Fondo del fondo…..(poema a pezzi)
1
Fondo del fondo,
paglia e fango per i mattoni del despota,
qualche lama nascosta,
per agguati e piccole ferite, travature
il cui grado di usura esclude il restauro.
Al suono di una triste musica attendo la morte,
il mio sorriso per gli altri,
l’acqua per te che non hai voglia d’acqua,
forse d’amari elisir che non possiedo.
Per favore, un aggeggio,
che non sia questo fallo
conforme alla definizione,
involtino umiliato,
ma il fantasma di una silhouette
melodica e propellente,
ormai estranea ai miei anni
e irrimediabilmente perduta.
2
Tra le pieghe del vestito di Thanatos vecchia
si nascondono le strutture essenziali della bellezza,
si, chiaro, non esistono, mi dispiace, Aristocle,
l’armonia si distorce in dissolvenze
e diventa, in definizione,
ciò che si allontana ogni attimo di più,
delusa conquista
e recupero dell’accettazione dignitosa,
tra dubbi e relative forzature
E’ un giorno lontano,
forse vedrò la sabbia bianca sotto il mare verde
prima del lungo sonno, avant de mourir,
avrò la ricompensa in culo,
come qualsiasi suddito
che ha sofferto in vista di tale possibilità.
Hot dog e hot jazz.
Qualche volta ho creduto
che tutto fosse chiuso dentro un cerchio chiuso,
altre volte la chiusura del cerchio
mi pareva metamorfosizzata
in spirale di conquista d’intensità,
ma preclusa alla prigionia del super-io.
“Avvicinati,
poco importa chi sei o che possano dire,
voglio sentirlo da te,
ci metto anche uno zucchero:
“- Nessuno può amarti come io ti amo”,
no, no, questo non posso chiederlo,
lascio a te la decisione,
mi interessa il confronto su altre cose.
3
In ogni colonna e in ogni obelisco
sono scolpito con la sapienza della profondità,
oltre l’essere del sedimentato,
catena delle concezioni
che impongono un solo tipo di risposta, la solita,
preferisco la gratitudine,
odio essere colui che concede.
Il passaggio del testimone
dovrebbe comprendere la possibilità
di restare in corsa, …qualsiasi cosa,
qualsiasi cooosa…molti chilometri di distanza,
colore dei miei sogni
che non riesco più a intravedere.
Il caldo alito del deserto lambisce la desolazione,
non so se troverò l’oasi
con Nausicaa dalle bianche braccia.
4
Talora mi sento a casa
anche salendo le scale di scuola,
discettando di Gorbaciov, di termodinamica,
delle labili analisi sul ’77,
io, sezionato dal niente,
in perizoma brasiliano, portafogli Armani,
ride un gruppo di donne,
io, uomo fortunato,
non glabro ma canuto,
cioè innevato di nessunaggine,
mentre pesco nell’acqua, con le mani,
la fuliggine-mistero del tuo viso,
sfumatura rosso-anarchica del labbro,
il tuo modo di cambiar marcia in curva,
la compiuta realizzazione dell’hotel Nettuno,
ma perché restare?
Altre voci mi chiamano
e foreste congelate d’inverno
da attraversare in pelliccia di disperazione.
5
Qualcuno è venuto a trovarmi
da molto lontano, per conoscermi,
il liutaio lavora ancora,
sopravvivenza di un metodo:
con un trasferello non complicato
vorrei spostarmi sulle tue cosce,
silenzio, l’albero si irradia per Mosè,
lo metteremo nella collezione di comiche,
io potrò offrire la mia dentiera,
qualche altro il pigiama del suo ex-essere.
“Che c’è?”, domanda dio, che non capisce,
ma non c’era molto da capire,
non c’era il Verbo, non c’era un cazzo,
appena immaginazione di potenza,
invece, oltre il lume tutti si tuffano nel buio
con persistente ottusità,
davanti all’analisi concettuale.
6
Sono quasi in testamento,
non so se capiterà ancora,
certo non mi sparerò davanti alle telecamere,
poco credibile l’esibizione sporadica del tuo nudo,
borghese, sfumata, che pretendo?
il concreto disegno delle pieghe della tua carne.
Ma forse neanche più quello.
“-E’ stato di tua volontà?” ,
“-Sì”, lancinante,
gli idoli neri fanno il possibile,
il cuore si stabilizza
nella sua pietra di inespressività.
7
Forse non capiterà più
d’essere in questa sera di solitudine
a giocare con me stesso,
cercare oltre il Martini una maschera di carnevale,
io che credo ancora nella resurrezione
della carne-proletariato tritata,
nella linea lineare e spontanea
della sistemazione in porzioni di parità soddisfacenti,
e il vento è cambiato,
se Mary Poppins vuole ascendere, non dispiacetevi,
tutt’alpiù “un bocadillo con jamon”
e passeggiare con Rosita
sull’opulenza spenta dell’Alhambra.
Zitto, lei dorme, non è ora di giocare.
Non hai telefonato
e mi urgeva sentire la tua voce.
8
Poche cose sono deludenti
come i ritorni di religione,
ma ho scelto Orfeo e non ho di che recriminare.
Kalè Mimì, dear Mary.
Sul mixer, in ottonari,
graffia Guttuso una tela, quadri-figli,
“non ti appartengono più, ma ti appartengono sempre”
E continui a suonare il trastullo nella notte,
eco del grido delle Menadi, di che stupirsi?
Può capitare di accorgerti
di avere desiderato e non potuto. E allora?
Ci vuol altro per decidere,
e la tua affrettata chiusura incasella l’epitaffio,
ma il manuale di Epitteto è pieno di ancore.
9
“-Io non ho mai…” “-Tu hai sempre…”, certo,
c’è questa apparente perdita del radicalismo,
non posso esimermi dal vomito,
vomito anche l’orgasmo,
nell’elegante latrina dell’Excelsior
o nell’orina gialla di un gabinetto pubblico.
Vomitai l’arancina quella notte,
allontanandomi dal tuo covo balneare.
Risarcirsi in che modo?
Usando il rasoio di Occam
senza vergognarsi di un angolo pornografico,
il perbenismo lasciamolo al PCI.
Mezzanotte, basta al minimizzare,
il resto della serata si gioca sull’autosufficienza,
e ci saranno giorni senza zuccheri per la bevanda,
anzi meglio, quando un verme, uno solo,
pallone o dimesso servitore, portatemelo davanti,
potrà pigliarsi la responsabilità
della sostituzione sbavata
soddisfatto della sua misera condizione di supporto,
incapace di otturare il varco che t’eri aperto:
rideranno e andranno avanti, accettato;
10
dall’altro lato del confine
“la terre sans toi est petit”,
“all is the same”,
permanenze e trasformazioni,
sei così come sei, oppure sei cambiata?
Torna freddo. Svolazza nel fumo
il tuo baby-doll verde-azzurro
per qualche passo di danza del “vorrei”:
forse di qua al prossimo inverno
chiaveremo due volte e tre in un giorno,
il fantasma di lui, disperatamente bello,
quello di lei in attesa di risposta,
in una scatola di anni
in un sarcofago di uranio potenziato.
11
Mattino di geranio sul terrazzo,
tu in agguato sul fondo della scala,
niente tregua,
cambio di vocale,
impollinare per impallinare,
sulla carta il progetto
di una sistemazione bohemienne,
perplessità per le sbavature di Sciascia.
Do you remember?
Per favore mi porti un gulash?
– Come, tu?
-Sì, mi interessa il centro della negazione,
il discreto, il nirvana, rien ne va plus,
via l’idea di rimanere legato
al piede dell’airone: voglio scendere,
quello che adesso gironzola sul mare,
resterò ad osservarlo, come il resto,
e ad identificarmi con un maturo catarro,
generosa prebenda da spiaccicare nell’occhio,
quando l’antipatia diventa insopportabile.
12
Posso dirlo, io sono colui che va oltre,
oltre l’essere del niente,
dove la cognizione si stabilizza come rilettura
di ciò che è stato detto sulla fune dei secoli,
e perciò, e quindi, e allora,
sei travetti e un chilo di plastica
per una serra d’erba da fumare,
una campana riflettente e una porta blindata
oltre la quale la luce policroma
proietta nel buio la risata del jolly,
scaffalature con fascicoli e fogli
con dentro la solita domanda:
ne valeva la pena?
13
Ad ogni circostanza,
prolungarsi dell’agonia di un padre distrutto,
ripescarti da un fondo d’illusioni senza foglie,
denunciare crimini dal palco,
ore di pioggia per i senzatetto,
giro degli occhi
oltre i peli che uscivano dalle mutande,
niente biglietto del bus,
manifestazione contro i missili di Comiso,
l’esproprio, comitati d’agitazione,
mare pieno di merda, disoccupati, mafie,
amori da esorcizzare,
capodanno con le crepes dentro il cuore,
fosse anche un accendino in regalo,
era il caso, ne valeva la pena?
14
Aria di sterco sul crocevia di campagna:
potevo imboccare l’altra strada del bivio,
mettere a nudo i trucchi e saperli utilizzare,
refrain di lagne, sogni macinati,
forse con qualche soldo
potrò fare un giro a cavallo
o andare a Parigi, ètranger,
magari passare in macchina da Jerzu
con mio figlio, sacco a pelo sotto la luna
e salame sardo nel pane,
o al bar della stazione,
alla ricerca di uno specchio per rompermi la faccia,
farmi un buco con Nietzsche,
“ciò che sono”, chi sono?,
apatico, atipico, in cerca d’utopia permanente,
in attesa che il campanello suoni,
ora vado a suonarlo, se non altro…
15
Ti lascio le mie agende a vegetazione diversa,
non ho avuto tempo d’incorniciarmi
né di trovare un aggettivo completo;
via libera all’annullamento del trattato,
chiaro che ci tenevo,
e tenevo di più al fluire reciproco, l’oltre-coito,
per arrivare a concludere che ciò che vale
è ciò che non sono riuscito a fare,
il possibile creduto
ridotto in impossibile realizzato.
Niente drammi,
l’allegra brigata di Dioniso
è sempre la mia ultima possibilità.