlamentare d’inchiesta. Alcuni parlamentari, dopo sopralluoghi del 26 maggio 2015 e del 7 luglio 2016, hanno documentato contesti “spesso invivibili e lesivi della dignità umana”, gravi problemi di sicurezza e “vere e proprie infiltrazioni mafiose”. Condizioni igieniche precarie, appartamenti fatiscenti, evidente carenza dell’attività di manutenzione della struttura, servizio medico deficitario, mancanza di spazi di socialità, insufficiente mediazione linguistico-culturale. La relazione finale descrive una situazione dantesca. Un quadro di “opacità di gestione ed episodi di illegalità” con scelte clientelari dei fornitori, personale assunto per chiamata diretta senza verificare i requisiti professionali, irregolarità nelle comunicazioni al Prefetto e gestione non trasparente dei pocket money.
Nel mirino della Commissione è finito anche il direttore del centro Sebastiano Maccarone, attualmente sotto processo per le accuse di truffa aggravata. Secondo i commissari Maccarone dovrebbe essere destinato ad altro incarico, scegliendo come direttore una persona estranea alle vicende processuali. Appare evidente, conclude la relazione, il collegamento tra il centro e alcuni politici locali. Un intreccio che “lascia trasparire una gestione clientelare del centro anche al fine di acquisire e distribuire vantaggi economici e scambiarli con consensi elettorali”. Il riferimento è soprattutto a Paolo Ragusa (che ha sempre respinto gli addebiti), presidente della cooperativa “Sol. Calatino”, e a rapporti con il “Nuovo Centro Destra”. Una gestione degli appalti oggetto di indagini della magistratura che hanno portato nel febbraio scorso al rinvio a giudizio di 11 persone, tra cui il sottosegretario Giuseppe Castiglione (NCD).
La conclusione non poteva che essere la stessa degli antirazzisti: il Cara deve “essere chiuso nel più breve tempo possibile”. Ma la Commissione va oltre, criticando l’intero sistema di “accoglienza”, il cui approccio è “evidentemente fallimentare”.