Di chi è la mia vita? (Salvo Vitale)
Suicidio, eutanasia e altro tra teocrazia e laicità
Il parlamento spagnolo ha approvato, con molte restrizioni, la scelta dell’eutanasia. In Italia, malgrado gli inviti della Corte Costituzionale, per una legge che non si presti ad equivoci o a deleghe, il problema è continuamente rinviato, onde evitare levate di scudi da parte dei settori più retrivi del mondo cattolico. E così il problema si trascina a colpi di sentenze, tra denunce per chi assiste, che diventa un istigatore, tra autorizzazioni al suicidio, a condizioni rigide e difficili da trovare tutte insieme, tra medici obiettori di coscienza e soprattutto tra poche persone, condannate dalla vita a immani sofferenze, senza che qualcuno si prenda la responsabilità di autorizzare per costoro la “fine” della tragedia. Si continua a discutere tra suicidio assistito ed eutanasia, tra significato etico e obbligo alla sofferenza in nome dell’etica . I tempi delle leggi sul divorzio e sull’aborto sono lontani e nello schieramento politico italiano nessuno vuol correre il rischio di lacerazioni col Vaticano. I casi di Eluana Englaro, di Kelby e di Fabi , sino al recentissimo Mario il camionista, da tempo malati terminali incurabili, sono un po’ diversi da quello di Lucio Magri che invece deliberatamente ha scelto la morte dolce in una clinica Svizzera, ma il problema di fondo è lo stesso, , cioè stabilire se ogni soggetto umano è padrone della propria vita: l’alternativa è quella secondo cui padrone della vita è solo Dio, il quale è libero di darla o di toglierla a suo piacimento (più elegantemente, “secondo i suoi imperscrutabili disegni”), al di là della volontà del singolo o anche contro di essa. In tal senso Dio diventa colui che accende e spegne l’interruttore e, al momento della morte, ha lo stesso ruolo di Atropo, l’arpia che tagliava il filo della vita. Pertanto gli atti della morte e della nascita diventano prerogative di Dio, un’identificazione con la sua stessa figura di padrone della vita: in caso di morte violenta è difficile spiegare se Dio è all’interno della volontà di colui che spara la pallottola omicida o se è la causa prima di un incidente mortale: in ogni caso il dio che accende la scintilla della vita nell’universo, ma anche nell’utero, è lo stesso dio che la spegne. Nel caso del suicidio è ipotizzabile un intervento di Dio nella decisione del suicida, il che non dovrebbe comportarne la condanna: oppure il suicidio è l’unico caso in cui la scelta di essere padrone della propria vita, rivendicata dall’uomo, è l’ usurpazione umana di una prerogativa divina e pertanto un’offesa all’onnivalenza della divinità.
Altro connesso problema: se, in caso di discordanza tra la legge di Dio e quella degli uomini, si debba seguire la legge divina, anche a costo di andare contro le leggi umane. E qual è la legge divina? Mosè la scrisse sulle tavole di pietra sotto dettatura. E per quello che non c’è scritto? L’esistenza di una legge morale divina è affidata a un suo legislatore e interprete che il cattolico identifica nel papa, vicario di dio, con la prerogativa dell’infallibilità, enunciata come dogma solo nel 1854. E’ ovvio pertanto che tutto è connesso alla scelta di credere che Dio non esiste o che invece ci sia: il non credente risolve subito il problema e individua la risposta nella scelta di responsabilità affidata solo all’uomo e al rispetto delle leggi, a meno che queste non violino gli elementari principi della convivenza e siano imposte a vantaggio dei più forti. Sul lato del credente, si intravedono invece posizioni diverse:
– Prima posizione: Dio mi ha dato la vita e io sono libero di farne ciò che voglio, anche di togliermela, perché ne sono il padrone o il depositario: se la vita è paragonabile al “talento” della parabola, che io ho l’obbligo di far fruttare, il tutto si sposta nell’etica calvinista, (vedi Max Weber), secondo la quale la riuscita economica nella vita è la manifestazione della benevolenza di Dio nei miei confronti, ovvero che “il riuscito”, l’uomo diventato ricco è il predestinato alla salvezza. In tal senso si legge anche il problema del fallimento o dell’eventuale suicidio, la cui scelta personale è contestualizzata alla predestinazione divina, anche se è una scelta determinata da un apparente libero arbitrio. Quindi è teoricamente esclusa la condanna del suicidio o dell’eutanasia.
– Seconda posizione: l’intimismo protestante luterano esclude l’immenso apparato di mediazione tra Dio e l’uomo, ricoperto dall’istituzione ecclesiastica, e riconduce tale rapporto in una sfera personale nella quale l’individuazione dei principi etici comportamentali divini o presunti tali diventa una scelta soggettiva ispirata dall’intensità del rapporto con Dio, rispetto al quale il rapporto con l’istituzione civile, si coniuga con il compito di regolamentare la propria vita con la vita degli altri e con le scelte di chi detiene il potere. Anche in tal senso la legge umana è espressione della legge divina, e la scelta di padronanza della propria vita identifica la propria decisione con quella divina, non ci può essere condanna nella propria identificazione con una prospettiva cosmica.
– Terza posizione: il fatalismo è la versione islamica della predestinazione: tutto succede in quanto volontà di Allah che realizza se stesso e i suoi disegni attraverso di noi, tutto è scritto nel grande libro del destino e la volontà dell’uomo è una scintilla della stessa volontà divina alla quale è necessario abbandonarsi (islam) per ritrovare identità e dignità. In tal senso il sacrificio della propria vita come immolazione, (il kamikaze), con il fine di contribuire al trionfo di Allah e del Profeta e alla sconfitta degli infedeli, è la strada maestra per godere dei doni ultraterreni dell’Eden: il fanatismo si incrocia con disegni politici di cui sono esecutori i depositari della voce del Profeta, gli ayatollah, i sultani, gli sceicchi, gli imam, i talebani e il sistema di governo si configura come istituzione religiosa al limite del fanatismo. La considerazione della vita come dono divino di cui avere rispetto diventa trascurabile a davanti a una prospettiva al cui servizio e al cui trionfo ognuno di noi è destinato. Anche in tal caso il suicidio smette di essere una scelta personale.
– Quarta posizione: i detentori del potere religioso, dagli sciamani ai preti cattolici, poiché Dio è padrone della vita e poiché loro si definiscono i depositari della volontà di Dio, ritengono di essere, per concessione divina, che essi stessi si attribuiscono, padroni della vita degli altri e di agitare il fantasma della legge divina, della quale ritengono di essere gli unici lettori, interpreti ed esecutori, come quello di unica legge possibile o in ogni caso prevalente, rispetto alla precarietà e all’arbitrarietà delle umane leggi, che di quella divina sono solo una contaminazione. Da ciò nascono tutte le condanne e gli anatemi nei confronti delle varie posizioni che riguardano la vita, la sua riproduzione attraverso l’istituzione del matrimonio e della famiglia, la sua gestione e gli strumenti per mantenerla o toglierla, come la pena di morte, il suicidio, l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione eterologa. La posizione non è priva di contraddizioni:
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a) se la morte è decisa da Dio, l’uomo non dovrebbe nemmeno curarsi, ma attendere rassegnato questa decisione: la cura, la terapia è già un andar contro la decisione divina. Se poi questa cura comprende in qualche caso l’ alimentazione forzata, la trasfusione o il mantenimento in vita attraverso sistemi artificiali, l’intervento umano è ancora più condannabile. Certe sette cristiane non ammettono neanche la trasfusione di sangue. Fermare le macchine dovrebbe voler dire affidare definitivamente a Dio la decisione se far vivere in modo vegetale un corpo umano o se accoglierlo là dove inizia un’altra vita certamente più ricca di soddisfazioni;
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b) dovrebbe essere bandita dalla mente di ogni cristiano l’idea che l’uomo possa in alcun modo dare la morte, attraverso la condanna radicale della guerra, della pena di morte ecc.: in realtà, escludendo le messe dei cappellani militari prima, durante e dopo la guerra, anche nelle situazioni di maggior pacifismo, da San Tommaso a Woytila è stato riconosciuto che possono esistere “guerre giuste” e che l’uomo che subisce violenza ha diritto di difendersi. E Dio, in questo caso che fa? Sta a guardare o era distratto, come ad Auschwitz o, come, da parte opposta, a Gaza?; chi difende le vite dei vinti dalle prepotenze dei vincitori?
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c) se l’uso della tecnologia è accettato e giustificato come strumento per preservare e difendere la vita, perché viene bloccato o biasimato come strumento per diffonderla e migliorarla, attraverso la condanna delle ricerche della genetica moderna, specie quella sulle cellule staminali o sulla fecondazione artificiale?