Il fallimento del riformismo, l’attualità della rivoluzione
Se guardiamo questa lotta dall’alto, emerge chiaramente come in tempi normali il riformismo sia l’ideologia dominante mentre le posizioni rivoluzionarie ricoprano una posizione di minoranza. A volte tale posizione era ufficiale, a volte di fatto. Ufficiale, quando la polemica era rivolta da una posizione di aperta minoranza (è il caso di Marx, Engels e Rosa Luxemburg nei confronti della direzione socialdemocratica tedesca, in decenni differenti; di Antonio Gramsci verso la direzione del PSI nel fuoco del Biennio Rosso; di Lev Trockij verso la direzione stalinista dei partiti comunisti di tutto il mondo); di fatto, come nel caso di Lenin dopo la presa del potere in Russia, quando la sua polemica con Kautsky era tra le righe una polemica nei confronti degli strati più arretrati del suo partito.
Tale minoranza non è mai stata una scelta di piacere, dettata da un “gene del settarismo” che i riformisti hanno sempre sognato di scoprire nei geni dei rivoluzionari. E’ invece dettata da un motivo più pratico. Il riformismo in fondo è il sintomo della corruzione materiale ed ideologica dei dirigenti della sinistra da parte di chi comanda questa società.
Non cade dal cielo né è un esercizio di stupidità: è il manganello ideologico del padrone nelle mani dei funzionari, degli economisti di sinistra, dei professori. E’ l’idea che sia sufficiente cambiare questa società a poco a poco; che il capitalismo, se corretto, possa crescere la società e gestire la democrazia con onestà.
Questo spiega anche perché, in ultima analisi, l’intera produzione del marxismo può essere ricondotta a una polemica contro le concezioni riformiste.
Pertanto, apparentemente questo percorso di lettura e formazione avrebbe potuto includere qualsiasi testo dei principali teorici del marxismo. E così crediamo che sia effettivamente.
Ma Marxpedia si pone il compito di pubblicare questo percorso qui ed ora, per gli attivisti dell’Italia del 2016, ed è stato necessario selezionare dei testi che, a volte direttamente a volte con la calma dell’analisi, parlassero alla nostra situazione specifica. Per questo preciso motivo abbiamo deciso di ridurre il più possibile il numero di testi che avrebbero composto il percorso e di escludere i classici per definizione.
Un percorso sulla lotta del marxismo contro le idee riformiste infatti potrebbe tranquillamente essere composto dal Manifesto del partito comunista (Marx), da Lavoro salariato e capitale (Marx), da Stato e rivoluzione (Lenin) e da L’Imperialismo, fase suprema del capitalismo (Lenin) e da Il programma di transizione (Trockij).
Già questi testi riassumono le principali battaglie del marxismo contro il riformismo ed elaborano, sulla base di dati reali e dell’esperienza pratica del movimento, un programma diretto di rovesciamento della società.
Ma abbiamo volontariamente deciso di non inserire nel nostro percorso questi capolavori del marxismo, che comunque potete trovare integralmente sul nostro sito. Questo perché questi testi parlano agli attivisti del movimento quale che sia la fase che devono affrontare. Sono una guida per l’azione che deve appartenere all’arsenale teorico del movimento in qualunque momento.
I testi che invece vi presentiamo qui appartengono a fasi specifiche del movimento e per certi aspetti rappresentano un approfondimento o un invito alla lettura dei classici citati poco sopra. Si tratta della Critica al programma di Gotha (Marx ed Engels), di Riforma sociale e rivoluzione (Luxemburg), de La rivoluzione proletaria e il rinnegato kautsky (Lenin) e de I sindacati nell’epoca del declino imperialista (Trockij).
Si tratta di quattro testi che affrontano direttamente polemiche che attraversano i nostri giorni, dalla questione programmatica alle argomentazioni dei riformisti, dalle esigenze del movimento dopo la presa del potere al destino dei sindacati nella nostra società se non si lotta per riconquistarli.
Per questa ragione ne abbiamo fatto la colonna vertebrale del percorso.
Che farsene delle riforme?
Diversamente da qualche decennio fa, oggi è patrimonio comune nel movimento il fatto che il termine “riforme”, per le socialdemocrazie di tutta Europa e per i partiti liberali, significa “controriforme”. Non ci spenderemo oltre, qui, sulla crisi del capitalismo europeo e sull’assenza di margini per costruire una politica di riforme anche lontanamente simile a quella portata avanti dalle socialdemocrazie fino alla fine degli anni ’70.
Oggi non vi sono né briciole da far cadere dal tavolo né riserve pubbliche da investire senza che scatenare una vendetta delle borse (gli “investitori”) e un ulteriore crollo del mercato. Per le borghesie di tutta Europa è la normalità servirsi dei partiti socialdemocratici o che provengono dalla socialdemocrazia per portare a termine le proprie ristrutturazioni.
Eppure, oggi tutti i principali organi di stampa devono difendere a testa bassa le quattro ricette ripetute dall’economia ufficiale. Per la stampa non esistono riforme possibili che non siano quelle dettate da chi già detiene le redini della società. Un disco rotto, questo, ripetuto come un mantra nonostante la realtà e i dati economici ogni giorno si incarichino di smentire questa tesi.
Lo stesso sistema che genera queste controriforme può essere difeso immaginando che possa essere regolato; gli stessi padroni che attaccano i diritti dei lavoratori potrebbero essere più tollerabili se “investissero” nello “sviluppo”; la stessa borsa che è stata strumento della crisi del capitalismo mondiale potrebbe essere positiva se “regolata”; potremmo continuare all’infinito con posizioni che, con sfumature diversi, attraversano la bocca di Rifkin e della Camusso, di Varoufakis e di Landini.
E dunque il testo di Rosa Luxemburg, Riforma sociale e Rivoluzione, è un vero e proprio manuale per smontare pezzo per pezzo queste argomentazioni e riporre la battaglia delle riforme al suo posto.
Lunghi decenni di tradimento del movimento da parte delle direzioni riformiste, sul terreno sindacale e politico, hanno quindi diviso in due le frange più combattive del movimento operaio italiano. Dalle scissioni sindacali della Cgil, che hanno dato vita al movimento extraconfederale alla fine del XX secolo, è cresciuta una generazione di attivisti sindacali che non ha mai mancato di combattività ma che ha spesso impostato la lotta per riconquistare diritti sul luogo di lavoro in solitaria. Attivisti e vertenze spesso eroiche ma incapaci di sollevare la base della Cgil contro la sua direzione, nell’idea che bastasse il solo esempio sul campo a stimolare questa battaglia.
Negli ultimi due anni il sindacalismo di base non ha lesinato tanto scioperi generali di categoria e intercategoriali (pubblico impiego e trasporti su tutti) quanto lotte pionieristiche in campi in cui la lotta di classe non si era ancora organizzata. Le ultime vicende dalla vertenza della GLS di Piacenza lo dimostrano ma la lista è molto più lunga.
Tutto questo stride con l’immobilismo nazionale in cui la Cgil è attanagliata. Si vive una condizione di attacco costante nel luogo di lavoro dove il funzionario confederale medio viene spesso visto come complice del padrone più che come organizzatore dei lavoratori. Ogni volta che ci si azzarda a chiedere di mobilitarsi, paura e diniego si dipingono sul suo volto.
Siamo convinti che saranno le condizioni materiali e le pressioni reali e porre fine a questa situazione ma, allo stesso tempo, sarebbe sbagliato pensare che tutto questo possa avvenire senza battaglia ideologica per conquistare la direzione di questo sindacato.
La combattività, da sola, non basta. Occorre capire come costruire il fronte unico. Per questo pensiamo che il testo di Trockij getti luce sulle trasformazioni che attraversano i sindacati confederali in un’epoca come la nostra e, soprattutto, perché bisogna impedirne la degenerazione tanto da dentro, con una lotta interna, quanto da fuori, con un onesto e chiaro fronte unico con la base più combattiva.
Sul lato politico invece, meno dettato dai ritmi delle vertenze sindacali ma più condizionato da avvenimenti più grandi, la divaricazione del movimento è stata più radicale. Da una parte una generazione che, dopo il fallimento di Porto Alegre, ha dovuto aspettare l’illusione di Tsipras per sperare ancora nel condizionamento democratico del sistema; dall’altro, un proliferare di gruppi ed organizzazioni che, pur apprezzando a parole le battaglie più minute per i diritti, sprofondano regolarmente nella ritualità di slogan molto generali.
Per essere più precisi, dal referendum in Grecia del luglio 2015 i sostenitori oltranzisti di Tsipras e Varoufakis non sono più stati nelle condizioni di spiegare perché il governo greco non abbia imboccato una battaglia contro la Troika. Allo stesso tempo, la capitolazione del governo di Syriza ha lasciato immobile chi ne ha denunciato il tradimento fin dall’inizio perché privo di un reale programma che non fosse l’uscita dall’Euro e lo stampar moneta.
Nella battaglia contro le concezioni riformiste, dunque, la realtà è sempre il giudice più severo. Utilizzando un esempio ancora più concreto e recente, il fronte del Leave nel referendum inglese non aveva mai avuto fin dal principio un programma col quale costruire la propria battaglia. E’ sempre stato lo stato d’animo di un settore di commercianti inglesi e di industriali inglesi di tornare ai vecchi tempi della concorrenza.
E’ anch’esso una manifestazione peculiare di riformismo, per quanto radicali e urlati possano essere gli slogan dei nazionalisti e dei compagni tifosi dell’uscita dall’UE. Si tratta di un fronte sciolto come neve al sole proprio al momento della vittoria. E non poteva essere altrimenti, considerata la debolezza del blocco sociale che rappresentava, per quanto reale sia la rabbia operaia nel Regno Unito per le condizioni imposte dal funzionamento dell’Unione Europea.
Per questo motivo ci è sembrato basilare tornare alla fonti di una battaglia programmatica come quella ingaggiata da Marx ed Engels verso la direzione della socialdemocrazia tedesca. I compagni avranno modo di leggere un’introduzione al testo e un testo pieno di spunti per le nostre ragioni.
Infine, non potevamo escludere una riflessione capitale per noi. Il compagno che fermasse il proprio orizzonte alla gestione dell’esistente o alla sola lotta per il potere, non potrebbe mai dirigere davvero un processo rivoluzionario. Solo porsi i problemi della direzione della società, per quanto astratto possa sembrare questo esercizio a un occhio superficiale, rimette l’analisi teorica al proprio giusto posto.
L’esempio del Venezuela o di Cuba, per quanto differenti tra loro, bussano entrambi alle nostre porte con decisione. E’ abbastanza evidente come non vi sia più futuro per la rivoluzione venezuelana o per quella cubana senza un protagonismo dal basso e una demolizione frontale delle concezioni riformiste che dominano gli apparati che governano il processo dei due paesi. Maduro o Raul Castro possono avere o non avere il carisma dei propri predecessori, ma col solo carisma né si vincono le rivoluzioni né si spiegano le sconfitte.
E’ nelle loro idee e in quelle del loro apparato che covano le opportunità per una controrivoluzione che può muovere una guerra pratica, reale, concreta, proprio perché nessuno arma gli oppressi di un programma di direzione della società; detto altrimenti, la controrivoluzione cova in ogni singola idea che porta queste due rivoluzioni lontane dal controllo dei lavoratori.
E in questo, la polemica di Lenin contro Kautsky ha molto da dire, nonostante sia passato quasi un secolo.
Questi quattro testi, dunque, ruotano attorno all’importanza di strappare anche la più piccola concessione per aiutare il movimento a capire la propria forza. Ogni vittoria, non importa quanto piccola, è un passo in avanti verso la comprensione che possiamo guidare la società. Questo è il solo approccio possible al tema delle riforme: conquiste che dialetticamente si trasformano in ulteriori leve per la lotta.
E’ con questo spirito che vi proponiamo questo percorso di formazione e vi auguriamo di fruirne appieno.