Caso Maniaci: il giudizio, la condanna e l’eredità di Telejato
Caso Maniaci: il giudizio, la condanna e l’eredità di Telejato
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- Pubblicato: 10 Maggio 2016
di AMDuemila
Dopo la decisione del Gip Ferdinando Sestito di rigettare la richiesta dei legali di Pino Maniaci di sostituire il divieto di dimora per il direttore di Telejato nelle province di Palermo e Trapani con il divieto di incontro con coloro che secondo l’accusa sono le vittime delle sue estorsioni, si torna a ragionare su quello che è successo. Restano da chiarire diversi punti di cui si dovrà occupare il Gip di Palermo. Se ci sono o meno le estorsioni nei confronti degli amministratori comunali sarà il giudice a stabilirlo. Che dovrà quindi distinguere l’atteggiamento tipicamente “borderline” di Pino Maniaci da un grave reato penale ipotizzato dalla Procura di Palermo. Allo stesso modo è indispensabile investigare a 360° sul “sistema Saguto” e su quella rete di protezione smascherata dalla piccola emittente di Partinico. Sul fronte etico-morale bisognerà necessariamente fare luce su diversi aspetti: le giustificazioni del direttore di Telejato (che si commentano da sole) in merito all’uccisione dei suoi cani, la consapevolezza da parte di Maniaci della responsabilità del marito della sua amante di questo atto intimidatorio, e il ruolo stesso di questa donna nell’intera vicenda. Nel frattempo c’è una piccola televisione che deve sopravvivere a fronte di quello che rappresenta nel panorama dell’informazione libera. Tra coloro che si stanno battendo in queste ore per evitare una sua prematura chiusura c’è Salvo Vitale, storico amico e compagno di Peppino Impastato. Ed è riprendendo alcuni stralci di un suo editoriale che si può osservare questo caso “dall’interno”. Tralasciando l’ipotesi sollevata dallo stesso Vitale in merito ad una sorta di complotto nei confronti di Pino Maniaci (ordito da poteri più o meno occulti all’interno della magistratura), che non trova alcun fondamento, restano degli spunti di riflessione da considerare. “L’identificazione di Maniaci con Telejato – scrive Salvo Vitale –, e quindi l’estensione della pre-condanna nei confronti di 14 anni di lavoro condotti con l’assistenza di decine di collaboratori e di ragazzi che vi hanno ‘buttato il loro sangue’ è una delle ‘carognate’ tipiche di chi vuole affondare tutto il, lavoro di denuncia, di ossessivo sputtanamento degli interessi mafiosi, di lotte ambientaliste, di cultura popolare portato avanti coraggiosamente dalla redazione di questa emittente”. Vitale contesta la decisione del divieto di dimora nei confronti di Maniaci che “era il vecchio sogno del giudice Silvana Saguto, di tutti i vari politici locali, di alcuni settori anche delle forze dell’ordine che Maniaci ha accusato di stare a godersi l’aria condizionata in ufficio e di avere abbandonato il controllo dei territori in mano alla mafia”. “Di tutto questo quotidiano, massacrante lavoro – continua – non si parla più, come se non fossero più esistite o non avessero senso le battaglie per l’ambiente, le innumerevoli denunce fatte dalla titolare della Distilleria Bertolino, accusata d’inquinamento, le campagne contro i mafiosi locali, i ‘Fardazza’, contro la cosca dei Lo Piccolo, contro Riina, Provenzano, Raccuglia, contro le accuse per le amicizie e le collusioni mafiose fatte nei confronti dei politici del circondario, in particolare quelli di Borgetto e Partinico e infine contro alcuni amministratori giudiziari o curatori fallimentari incapaci o truffaldini”. Sono proprio le domande che si pone Salvo Vitale quelle che stimolano una più ampia riflessione. “Perchè i sindaci ‘ricattati’ non hanno sporto subito denuncia, nella loro veste di pubblici ufficiali? Come può proclamarsi alfiere della legalità uno che usa la sua televisione pretendendo di fare paura ad alcuni uomini politici? Vanno bene le denunce, ma non i ricatti, né tantomeno le premeditate demolizioni dei personaggi politici nel mirino”. “E di quale rispetto della legalità si può parlare – sottolinea – se tutte le istituzioni, a suo dire fanno schifo e sono corrotte? Che senso hanno certi deliri di onnipotenza da parte del gestore di una piccola televisione il cui proprietario è spesso costretto a elemosinare per pagare le spese di mantenimento?”. “La sua millantata ‘potenza’ – spiega ancora Vitale – è a mio parere un fatto patologico alimentato dalla convinzione che alcune battaglie sono state vinte o portate avanti solo grazie alla sua emittente, e quindi alla sua persona; la redazione, che giornalmente ci butta l’anima spesso è usata solo come coreografia del grande uomo in vetrina”. “Uno che si atteggia a personaggio pubblico, a paladino della moralità, o come spesso lo accuso di essere, a predicatore – ribadisce – dovrebbe stare attento a tutelare la serietà del suo comportamento e quella della sua famiglia e, se è vero che c’è in mezzo un’amante, tutto assume il contorno di una squallida storia”. Vitale affronta quindi quello che definisce “il discredito degli sciasciani professionisti dell’antimafia e, a catena, di tutta l’antimafia stessa” con relativo “devastante” effetto “a vantaggio degli stessi mafiosi”. L’ultimo aspetto di cui si occupa Salvo Vitale riguarda i cani ammazzati. Una vicenda che, per come è stata raccontata da Maniaci, lo ha “profondamente offeso”. “Era tipico della strategia mafiosa dire che se li era impiccati lui, o che erano stati impiccati per problemi di ‘fimmini’, lo avevo anche scritto, e invece, a quanto pare si tratta dell’azione di un marito cornuto: il Bua citato da Maniaci è considerato ‘lo scemo del paese’, ed è un modo di dire, mentre Maniaci questa cosa se l’è giocata come un attentato mafioso fatto nei suoi confronti”. “La giustificazione da lui (Pino Maniaci, ndr) addotta – evidenzia Vitale – non sta in piedi, anzi non significa nulla. E’ proprio la cosa più triste e mi aspetto da Pino una spiegazione o una dichiarazione, possibilmente nella sua stessa televisione: non solo io, ma le centinaia di persone, soprattutto giovani, che in questa emittente hanno creduto, che ci hanno messo la faccia, il tempo, l’impegno e l’entusiasmo”. “Io, che in questo ambiente ci vivo e ne seguo le metamorfosi, posso assicurare che quell’antimafia (di Pino Maniaci, ndr), con tutti i suoi limiti, qualche volta aberrazioni, è servita a stimolare un cambio di mentalità, ad aprire gli occhi e spazi di conoscenza alle migliaia di alunni venuti a visitare l’emittente, senza che sia stato mai chiesto un euro di contributo a nessuno, a scrollarsi della paura del mafioso, a suscitare un respiro di libertà, molto più di quanto non serva l’antimafia della Saguto e di altri suoi colleghi seduti sulle sedie del Tribunale a dividere agli amici le risorse sequestrate a ‘presunti’ mafiosi’”. “Se vogliamo buttare assieme all’acqua anche il bambino – sottolinea – chi ha deciso di farlo, sia esso un magistrato, un politico, un giornalista, un mafioso, un comune mortale a cui Maniaci non piace, una sua vittima da lui esposta al ludibrio, uno dei tanti che si autoproclamano giudici e sputano sentenze, dovrà assumersene la responsabilità sapendo di pronunciare una condanna su un’esperienza che ha caratterizzato la storia dell’informazione, non soltanto locale, e non un solo soggetto discutibile di questa esperienza”. La conclusione è tutta rivolta a chi ha ora in mano una pesante “eredità”. “Ritengo che bisognerebbe stringersi intorno alla figlia Letizia, sulle cui spalle è caduto questo macigno e pesa la responsabilità di mandare avanti l’emittente senza l’intraprendenza e la spregiudicatezza del padre. Aspetto chiarezza da Pino, se no lo manderò a fare in culo, come ho già fatto in qualche altra occasione, ma, questa volta, senza ripensarci”.