Di ragliatori, cicisbei e galoppini nauseanti (Alessio Di Florio)

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In questi ultimi tempi, come spesso mi capita quando la malinconia e l’inconciliabilità con quel che è attorno mi assale, la mente spesso è tornata da Alexander Langer. Alla sua straordinaria testimonianza di vita, alla sua mite e umanissima capacità di attraversare questo mondo, ai suoi scritti. Poi, rialzo la testa dal computer o dal libro, torno a guardarmi intorno e – come scrisse nel diario dei giorni nella Sarajevo assediata don Tonino Bello – viene “una grande voglia di piangere”. Perché non è solo terribile ma proprio doloroso quanto siamo circondati da giacche scure con cappi al collo e sorrisi finti come i doppi – tripli – forse addirittura quadrupli giochi. Quotidianamente si svendono sul mercato dei più bassi interessi, calpestano qualsiasi cosa, capaci di dire menzogne e balle come se grandinasse, con una naturalezza da fare semplicemente schifo. Non esiste per loro rispetto, dignità, ideale, idea possibile. No, esiste solo il loro ego smisurato che si nutre di intrallazzi, doppie facce, alzarsi la mattina col solo desiderio di perseguire i propri meschini interessi e di ingannare l’altro. E viene tutto così normale che neanche ci fanno più caso. Se gli si fa notare s’incazzano e offendono persino …

Ormai diversi anni e vite fa, quando per la prima volta cominciai a guardarmi intorno e a interessarmi all’impegno sociale e civile (erano gli anni delle denunce contro l’uso dell’uranio impoverito nelle zone di guerra, della guerra in Serbia, della denuncia di questo sistema economico e della “crisi” che stava arrivando già, e subito dopo della campagna “Pace da tutti i balconi”, di Rete Lilliput, della scoperta di Kimbau, a Pescara e Chieti della Rete Nonviolenta Abruzzo e tanto, tantissimo altro ancora …) mi fu detto di godermi quegli anni perché sarebbero passati presto, perché  18 anni (forse era ancor prima, non ricordo) è l’età delle passioni forti, dell’idealismo, dell’innamorarsi dell’utopia. Poi, crescendo, si diventa “razionali” e “moderati” e, un po’ alla volta, si mette tutto nei cassetti per “diventare grande”.  Tanti anni dopo, se non fosse che non ricordo neanche chi era, mi piacerebbe rivedere chi mi disse queste cose per replicargli “mi hai detto una grandissima cazzata”. Perché, se dovessi guardarmi indietro posso trarre una sola conclusione: a quasi 32 anni sono ancora più idealista, ingenuo, sognatore, immaturo (seguendo il suo metro) di allora. Non soltanto non ho abbandonato quei sogni e quegli ideali di ragazzino, ma si son rafforzati e ormai sono compagni di cui non potrei più fare a meno. E in questo la testimonianza, gli scritti, il travaglio, i dolori di quel “politico impolitico” che “ha avuto il coraggio di guardare alla presenza umana sulla terra e alla convivenza fra persone e genti diverse con una intelligenza profonda e una generosità di sentimenti che i tempi stretti e la selezione al ribasso della politica di norma escludono” sono stati bussola fondamentali. Perché Alexander è la dimostrazione che si può, che si deve, che non è vero che non si può fare a meno di chiudere tutto nei cassetti e arrendersi allo schifo che ci circonda. Perché non è obbligatorio “accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più” ma è possibile rimanere coerenti e sinceri e “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Vecchietto compagnoE su questa “selezione al ribasso”, nel giorno della “Festa della Repubblica” e a pochi giorni dalla consultazione elettorale preceduta dalla peggior campagna possibile, non posso non scrivere che il voto non è un contratto di “matrimonio”, non è un “giuramento di fedeltà” a nessun sovrano, che chi vota non si obbliga a tacere ma anzi ha l’obbligo di dire, gridare, urlare, denunciare quel che poi non condividerà. Che non si vota per ordini dall’alto, interessi di clientela e di bottega, che esiste e si può praticare un voto che non si ingabbia nella “selezione al ribasso”, che non è un atto di cortigianeria e l’inizio del passivismo yes-man. Oggi più di ieri, più dell’altro ieri, più di 5-10 anni, più di quel giorno in cui mi fu detto “tanto un giorno i sogni li lascerai nel cassetto e diventerai grande” che gli ideali, l’animo, l’umanità vera, autentica, sincera, coerente non posso, anzi non si devo e non voglio, abbandonarli. Che mi danno e mi daranno sempre nausea gli scudieri, i lacché, i galoppini, coloro che vivono e sguazzano nella mediocrità di una vita senza slanci e senza interessi che non sia la cieca obbedienza, lo stare zitto perché non ci si mette contro, che un giorno potresti aver bisogno di andargli a chiedere (leggasi implorare) un favore, che può trovare un lavoretto a te o a qualcuno della famiglia. Passivisti del pronismo ma non vi viene mai un mal di schiena, mai un colpo della strega, no?

Alessio Di Florio

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