Il rispetto
“U rispettu è misuratu, cu lu porta l’avi purtatu”
Un discorso sul “rispetto” parte da lontano, dal rispetto che bisognerebbe avere verso ogni essere umano, il quale, secondo la “Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo” ha o avrebbe il diritto di vedere rispettata la sua condizione. Ma su questo si apre un’autostrada ancora tutta da percorrere il cui stimolo più elementare dovrebbe essere determinato dal pensiero che quello che sta succedendo a un altro, domani potrebbe succedere a se stessi.
La civiltà di massa ha portato a un notevole abbassamento del “rispetto verso l’altro”, e a una sorta di chiusura a riccio di ogni essere umano, che è diventato uno scoglio, un’isoletta su cui l’avvicinarsi di altri soggetti è vissuto come un disturbo alla propria tranquillità. Esistono poi volgari o raffinati gradi di rivalsa che partono da rancorosità, complessi d’inferiorità, bisogni interiorizzati di sfogo della violenza, che si trasformano in pratiche di rivalsa verso i più deboli. Il riferimento va verso i ragazzi massacrati di botte nelle caserme di tutto il mondo, verso Regeni come verso Stefano Cucchi, verso i desparecidos così come verso il massacro della Diaz di Genova, verso gli studenti di Pisa, Firenze, Catania, caricati selvaggiamente perché colpevoli di manifestare, verso i soggetti di colore, i diversi, verso quelli che fanno uso di stupefacenti, gli omo-transessuali, i dissidenti politici, verso i migranti, verso gli sfruttati ecc. Inutile parlare di quei balordi che usano ideologie e terrorismi per colpire nel mucchio, per indirizzare la loro condizione di assassini verso chi non c’entra niente. Esistono forme più elementari e più banali di “mancanza di rispetto”: quella degli sposi che spariscono dopo la cerimonia lasciando gli invitati ad attenderli per ore, quella di chi sta dietro uno sportello e lascia la fila per andare a fumare una sigaretta o per i suoi cinque minuti di pausa che diventano mezzora, quella di chi getta la cicca a terra, per non parlare del sacchetto della spazzatura, ai bordi, o al centro della strada, di chi lascia la porta del locale aperta, dopo essere entrato o uscito, di chi parcheggia in doppia fila, di chi cerca di aggirare la fila e di passare avanti a spese dell’altro, quella della raccomandazione per un esame, un posto di lavoro, l’approvazione di una licenza, quella di chi vende roba avariata mescolandola a quella buona, quella dell’insegnante che umilia l’alunno davanti ai suoi compagni, quella di un complesso musicale o di un intrattenitore che sparano la voce o le note a tutto volume, quella del cuoco o del cameriere che sputano nella pietanza da portare al cliente, per vendicarsi della propria condizione di servitori, quella di chi non sa tenere pulito il proprio locale, specialmente il bagno, quella del dirigente, giudice, medico, professore universitario che arrivano con il loro comodo, in genere quella della puntualità, quella di chi scarica veleni nell’ambiente ecc. La casistica in cui la “mala education” si trasforma spesso in quella che in siciliano si chiama “vastasaggine” è sconfinata, e sono i siciliani stessi a tracciare le caratteristiche del problema con il proverbio: “U rispettu è misuratu, cu u porta l’havi purtatu”. Ma in questa che parrebbe una normale indicazione del “do ut des” c’è, invece la condizione privilegiata dell'”uomo di C’è una considerazione di Oriana Fallaci sulla reciprocità del rispetto, il quale viene meno quando da una delle due parti in causa non c’è condivisione, ma intolleranza e fanatismo: “Che senso ha rispettare chi non rispetta noi? Che senso ha difendere la loro cultura o presunta cultura quando essi disprezzano la nostra? rispetto”, sia esso il mafioso o la persona importante che questo rispetto se l’è saputo guadagnare, con la violenza, col denaro, o con l’astuzia, con le sue capacità imprenditoriali, creative, organizzative, e che fa credere agli altri che il rispetto è reciproco, vuole il rispetto degli altri, ma si permette di mancare di rispetto come e quando gli pare. All’opposto, c’è chi, con la sua capacità di mettere se stesso al servizio degli altri, è meritevole del loro rispetto. Ma si tratta di mosche bianche. C’è anche una considerazione di Oriana Fallaci sulla reciprocità del rispetto, il quale viene meno quando da una delle due parti in causa non c’è condivisione, ma intolleranza e fanatismo: “Che senso ha rispettare chi non rispetta noi? Che senso ha difendere la loro cultura o presunta cultura quando essi disprezzano la nostra?” (Salvo Vitale)