Due partigiani siciliani in Lunigiana
31.07.2021. Sveglia alle quattro, aereo per Pisa, arrivo con venti minuti di anticipo, sosta al bar dell’aeroporto con cornetto e caffè per due, pari a sette euro, cioè una rapina, sino all’arrivo di Giuseppe, un compagno con una nuvola di capelli biondi e barba incolta. Andiamo in giro per Pisa, con vista dell’Arno, sino alla piazza dei Cavalieri, sede della Scuola Normale e della casa del conte Ugolino, con la statua di Cosimo dei Medici in bella esposizione. Inevitabile una visita alla Piazza dei Miracoli con il rinnovato stupore ogni volta che gli occhi si riempiono di quelle bianche meraviglie. Giuseppe si chiama Lo Castro, è di Messina, è un ricercatore universitario, insegna letteratura italiana all’Università di Cosenza ed è autore di numerosi saggi su scrittori siciliani e sardi: facciamo uno scambio di libri, io gli do il mio “In nome dell’antimafia” e lui mi dà il suo “Costellazioni siciliane”, undici visioni da Verga a Camilleri. A Pisa insegna la sua compagna Selena, una tipa tosta. Dopopranzo ci spostiamo a Fosdinovo, e comunque non in paese, del quale si intravede la sagoma del castello malatestiano, ma in un lontano bosco, attraversando il quale ci si rende conto di come la Resistenza toscana sia potuta sopravvivere, malgrado gli sforzi repressivi e le stragi dei nazifascisti. In questo posto è nato un “Museo della Resistenza” che raccoglie una serie di testimonianze registrate sulle esperienze di lotta di liberazione contro le indiscriminate stragi naziste. Molto materiale, libri, registrazioni, reperti, filmati è ammassato in un unico ambiente e meriterebbe di essere catalogato e reso fruibile con facilità, ma è già tanto che un posto del genere continui ad esistere, poiché è tutto affidato alla buona volontà dei giovani che lo gestiscono . Nell’aria sembra circolare e agitarsi il suono dei canti partigiani, il passo delle “scarpe rotte” assunte a simbolo del manifesto degli eventi e la voglia di procedere “sino al cuore della rivolta”, come recita lo slogan che caratterizza le iniziative, quest’anno giunte alla XVII edizione, in nome di un presunto ritorno alla normalità, che comunque fa i conti con un limitato numero di posti. L’anima di questo ultimo avamposto di resistenza è Alessio Giannanti, intorno a cui ruotano una serie di compagni di un’Associazione “Archivi della Resistenza”, che gestisce il museo e le strutture circostanti.
Il posto si riempie di gente, alcune delle quali ascoltano un intervento del giornalista e scrittore Maurizio Maggiani, sul tema “L’ultima parola che ci hanno rubato: libertario”, con forti richiami ai temi dell’anarchia e l’invito a riappropriarci di quanto ci è stato sottratto e di quanto è stato manipolato dalla subcultura contemporanea. Segue un concerto di Stefano Bellotti, detto “Cisco”, già anima dei Modena City Ramblers e adesso accompagnato da un violinista e da una tromba. Le sue canzoni, quasi tutte note ai fans venuti ad ascoltarlo, ripercorrono il disagio della civiltà contemporanea, la crisi delle ideologie, i temi dei movimenti “antagonisti”, ma anche la storia e la memoria che si tende a cancellare. Lo spettacolo è dedicato a Peppino Impastato e, nella pausa tra i due tempi dello spettacolo interveniamo io e Faro. Comincio subito con un confronto tra la resistenza dei partigiani e quella che considero la nostra resistenza, ovvero le lotte contadine per l’occupazione delle terre incolte, che costarono la morte di circa 40 sindacalisti per mano mafiosa. Ricordo che da allora la resistenza è continuata attraverso l’azione di persone che non hanno esitato a mettere in gioco la propria vita, per cambiare le condizioni del Sud e per liberarlo dal dominio mafioso, come Danilo Dolci, Pio La Torre, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giuseppe Fava e tanti altri, da considerare, a pieno titolo, partigiani . Ricordo ancora che Radio Aut cominciò le sue prove di trasmissione il 25 aprile 1976 e che la mia sigla era “Morti di Reggio Emilia” . Una parte del mio intervento è dedicato a Felicia, autentico esempio anch’essa di donna partigiana, nella sua continua ricerca non di vendetta, ma di giustizia, nella sua ribellione ai codici mafiosi che le imponevano il silenzio, nel suo costante dialogo con i ragazzi che andavano a trovarla da ogni parte d’Italia.
Faro racconta degli anni di Peppino, della Radio, delle vicende del gruppo, del circolo Musica e Cultura, delle trasmissioni di Radio Aut con l’uso di una satira feroce nei confronti di mafiosi e politici locali e di quello che successe dopo la morte di Peppino, dei depistaggi tentati dagli inquirenti, degli strani rapporti tra mafiosi, magistrati e forze dell’ordine, della controinchiesta fatta dai compagni e della conclusione positiva di tutta la vicenda dopo 22 anni. Alla fine, un po’ ispirato dalla sacralità del posto, dove ancora sembrano riecheggiare colpi d’arma da fuoco, voglia di ribellione, desiderio di libertà , tiro fuori la proposta spontanea riassunta in due parole “Ora basta”. E’ arrivato il momento di dar vita a un nuovo movimento spiccatamente di sinistra che si scrolli di dosso la tendenza a commiserarsi, a dichiarare che abbiamo fallito, che non abbiamo saputo trasmettere valori alle nuove generazioni , a dividerci in mille rivoli, odiarci, sentirci ognuno depositari della verità in un purismo intransigente, sentirci privi di un leader , di idee nuove di voglia di costruire. “Ora basta con le cinque stelle che non brillano di luce propria, con i democratici ormai stellarmente lontani dai problemi del lavoro e della mancanza di lavoro, basta che con fratelli, sorelle, cugini e cognati d’ Italia, basta con i tifosi della Nazionale, basta con vaccinati e non vaccinati, con calende, speranze, renzate, sardine, acciughe, gamberi e forze vecchie. “Ora basta”: è un invito a dare uno sguardo dentro se stessi, a riscoprire la voglia di incontrarsi, dialogare, inventare un progetto politico, costruire dalle basi le strutture di una società nuova, in gran parte da inventare, in altra parte da strappare dalle mani di coloro che si sentono i padroni del potere e ci sbattono davanti le loro oscene ricchezze, coscienti che siamo solo capaci di accettare con masochistico piacere o con abissale rassegnazione i pesci in faccia con cui ci colpiscono. “Ora basta” è un urlo che parte da Fosdinovo il 31 luglio 2021 e che va cercando in tutta Italia gente che ci sta, che simpatizzi, che cominci a muoversi abbandonando la droga della prigione volontaria tra le mura di casa e dell’informazione di stato o del pettegolezzo sui social.
Cisco sembra raccogliere l’appello cantando la mitica “Cento passi” accompagnato solo dal suo tamburo: nella sua nudità il brano sembra tratteggiare, parola dopo parola, l’immagine di Peppino che indica il sentiero del nuovo mondo di uomini uguali, quello che una volta si chiamava comunismo. Ed è un’immagine che torna anche nella successiva “Bella ciao”, cantata dal pubblico. Alla fine applausi a cascata, cena sociale con un massimo prestabilito di 150 persone, altra musica e un’aria frizzantina che per noi, abituati ai 40 gradi sulla testa, sembra un balsamo di benessere.