La comicità italiana (S.V.)
La comicità non è una dote né una espressione o un modo di essere che si acquistano nel tempo. Uno/a non decide di diventare comico e nessuna scuola di comicità può farlo se tu non hai dentro la scintilla che scatta al momento giusto e illumina la scena. Neanche le battute scritte a tavolino e messe in bocca all’attore bastano per farne un comico. C’è una comicità che appartiene, come uno degli elementi, alla capacità di un grande attore di stare dentro a tutti i ruoli con successo e c’è colui che sta dentro il ruolo di comico e non è capace di andare oltre, o di entrare in una dimensione drammatica. La premessa serve a dare uno sguardo radente alla comicità italiana e a tutti i suoi esponenti e di tentarne un giudizio che, in considerazione della capacità di saper ridere, di realizzare un qualsiasi forma di empatia, non può che essere soggettiva e parziale.
Con il termine “babbu” in siciliano si intende “stupido”, senza personalità. Ebbene, la comicità italiana è “babba”, cioè mediocre, banale, demenziale, incapace di saper generare una piena risata liberatoria, spesso neanche un sorriso. Si nutre di banalità, barzellette, volgarità, doppi sensi, smorfie, sberleffi, che possono fare ridere per un momento, ma che volano via come cose effimere nella loro superficialità. Sferzante il giudizio di Ernesto Galli della Loggia che, sul Corriere.it, 24 dicembre 2009 scrive: «Mi domando se esistano altri Paesi in cui, non un filmetto qualsiasi, ma la pellicola che si prevede come la più vista dell’anno, consista in pratica in una serie ininterrotta di oscenità e di parolacce: una specie di lunga scritta oscena sulla parete del cesso d’una stazione. Ma l’Italia è evidentemente fatta così. Anche questo è il Paese reale, la sua cultura, le sue pulsioni profonde». Naturalmente la definizione esclude alcuni grandi comici, rimasti nella storia del teatro Si possono individuare sette aree regionali, con relative scuole ed espressioni della comicità, la scuola lombarda, quella ligure-piemontese, quella toscana, quella romana, quella napoletana, quella pugliese e quella siciliana: non mancano espressioni di altre comicità regionali legate, più che a una scuola, a un semplice soggetto. Indicherò per ognuno degli attori che cito un voto-giudizio.
Sulla scuola lombarda si va dal tanto decantato, ma solo per aver trovato il canale giusto della televisione, Gino Bramieri (4), poco più che un raccontatore di barzellette, a Walter Chiari (4), anche lui viso televisivo molto noto, per arrivare alle due grandi figure di Dario Fo (10), non solo comico, ma studioso delle varie forme espressive del passato, atte a suscitare una risata, e Giorgio Gaber (8) diviso a metà tra canto, chitarra e teatro. A Fo è indissolubilmente legata la moglie Franca Rame (8). La mediocrità caratterizza la comicità televisiva di Raimondo Vianello (4) e di sua moglie Sandra Mondaini (5). A Milano nasce e muore a Roma la poliedrica Franca Valeri, (7) capace di adattare cabaret, teatro e altri generi con e ruoli diversi, grazie anche alla collaborazione con il marito Vittorio Andreoli. Di origine milanese, ma aperto a varie identità nazionali, soprattutto a quella siciliana espressa da Cat-Aldo Baglio, è il trio Aldo,(5) Giovanni(4) e Giacomo,(5) espressione di una comicità spesso demenziale, studiata a tavolino ed espressa in spettacoli teatrali , in film e in partecipazioni televisive, in qualche caso di successo.
Un autentico attore comico completo è Paolo Rossi, (9), che ha avuto meno popolarità di quanto possa meritare, per le sue coraggiose scelte alla ricerca della comicità classica e del suo tempo storico. Su di lui su Wikipedia è scritto: “spazia da trent’anni dai club ai grandi palcoscenici, dal teatro tradizionale al cabaret, dalla televisione al tendone da circo. Il suo stile è caratterizzato dall’immergersi appieno nelle tematiche dell’attualità e dalla rappresentazione dei classici antichi e moderni: da Shakespeare a Molière a Bertolt Brecht e Orazio, all’amatissima commedia dell’Arte”. Lo troviamo insieme a molti altri , spesso piccoli e grandi attori della commedia italiana, come Paolo Villaggio(8) , Antonio Cornacchione( 5), Maurizio Milani( 5) in situazioni in cui il surreale diventa realtà e viceversa. Cochi Ponzoni (6) e Renato Pozzetto (8) hanno avuto il loro momento di popolarità negli anni ’80, ma anche dopo, grazie anche a collaborazioni con Jannacci, Bruno Lauzi, Lino Toffolo (6) e grazie anche a pezzi musicali o a ruoli cinematografici di notevole successo. Originaria di Milano e romana d’adozione è Mariangela Melato(9), un’attrice completa in ogni ruolo e in ogni settore teatrale, spesso in coppia con un altro attore completo, Giancarlo Giannini(9), capace di fare ridere a crepapelle e piangere di commozione. Non male Adriano Celentano (7), anche se vale di più come cantante
Scuola ligure-piemontese: Capostipite e insuperabile maestro è stato Gilberto Govi,(9), abile costruttore di maschere e di espressioni cui il dialetto genovese dava particolare comicità ed espressività. A distanza di parecchi anni ne hanno raccolto l’eredità Paolo Villaggio, (8) insuperabile deformatore dei miti e delle regole della borghesia italiana e Maurizio Crozza,(8), abile imitatore e caricaturista dei più importanti personaggi politici e imprenditoriali. Una serie di altri comici Luca Bizzarri (6) e Paolo Kessisoglu, Enrique Balbontin, Maurizio Lastrico, Fabrizio Casalino, (6) Ugo Dighero, Tullio Solenghi. Un caso a parte è Beppe Grillo,(7) che è stato capace di trasformare in partito , in alcuni anni con una grande popolarità, la satira per i personaggi politici, per la loro incapacità di governare e per la loro rapacità nell’arraffare denaro pubblico e mazzette. Torinese è invece Macario,(8) considerato “il re della rivista italiana”, grazie alla sua comicità da autentico clawn basata sul nonsense, sulla satira e alla presenza di belle, brave e sfavillanti soubrette e sfavillanti soubrettes. Di origine piemontese è Riccardo Miniggio, in arte Ric,(6) che ha fatto coppia con Gianfranco Bosco, in arte Gian(6), di formazione ligure.
Alla scuola toscana appartengono un simpatico Francesco Nuti,(6) strana combinazione di comico-depresso e il grande Benigni (10), capace di passare dalla comicità coinvolgente al racconto letterario della Divina Commedia, alla drammaticità de “La vita è bella” . Un successo costante negli ultimi trent’anni ha ricevuto Leonardo Pieraccioni (8), espressione di un umorismo pacato, gradevole, con l’uso di un linguaggio della gente comune, la rassegna di buoni sentimenti e di volti tipici della campagna toscana, ma anche di numerose altre occasioni legate ad artisti inter-regionali di media levatura, come Massimo Ceccherini(6), Rocco Papaleo(6), Anna Maria Barbera(6), Giorgio Panariello (5), Laura Chiatti, (6) Flavio Inzinna (5), Marcello Conte. Di origine romagnola, ma con caratteristiche non regionali è Daniele Luttazzi un comico di razza, spesso bloccato per le sue intemperanze o per battute oscene e costretto, per la sua satira, a subire una serie di processi, da cui è stato sempre assolto. Secondo Luttazzi lui questi sono i cinque principi fondamentali della battuta comica: brevità, esattezza, semplicità, sorpresa, ritmo. Di origine emiliana, ma capace di recitare qualsiasi ruolo in qualsiasi atmosfera, anche in quella della cucina, è stato Ugo Tognazzi (9), indimenticabile attore dalla comicità umana, ma anche scanzonata.
Ben più affollata è la scuola romana: a partire dal primo novecento si trova un grande, Ettore Petrolini, (10) inventore e interprete della parodia, della satira, e altri generi affini, come varietà, rivista e avanspettacolo, ritenuti “arti minori”. Petrolini non è un recitatore, ma un autentico “animale da palcoscenico” e recita secondo la sua teoria: ai primi del 900 egli diceva: «Nel periodo della musoneria italiana in cui un buon attore non era considerato tale se non si prestava alle parti lacrimose, io passai come un buffone distinto. Mi venivano a sentire per esclamare Quant’è scemo!». Molto decantato Paolo Panelli, (6) espressione del cabaret musicale, conduttore televisivo assieme alla moglie Bice Valori (6), a Delia Scala (7) ad Alighiero Noschese (8), a Nino Manfredi, a Mina e a Walter Chiari. Nino Manfredi (8) ha una ricca carriera di attore, caratterista e comico, ruolo che non sempre gli è riuscito di realizzare. Tra teatro, cinema e televisione si svolge la carriera di Gigi Proietti (8) attore, doppiatore, cantautore, regista, showman, cabarettista, direttore artistico, conduttore televisivo e trasformista. Proietti ha sicuramente il merito di non essersi reso prigioniero della sua identità di “romano”, cosa che invece ha caratterizzato Enrico Montesano (5), protagonista di diversi film in cui riesce a far ridere solo quando recita la parte del popolano o villano con la testa “fina”, così come Carlo Verdone (5) incapace di andare oltre la sua sguaiata “romanità” da uomo di strada. Il “mattatore” Vittorio Gassman (10), data la sua completezza d’attore e artista non ha bisogno di valutazioni, in quanto riesce a fare il comico con estrema disinvoltura. Anche Alberto Sordi (8) merita un discorso a parte, considerato che la sua lunga e applaudita carriera si impantana nelle banalità, in gag che non fanno ridere, al di là di poche riuscite battute: la galleria dei suoi personaggi, tipici della quotidianità dell’Italiano, non sempre riesce a far diventare comico il dramma della vita povera o di quella del piccolo borghese.
Romana purosangue è Monica Vitti (9), la cui gestualità, la capacità di usare i toni della voce e il viso e il sentimento come strumenti di comicità, l’hanno resa gradita e stimata. Anche il bravo Aldo Fabrizi (8 )è stato un pioniere della comicità romana nel mondo.
Discorso a parte per Vittorio De Sica,(6) la cui completa formazione culturale non lo allontana dalla sua originaria identità di napoletano. De Sica riesce in modo incommensurabile come regista del neorealismo cinematografico, meno come attore comico. A un livello più basso il figlio Cristian(4), gettonato nei film panettone di fine anno, assieme ai vari Massimo Boldi (4) , a una fila di sedicenti attori comici di mediocre livello, come Diego Abatantuono,(6) Claudio Amendola,(6) Ezio Greggio (6), Andrea Roncato (5), per spostarsi, in tempi più recenti ad Anna Maria Barbera,(4), Elisabetta Canalis,(5), Sabrina Ferilli,(6), i Fichi d’India,(5) Michelle Hunziker(6), Paolo Ruffini, Enzo Salvi. Non si può non citare, anche se non si tratta di veri comici, ma di artisti nel senso più pieno della parola, Nanni Moretti (9) e gli attori da lui utilizzati, da regista, come Silvio Orlando (8). La comicità “intelligente” di Moretti utilizza sapientemente l’ironia, il sarcasmo, la critica spietata verso i mali della società, soprattutto nel campo politico, lasciando spesso più che il riso, l’amarezza. Una citazione per Corrado (5) e Sabrina Guzzanti(6) che non sempre riescono a far ridere. Veneziana d’origine, ma romana d’adozione va ricordata una brava soubrette, Lauretta Masiero (8) e i suoi compagni di scena, come Lelio Luttazzi (7) Luciano Salce (6). e Renato Rascel (6) E a proposito di soubrette non si può dimenticare la brava ed estroversa Loretta Goggi, scrittrice, cantante, attrice, imitatrice.
La scuola pugliese, è trasversale alle altre, con una comicità alcune volte spontanea, altre volte studiata a tavolino, con i suoi Lino Banfi (4), Checco Zalone (7), Emilio Solfrizzi, Antonella Genga , Uccio De Santis, Alvaro Vitali,(6), Gianni Ciardo, e l’onnipresente Rocco Papaleo (7)
la scuola napoletana è molto ricca di bravi soggetti comici, , a cominciare dal grande e insuperabile Totò (10), re, anzi principe assoluto della risata, per arrivare alla famiglia De Filippo, di cui ben poco si può dire di Peppino (5) e Titina,(5) ma tutto si può riconoscere alla grandezza di Eduardo (9).Tutti e tre figli del grande Eduardo Scarpetta, (10), uno dei primi artisti a cimentarsi nel teatro dialettale comico, moderno, al punto che, nella facciata della sua villa, sulla collina del Vomero, fece scrivere: «Qui rido io!». L’ultima espressione dell’umorismo napoletano è data da Massimo Troisi (9) un comico capace di associare mimica e gestualità a un linguaggio napoletano comprensibile o intuibile anche da parte di gente fuori dalla sua regione. Lello Arena (7), Vincenzo Salemme (7) , Biagio Izzo, (7) Alessandro Siani (7), Carlo Bucci sono attori di una qualche bravura, nel solco di una “napoletanità” che ha lontane origini, come quelle di Nino Taranto (8) , di Carlo Croccolo (7), di Carlo Pisacane (8), (il “Capannelle” de “I soliti Ignoti”), della “ vecchia e brutta” Tina Pica (8). Un pensiero al più grande imitatore italiano, Alighiero Noschese,(8) scomparso troppo presto per sua scelta.
La scuola siciliana: Ai mostri sacri della comicità appartiene un attore catanese, Angelo Musco,(10) molto noto agli inizi del secolo scorso, per il quale scrissero alcuni lavori Luigi Pirandello, Rosso di San Secondo e Nino Martoglio. La sua comicità, arrivata persino in America, sta nell’interpretazione psicologica dei personaggi rappresentati. Altri attori legati al teatro e al varietà comico del catanese sono Leo Gullotta(8), Lando Buzzanca(8) Nel settore palermitano c’è una certa ricchezza di artisti comici, a partire dagli ultragettonati Franco Franchi (8) e Ciccio Ingrassia(8), la cui comicità spesso si esprime in una serie di gesti o di battute sempre uguali e in copioni scritti esclusivamente per far film da cassetta. Sembrano essere loro eredi Ficarra (7) e Picone (5), uno con le smorfie e le espressioni dell’identità siciliana sino all’esagerazione, l’altro con una calma più razionale, sino a rasentare la banalità. Una citazione per il compianto Pino Caruso,(7) re dell’ironia. In tempi più recenti la comicità siciliana è affidata a improvvisatori di banalità, di deformazioni del linguaggio e dei costumi, come Roberto Lipari (7), Sergio Friscia,(6) che recita con Lipari, Claudio Casisa, Enrico Guarnieri, Tuccio Musumeci,(8) Jerry Calà (5) , Teresa Mannino (7), Matranga e Minafò, Gianni Nanfa (7) , Sasà Salvaggio (6), Toti (4) e Totino, (4) , Claudio Casisa e Annandrea Vitrano, Pio e Amedeo, Giuseppe Castiglia, , i Petrolini, e altri di una lunga fila in cui spesso la gioia si trasforma in un riso amaro sulle debolezze del siciliano nel far fronte a quanto offre la vita e l’ambiente. Tra tutti spicca, nel settore messinese Nino Frassica, (7) con le battute stupide e demenziali e Pif, (8) con il suo raffinato, quasi sornione umorismo e la sua abile regia nel ricostruire dal suo angolo pagine della storia siciliana. Anche se di origine lombarda, Antonio Albanese (9) rispecchia l’origine siciliana dei suoi genitori, che ha lasciato profonde tracce, ma è capace di spaziare in qualsiasi ruolo, dal comico al tragico. Il suo personaggio “Cetto Laqualunque” ha introdotto nell’umorismo italiano temi d’importanza sociale, dalla corruzione alla degenerazione della politica, assieme a dimensioni in cui l’assurdo che sembra diventare un modo di essere della realtà. Comico puro, estroverso e polivalente è Fiorello (9)
Nota: Mi scuso per la severità di alcune valutazioni di comici che a me sembrano mezze calzette, mentre per altri sono re del palcoscenico. Non conosco, per non averli mai ascoltati quelli a cui non ho dato il voto e chiedo venia a quelli di cui non riporto il nome. Molti attori non sono stati citati poiché non erano specificamente comici, anche se capaci di fare comicità allo stato puro. Valgano due esempi, Mariangela Melato e Paola Cortellesi. Ammetto i miei limiti, perché non sono un critico teatrale, ma un semplice spettatore, che fra l’altro non ha rispettato la cronologia di vita degli attori di cui parla.