Che fine hanno fatto i comunisti? (Lorenzo Giarrelli)

 
comunismo_mondiale-602x280 L’articolo di Giarelli è un’analisi impietosa e distaccata, spesso ironica sulla frammentazione  politica che caratterizza la sinistra, in particolare quella che si ispira al comunismo. Nella sua ricerca mancano  molte altre sigle che non sono diventate partito, ma che alimentano la tendenza gruppettara e la colorano di setta-rismo. Difficile dire se questa sia una ricchezza di idee e di interpretazioni, se sia  l’ossimoro della diversità nell’uguaglianza, se sia una contraddizione insita nell’idea stessa di sinistra, dove ognuno crede di essere depositario della verità e si contrappone a chi gli è ideologicamente vicino, sostenendo che sbaglia. Fra l’altro le accuse e le denunce degli errori degli altri spesso diventano fratture e scissioni insanabili che compromettono anche i rapporti interpersonali. Si potrebbe obiettare che continuando così non si va da nessuna parte, ma l’impressione è quella che ogni elemento della galassia non vuole andare da nessuna parte, cerca solo di contarsi, sogna il suo progetto politico, sogna o teorizza le mitiche “masse”, ma dalla sua solitudine di partenza si rende conto che non può far niente per costruire la rivoluzione e allora preferisce prendersela col grande capitale e con i piccoli suoi compagni coltivando una rancorosità e fermandosi  nella propria identità incompiuta dell’essere comunista.. Se si potesse arrivare alla fine di questa “rissosità”, alla costruzione di un coagulo, di una casa comune in cui la dialettica diventi costruzione, forse si potrebbe ripartire, senza abbandonare la via maestra del marxismo, ma rileggendola e integrandola con tutte le esigenze, le contraddizioni, le spietate e disumane condizioni in cui si trova a vivere gran parte dell’umanità del nostro tempo, senza dimenticare che teoria e prassi vanno sempre insieme. (S.V.)

 

Che fine hanno fatto i comunisti?  (Lorenzo Giarelli)

 

In Italia sono sparsi in sedici partiti: alla sinistra del Pd c’è una miriade di partiti che restano divisi nonostante abbiano gli stessi ideali e, spesso, non arrivino all’1%

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Una volta le cose erano più facili. Qualcuno era comunista -come insegna Gaber -, qualcun altro democristiano e qualche altro socialista. C’erano anche i liberali e i repubblicani, certo, ma non erano molti. I comunisti, invece, erano molti.

E oggi, che fine hanno fatto? Dov’è finito quel terzo di Paese che si destreggiava con la falce ed il martello, cantando Guccini a pugno chiuso? Certo, il Pd fa la voce grossa a sinistra, ma è un po’ poco, come stile e idee, per raccogliere quell’eredità là.

I vecchi nostalgici comunisti si meritano qualcosa di più forte. Andiamo a vedere, allora, cosa offre il panorama dei partiti alla sinistra del Pd.

Una cosa è certa: la scelta non manca. Partiamo da un caso spassoso: esiste il Partito Marxista Leninista Italiano, sigla PMLI, fondato addirittura nel 1977, segretario Giovanni Scuderi. Per un curiosissimo caso di onomastica partitica, però, esiste anche il Partito Comunista Italiano Marxista Leninista, sigla PCIML, che si è persino presentato alle ultime elezioni politiche raccogliendo le forze per portare al Senato il segretario Domenico Savio. C’è mancato un pelo: 0,03%, ma la prossima volta ce la fanno sicuro.

A proposito delle ultime elezioni politiche, vanno annotate percentuali d’oro anche per il Partito di Alternativa Comunista guidato dall’intraprendente Adriano Lotito. Ha raccolto un buon 0,02% alle urne, che sono pur sempre oltre 5.000 voti e superano dunque la fatidica soglia di parenti e amici, oltre quella di un rappresentante d’istituto.

Cosa ci fanno tre partiti praticamente in copia carbone? Non siamo che all’inizio.

Snoccioliamo qualche sigla meno fantasiosa, per togliercele di torno: Partito Comunista d’Italia, o Partito Comunista Italiano, fondato giusto nel 2016 e con segretario Mauro Alboresi; Partito Comunista dei Lavoratori, guidato da Marco Ferrando (un ottimo 0,26% alla Camera nel 2013), fuoriuscito ormai dieci anni fa dal Partito della Rifondazione Comunista, ancora vivo e vegeto e coordinato da Paolo Ferrero. Attenzione però: all’interno di Rifondazione, Ferrero deve tenere a bada la corrente Essere Comunisti, guidata da Claudio Grassi, che potrebbe sentire il bisogno di ricercarsi una propria identità altrove, magari fondando un altro partito.

Esiste anche il Partito Comunista, così, semplice, senza ulteriori aggettivi. Lo guida Marco Rizzo, quello che nel 2008 ci aveva provato a mettere d’accordo tutti, dicendo che bisognava ripartire “da un nuovo partito comunista (un altro?!) fatto di tutti i comunisti che vogliono superare radicalmente questa società”. Non aveva funzionato benissimo, tanto che, oltre a tutti quelli già citati, non bisogna dimenticare l’aggiunta del Nuovo Partito d’Azione di Pino Quartana, che magari non sarà proprio comunista, ma qualcosa di sinistra lo dice.

Arriviamo poi ai partitoni, ai giganti, a quelli che sono persino in Parlamento e che mediano con Golia, il Partito Democratico. I centristi li considerano rivoluzionari, i rivoluzionari li giudicano centristi: sono i vari delusi dalla deriva democristiana del Pd, che hanno tentato di creare un’alternativa a sinistra, senza però esagerare con i simboli del passato, anche perchè, s’è visto, con falce e martello sopra l’1% non si va.

Pippo Civati ha fondato Possibile, che flirta, ma senza sbilanciarsi, con Sinistra Italiana, il gruppo che mette insieme Sinistra Ecologia e Libertà e Futuro a Sinistra, ovvero Nichi Vendola e Stefano Fassina.

Torniamo sulla Terra, perchè le percentuali da capogiro di Sel (circa il 3% nel 2013) sono un lusso che a sinistra del Pd fa quasi scandalo. Meglio l’umiltà del Partito Socialista Italiano di Riccardo Nencini, che non ci sogniamo di confondere con i comunisti, sia chiaro, ma rappresenta comunque un animo ben più forcaiolo rispetto ai governanti democratici, forte del suo 0,19% portato alla coalizione nell’ultima tornata elettorale.

Alla sinistra del Pd si contano almeno diciotto sigle, di cui otto si rifanno apertamente al comunismo e almeno quattordici non superano l’1% alle urne

Si fa quasi fatica a non scadere nel freddo elenco puntato, ma la sinistra, in effetti, offre (ancora) molto. Ricordate Antonio Ingroia? Uno dei più grossi trombati delle elezioni del 2013: i sondaggi lo davano intorno al 4/5%, prese meno del 2% con la sua Rivoluzione Civile, gruppo che comprendeva anche il Movimento Arancione di Luigi De Magistris, per il momento concentrato sugli affari campani. Il gruppo non esiste più, ma Ingroia si è reso utile a livello locale, in Sicilia, chiamato da Crocetta, e chissà che non tenti ancora l’avventura in Parlamento un giorno.

comunist-party Siamo quasi in fondo. Giusto il tempo per ricordare a Matteo Renzi che, qualora volesse il consiglio giusto per stuzzicare l’elettorato più di sinistra, potrebbe rivolgersi anche agli immortali Verdi, il cui portavoce è il simpatico Giobbe Covatta.

Se poi il Premier volesse esagerare, ci sarebbero anche Lotta Comunista e persino i Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo (CARC), che fanno molto anni ’70, anche se sono stati fondati nel ’92.

Insomma, di materiale per i nostalgici ce n’è. Sono sedici sigle diverse, tutte collocabili alla sinistra del Partito Democratico, di cui otto con la falce e martello nel simbolo e un riferimento al comunismo nel nome, e di cui quattordici (almeno) sotto l’1% come stima elettorale. E facciamo grazia, nel conteggio, delle correnti interne. Verrebbe da chiedersi, oltre al perché di tanta differenziazione, quanto costi ad ogni partito mantenersi, oppure, al contrario, quanto costino a noi.

Anche mettendosi tutti insieme difficilmente si arriverebbe ai fasti della Prima Repubblica, ma se non altro si farebbe molta meno confusione. Una volta era più semplice: qualcuno era comunista, qualcuno no. Oggi si fa presto a dir comunista: vallo a sapere, poi, che comunista sei.

 

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