Emanuele Macaluso: «Io comunista non pentito » (di Monica Guerzoni)
Condivido e ripropongo questa interessante intervista di Monica Guerzoni, trovata in rete e realizzata il 17 marzo 2019, ad Emanuele Macaluso, oggi scomparso, uno dei più autorevoli esponenti di quello che una volta fu il glorioso Partito Comunista e che, diversamente da molti suoi “compagni” non si è mai vergognato di chiamarsi compagno e non si è mai tirato indietro. Personalmente non ho aspettato che morisse per ricordarne l’importanza.Qualcuno gli ha rimproverato la sua partecipazione al “milazzismo”, poichè in quella maggioranza c’era anche il MSI, ma chi ha vissuto quella fase ricorda benissimo come qualsiasi operazione avrebbe potuto essere giustificabile pur di far fuori il potere democristiano-mafioso. Qualche altro gli ha rimproverato il suo “migliorismo”, condiviso con Napolitano e Gerardo Chiaramonte, ma anche questa scelta di “migliorare” il capitalismo quando non ci sono le condizioni per abbatterlo, va letta nel tempo in cui è stata formulata, quando l’ortodossia marxista dei demo-proletari non andava oltre il 2%. Successivamente Macaluso è rimasto coerente con la sua formazione marxista senza condividere la deriva blandamente socialdemocratica dell’attuale PD. RIP
Emanuele Macaluso è uno di quei comunisti siciliani verso i quali è doveroso abbassare la testa in segno di rispetto. Ha compiuto da qualche giorno 95 anni, abita a Rione Testaccio, il 20 rione, nel cuore della vecchia Roma in un bilocale zeppo di libri, assieme a sua moglie, 81 anni. Il suo sguardo riesce a leggere il secolo alle sue spalle con eccezionale lucidità, la sua passione politica non è venuta meno, non ci sono tracce di quella sorta di sensazione di fallimento politico che ha attraversato gran parte della sinistra italiana. E non riesce a rassegnarsi a quello che gli sta attorno e alla poco consolante prospettiva dei possibili scenari attorno. :“La mia battaglia politica — ricorda col suo eterno accento siciliano — cominciò nel 1941 a 17 anni, quando entrai nella lotta clandestina. Ho cercato di dare quello che ho potuto. Ho fatto anche degli errori, ma non mi sono mai risparmiato. Ho sempre lottato per costruire la sinistra e per un Paese che contasse nel mondo. Sono preoccupato, guardo all’avvenire e mi chiedo, dove andiamo?».
“Nato nel ‘24 a Caltanissetta da mamma casalinga e padre operaio delle ferrovie, si iscrive al Pci prima della caduta del regime fascista. Nel ‘47 diventa segretario regionale della Cgil, nel ‘56 Togliatti lo chiama nel comitato centrale del Pci. Eletto alla Camera dei deputati nel ‘63, sarà parlamentare per sette legislature senza mai rinnegare l’appartenenza alla corrente migliorista, la stessa di Napolitano. Giornalista, scrittore e da qualche tempo anche blogger, ha diretto l’Unità e Il Riformista e scritto per anni, come recita il titolo di uno dei sui libri, «un corsivo al giorno».
Si è pentito di aver creduto nel comunismo?
«La parola sinistra oggi suona quasi come un’offesa, per non dire del socialismo. Ma io non sono un comunista pentito. Ho capito quale svolgimento doveva avere la storia della sinistra e del Pci e penso che il modo in cui Occhetto fece la svolta della Bolognina poteva essere diverso. Ci voleva un partito che unificasse tutta la sinistra, già dopo la Liberazione bisognava costruirlo».
Ha votato alle primarie del Pd?
«Mia moglie vota, io no. Non sono iscritto e credo che le primarie vadano bene per eleggere il candidato premier, non il segretario, che in tutto il mondo è eletto dagli iscritti. Se con 2 euro e un certificato chiunque può votare, viene fuori un partito liquido. È questa la prima riforma che Zingaretti deve fare. Io non ho mai aderito al Pd, perché penso sia stata una fusione a freddo di stati maggiori, senza spinta popolare. E infatti è finita come avevo previsto nel libro “Al capolinea”. Zingaretti viene dalla sinistra, è stato segretario dei giovani del Pci e parlamentare europeo. È saggio ed è un buon amministratore».
Il nuovo segretario vuole rifare la «ditta» Pci-Pds-Ds?
«Questa parola mi indigna un po’, quando la sento mi inc… A parlare di ditta fu Aldo Tortorella per dire che noi dovevamo stare sempre dalla parte del Pci. Adesso la usano in senso spregiativo, perché non conoscono le cose. Io avrò tanti difetti, ma non sono così cretino da pensare che si possa rifare il Pci».
Lei in quale direzione andrebbe?
«Io ho 95 anni, ma chi ha l’età per battersi deve costruire un partito per le nuove generazioni, insediato nel territorio. I circoli sono quasi tutti chiusi, il Pd non fa opposizione».
Personalità come Gentiloni e Veltroni hanno ancora qualcosa da dire?
«Nel Pd ci sono persone che hanno una storia politica, ma la mia critica è molto seria e parte dalla fine dei partiti e del Pci. L’obiettivo fondamentale di D’Alema, Fassino, Veltroni e tutti gli altri era portare al governo una forza che non c’era mai stata, senza avere un disegno politico nella società. Ma un partito che non si ponga questo problema non può fare argine alla destra».
L’onda verde che parte dalla giovane Greta può risvegliare speranze?
«C’è qualcosa che sta maturando, ma qual è lo sbocco politico? Esiste una forza che offra possibilità di esprimere politicamente queste spinte sociali e civili? Una forza in grado di portarsi dietro la storia del socialismo italiano, innovandola e portandola nel futuro, ancora non la vedo. Se Zingaretti non riforma il Pd, sbaglia. Dice che l’io è finito e che ora c’è il noi. Ma questo noi deve organizzarlo, basti solo dire che il Pd non ha mai fatto un congresso. In tutto il mondo il congresso si fa sulle mozioni e sulla linea politica, non certo con le primarie. Un partito che non ha organismi dirigenti veri e propri e si basa sul leaderismo è un aggregato politico-elettorale a servizio del capo. Se Renzi ha potuto fare l’opa, è perché non c’era una struttura di partito».
Il suo giudizio su Renzi?
«È stato un problema serio. Si vanta di aver distrutto il M5S e invece ha anticipato molte cose dei grillini, dalla questione dei privilegi dei parlamentari, alle polemiche contro le istituzioni. È arrivato persino a togliere la bandiera europea e non ha mai creduto nel Pse. Infatti incontrò il leader dei Ciudadanos spagnoli, quelli che fecero l’accordo con la destra contro i socialisti. Renzi non sa cosa sia la sinistra, mentre Zingaretti lo sa».
Zingaretti può tenere testa a Salvini?
«Di certo non può essere Di Maio a fare da argine, perché sorride, sorride, ma non ha consistenza. Sono stati i grillini a dare gli strumenti del governo a uno che si mette le giubbe e fa campagna continua. Conte poi è una anomalia assoluta. Non è mai successo nel mondo che si possa entrare in politica da presidente del Consiglio. Gli unici allenati al governo sono i leghisti, a cominciare da Giorgetti, tanto che si sono mangiati il M5S».
Cosa pensa del consenso per Salvini?
«La Lega è da sempre un partito aggrappato al potere. Ora Salvini sta facendo un’altra cosa, un partito di destra razzista, che lucra consensi sulla paura. Prima in Italia i razzisti erano al 7%, ora sono al 34%, perché Salvini ha risvegliato sentimenti che le forze democratiche avevano contenuto. Quali? Il razzismo brutale e antisemita del fascismo. Questi istinti si espandono anche al sud, tra le stesse persone che i leghisti volevano seppellire politicamente grazie all’aiuto dell’Etna e del Vesuvio. Salvini ha sfondato sul terreno del razzismo e del potere. Lui è l’uomo che vince e quindi i disoccupati politici, in virtù del trasformismo, si riciclano con il vincitore. La tentazione su cui non si riflette abbastanza, è il modello Orban. E noi sappiamo che in Italia c’è stato un transito verso il fascismo».
Pensa che il fascismo possa tornare?
«No, non si ripetono i fenomeni. Mi riferisco alla democratura, alla democrazia illiberale del primo ministro ungherese Viktor Orban, alla sua insofferenza verso la libera stampa, che ha imbavagliato. Ho una preoccupazione e la debbo dire. Gli italiani considerano Salvini l’uomo forte, che decide e fa le cose. Questa tendenza è pericolosa, perché di fronte a una crisi economica e sociale può maturare».
Ma Salvini non è solo al governo, c’è Di Maio e c’è Conte.
«Il presidente del Consiglio non sa niente, l’Italia non ha una politica estera. Questo governo va a tentoni, un po’ dentro la Ue e un po’ fuori, un po’ con l’America e un po’ contro. E adesso vengono i cinesi»».
La preoccupa anche l’accordo economico sulla Via della Seta?
«Se un Paese ha una sua politica estera chiara, le scelte economiche non devono preoccupare. Ma in Italia il ministro degli Esteri cerca di barcamenarsi e il problema è che poi parlano Salvini e Di Maio e così anche le manovre economiche diventano poco chiare».
Perché gli intellettuali non fanno sentire la loro voce?
«Lo scarso impegno degli intellettuali nella battaglia politica e culturale mi angoscia molto. Dopo la guerra si impegnarono tutti, socialisti, comunisti, cattolici, azionisti. Un elenco straordinario di scrittori, pittori, registi, professori universitari. Mi vengono in mente nomi come Bobbio, Guttuso, Marchesi, De Filippo, Levi, Calvino, Moravia, Rosi…».
17 marzo 2019