La crisi dei valori e i valori della crisi
Salvo Vitale
Non ci si inoltrerà in lunghe e complesse questioni di etica, su cui è stato detto tutto e il contrario di tutto. Alla base c’è l’eterno problema se esistono valori eterni, parte integrante dell’identità umana, idee universali di tipo platonico, archetipi ecc., o se i valori sono sovrastrutture che nascono in rapporto alle caratteristiche, soprattutto economiche di un dato periodo storico e pertanto sono mutevoli come il tempo che le produce. Anche questo è un vecchio argomento rispetto al quale, andando oltre la contrapposizione, adotteremo i due criteri, ritenendoli complementari. Il problema si incrocia con i diritti, indicati nelle varie dichiarazioni e costituzioni, il primo dei quali è quello dell’uguaglianza giuridica degli uomini e delle donne. Sino a poco tempo fa si è creduto invece in una artificiosa situazione di diversità e di disuguaglianza, attraverso l’individuazione di razze, alcune delle quali inferiori, di schiavi, considerati mezzi uomini, o attraverso le discriminazioni di genere. E comunque la più grande discriminante è data dal denaro, considerato ormai una sorta di divinità con la disponibilità della quale tutto è possibile. Inevitabilmente abbiamo già individuato il primo dei tre “immortali principi” della Rivoluzione francese, “l’egalitè” che non si può dire davvero compiuta se non diventa anche eguaglianza economica, cioè comunismo, come del resto già individuato a fine Settecento da Hébert e poi dalla Società degli Uguali di Buonarroti. Inutile aggiungere che di questo vagheggiato comunismo si trovano progetti e descrizioni nella “Repubblica” di Platone, nella “Città del sole” di Campanella, nell’”Utopia” di Tommaso Moro, nei socialisti utopisti, prima che Marx ne tracciasse, con saltuarie riprese, una precisa identità ideologica e politica. Un po’ più sfumato il discorso sulla “libertè”, vero asse attorno a cui ruota la storia, ma che ha una doppia valenza, psicologica e politica, all’interno della quale si possono ideare giochetti, sistemi politici, diritti da fissare e poi da conquistare, paletti, adeguazione dei rapporti tra il singolo e i suoi simili, con particolare attenzione alle emergenze, che sono causa di restrizioni degli spazi di libertà di cui dispone ogni individuo. Una delle ultime diatribe riguarda la libertà di non vaccinarsi, rispetto all’emergenza Covid, sino all’aberrazione di ritenere l’obbligo del vaccino una privazione di libertà simile a quella dei deportati nei lager nazisti. E arriviamo alla “fraternitè”, il più importante e il più trascurato dei principi rivoluzionari: essere fratelli, compagni, associati, membri di una stessa famiglia, incontrarsi, amarsi, dividere tutto, aiutarsi, capirsi, assistersi, scambiare conoscenze ed esperienze, ridere, giocare, ballare, suonare, cantare, mangiare insieme. Di tutto ciò è rimasta una vaga traccia nella partecipazione alle funzioni religiose o agli sport più popolari.
Per il resto sono in forte crisi le strutture aggregative che una volta permettevano di incontrarsi, di discutere, di organizzarsi, di avere “una coscienza di gruppo”, come le sedi di partito, quelle dei sindacati e delle associazioni. Nell’ultimo ventennio si è assistito a un progressivo svuotarsi dei vari punti d’incontro, ormai diventati sedi vuote o frequentate da pochissimi. A parte la scuola, dove l’incontro tra le varie componenti è d’obbligo e riservato a particolari fasce d’età. Dopo le nove di sera paesi e città sono deserti, e non solo adesso, a causa del Covid, eccetto che per i pochi praticanti della vita notturna, e la gente si ritrova chiusa in casa, davanti al televisore, disposta ad accettare tutto ciò che viene detto o proposto, senza alcuna possibilità di dialogo o di confronto con le proprie idee, che diventano, inevitabilmente, simili a quelle che vengono trasmesse. Da questo aspetto gli unici punti di aggregazione diventano i posti di lavoro o le parrocchie, che ancora resistono, perchè quello di salvare l’anima è un valore altrettanto egoista e valido che quello di preservare il corpo. In crisi, con saltuari momenti di ripresa, in attesa della riscossa, le discoteche e i luoghi della movida, dove l’occasionalità dell’incontro non differisce da quella degli stadi, a parte le tifoserie. In questa solitudine esistenziale dilagano naturalmente le ignoranze abissali dei protagonisti televisivi, soprattutto dei politici, gli scontri verbali, spesso cercati intenzionalmente, per impedire all’ascoltatore di capire le ragioni di una parte, rispetto a chi tenta argomentazioni diverse, la maleducazione, il turpiloquio, l’esibizione di sapienza e di certezze dietro cui si nasconde il vuoto assoluto. La concentrazione di gran parte delle testate giornalistiche e dei canali televisivi è nelle mani di pochissimi gruppi o di poche persone, orchestratori di un martellante lavoro propagandistico per trasmettere giudizi la cui falsità è riconosciuta solo da un occhio esperto, o per rendere familiari personaggi e conduttori al limite della deficienza mentale. Inevitabilmente si finisce con lo spostare l’interesse non verso la realtà concreta, ma verso quella virtuale del reality show, si alimentano forme di pensiero unico instupidito, oltre che reso volgare e tollerante nei confronti di chi riveste ruoli-guida, pretendendo di essere ”absolutus”, cioè sciolto da ogni vincolo verso qualsiasi legge o principio morale. Sulla carta vengono individuati e prescritti, soprattutto nell’ambito religioso, alcuni fondamentali principi etici spesso calpestati da chi se ne fa alfiere: è frequente incontrare campioni di solidarietà e di assistenza ai migranti che si sono arricchiti sfruttando leggi e finanziamenti del settore, concessioni governative, prebende. Altri si atteggiano a difensori di leggi utili solo a salvare conservatorismi, usi e costumi ormai risucchiati nella crisi generalizzata delle vecchie ideologie, ma ancora serpeggianti tra le ragnatele mentali degli irriducibili, i cosiddetti neocon che di nuovo non hanno nulla. I no al divorzio, all’aborto, all’eutanasia, al suicidio, alla fecondazione artificiale, all’omosessualità, al matrimonio dei preti, al matrimonio gay, alla libera convivenza, allo ius soli, sono alcuni dei tanti modi per espropriare l’individuo di prerogative che gli appartengono, in nome di una pretesa sudditanza al suo dio, padrone della vita e al suo o ai suoi rappresentanti in terra o ancora a qualche leader politico che crede nella religione come canale per la conquista di consensi politici. La stessa condanna teologica del “relativismo”, predicata da Ratzinger, comporta inevitabilmente, come scelta alternativa, l’assolutismo, e la condanna di chiunque la pensi diversamente dal divino e infallibile pastore e dal seguito di misteri, credenze, miracoli, che egli rappresenta o interpreta. Solo per fare un esempio, si pensi al caso Englaro e alla feroce campagna che voleva far passare il padre di Eluana come un assassino o un parricida, oltre che a certe becere affermazioni secondo cui un povero corpo immobilizzato e in una condizione vegetale, era ancora in grado di generare. Altro esempio: le diatribe sul crocifisso in classe, a dimostrazione che si dà più importanza all’esibizione di un simbolo appeso al muro, anziché alla interiorizzazione della propria scelta religiosa e al rispetto per altre scelte. Per non parlare dei balordi richiami alle “radici cristiane dell’Europa”, come se prima del cristianesimo non ci fossero state altre splendide culture e religioni, prima fra tutte quella greca.
Per il resto, tra telefonini, motori, canne e altro, il valore emergente è quello del farsi furbi per difendere e tutelare i propri interessi, di sperimentare emozioni ed esperienze sessuali senza bisogno di vincoli affettivi, di disperdere nell’inconcludenza della quotidianità la possibilità di costruirsi un’identità.
Per contro, man mano che lo spazio della vita vissuta si dilata, cioè, man mano che si diventa adulti o vecchi, si è portati a identificare i valori che hanno motivato i non più giovani e che li hanno accompagnato per il resto della vita, come gli unici valori validi possibili: è un modo di difendere se stessi, le proprie scelte, la propria storia e di tentare di trasmetterla e propagarla nel tempo. In molti casi addirittura si torna più indietro, verso passate tendenze camuffate da romanticismo, verso scelte conservatrici determinate dalla paura del diverso, sia esso quello della scelta politica, della religione, del colore della pelle, del disabile. Può capitare d’incontrare anche una positiva riconsiderazione di valori che si erano combattuti quando si era giovani e in preda ai “peccati di gioventù”, con il riemergere di forme di bacchettoneria in persone una volta protagoniste di battaglie di emancipazione, diventate con l’età puntellatori della propria immagine legata e dipendente dal giudizio altrui una volta rinnegato.
Mutazioni
Se quindi alcuni elementari principi interessano tutti gli esseri viventi, altri invece nascono, si affermano e scompaiono in rapporto al mutare delle condizioni che li generano. Molte volte queste mutazioni sono legate al bisogno di contrapposizione, di negazione, con qualche pretesa di affermazione della propria identità attraverso la negazione dell’identità passata, una sorta di anticonformismo che caratterizza la fase di superamento del periodo tardo-adolescenziale, ovvero la giovinezza. E tuttavia va riconosciuto che una base culturale forte assicura la conoscenza di valori che hanno animato il passato e la scelta, all’interno di essa, di principi esistenziali utili a far crescere la società, oltre che il singolo, in condizioni di convivenza sempre migliori. La sua mancanza porta invece a un degradante squallore determinato dall’ignoranza e alla pretesa di giudicare questa ignoranza come un livello superiore rispetto alla cultura del passato.
Il rischio è quello di rifugiarsi nella tradizione, come in una zattera, rispetto all’incalzare della bufera della contemporaneità che viene giudicata vuota, debole, superficiale, improduttiva, dissacratoria, irrazionale. Non è il caso di giudicare le bizzarrie e le follie esibizionistiche del vestiario, dell’abbigliamento, dei tatuaggi, delle acconciature dei capelli, dei pezzi di metallo attaccati in ogni parte del corpo, anche sulla lingua o nelle parti intime. Non intravedo in queste carnevalate elementi di sopravvivenza storica, ma solo di esibizionismo, che appartengono a scelte personali. Neanche approfondisco il tema dell’alimentazione, fatta di cibi già preparati e di ingredienti e sostanze manipolate, ben lontane dalla genuinità delle cose prodotte e cucinate in proprio. Naturalmente c’è un cambio di sostanze che vengono assimilate e che hanno proprietà e composizioni diverse da quelle di un tempo: sulla loro eventuale nocività e sulle conseguenze nel tempo si può discutere e lasciare approfondire il tema agli esperti.
Valori in estinzione
Un valore del passato, non più ritenuto tale, è quello della coerenza. Una volta era indicazione di fedeltà ad alcuni principi e/o alle persone che li rappresentavano, sinonimo di integrità morale e di serietà comportamentale, ci si inchinava davanti a chi, anche se in campo avversario, aveva saputo dare esempio e testimonianza di correttezza e dignità. Adesso il valore è rimasto sulla carta, poiché nei fatti c’è un vasto campo libero in cui scorazzano opportunisti, venduti o pronti e disposti a vendersi, gente che passa da un partito all’altro, da sinistra a destra e viceversa, mettendosi a disposizione di un padrone, naturalmente in cambio di congrue ricompense, ma anche di briciole. In politica gli esempi di Renzi o di Casini sono i più eclatanti, ma i cambi di casacca, dall’inizio di questa legislatura, sono stati 276, senza particolari sdegni né stupori.
Chiaro che non sempre la coerenza è un valore: essere coerentemente delinquenti o mafiosi , ovvero persistere nella scelta del delitto non serve a fare di un uomo una “persona di rispetto”, ove che per rispetto non s’intenda la paura, il timore riverenziale, il fascino perverso del male individuato in qualcuno capace di fare quello che piacerebbe anche all’altro fare, ma che non viene fatto per debolezza caratteriale. La mancanza di coerenza si avverte anche nel sostenere una tesi e nel sostenere, dopo breve tempo, il suo opposto o qualcosa che ne è diverso: l’espediente è simile al trucchetto commerciale con cui si danno per scontati prodotti che vengono messi in vendita a un prezzo maggiore di quello normale, oppure si indica un prezzo gonfiato per indicare poi uno sconto che è pari al suo originario prezzo di mercato. Oppure alla disinvoltura con cui si fanno e si disfanno le maggioranze politiche con partiti di cui s’era detto peste e corna.
Nella stessa misura con cui si sostiene una cosa e il suo opposto, cambiano i significati, al punto che lo stesso vocabolo si usa per cose opposte o contraddittorie. Nella sfera della coerenza rientra anche il valore dell’onestà, cioè la capacità di sapere rispettare le regole della convivenza civile, le leggi, i principi su cui si regge una società, rifiutando la possibilità di comode scorciatoie. La convivenza comporta inevitabilmente il rispetto dell’altrui persona, la solidarietà, l’amore del prossimo senza aspettarsi niente in cambio. E’ una negazione della coerenza sostenere una tesi e nel giro di poco tempo sostenere il suo opposto.
Valori e disvalori nuovi
In primo luogo c’è lo yuppismo, ovvero la caratteristica di soggetti rampanti, decisi a far carriera ad ogni costo, ad attaccarsi e ad arrampicarsi su qualsiasi appiglio o possibilità che consenta la conquista di un ruolo e la sua esibizione davanti al resto della società circostante. Essere “arrivati” significa soprattutto avere risolto i problemi esistenziali ed essere in grado di soddisfare i bisogni indotti dalla piccola o media borghesia, di cui si aspira a far parte, a partire fa famiglia, casa, lavoro, per andare a macchina, barca, ferie all’estero, pranzi e cene in un buon ristorante, indumenti griffati, gioielli di valore, magari da comprare a rate ecc.
Il raggiungimento dell’obiettivo comporta una serie di scelte divergenti dai valori di una volta: niente coerenza, niente onestà, niente sincerità. Il valore fondamentale e la discriminante sta nel denaro, nella sua accumulazione spregiudicata che passa dalla corruzione, al falso in bilancio, all’evasione, al furto, alla falsificazione, allo sfruttamento dei lavoratori, alla cancellazione dei sentimenti d’amore, di stima: anzi, si parla di autostima per mascherare l’egoismo, la presunzione, lo scarso rispetto delle altri. In tal senso l’etica calvinista individuata da Weber, ovvero la riuscita economica come segnale dei conformità alla realizzazione del disegno stabilito da Dio sul soggetto, ha sorpassato, se non cancellato, l’altro aspetto dell’”amatevi l’un l’altro”, al punto tale che chi pratica i valori cristiani e non solo, è ritenuto un fesso, un poveraccio vittima delle sue scelte comportamentali, abituato alla sopportazione, nella speranza di un premio divino e utile, in ogni caso, affinchè il furbetto, facendo leva sulle scelte altrui di correttezza, vada oltre attraverso la sua mancanza di scrupoli. Con l’avvertenza che principi fondamentali fatti propri dal cristianesimo hanno origini ben più lontane dei Comandamenti o dell’individuazione dei sette peccati capitali, invidia, gola, accidia, ira, superbia, avarizia, lussuria. Solo per curiosità, si noti che Gabriele D’Annunzio aveva cancellato dai vizi capitali l’avarizia e la lussuria, facendo incidere su una trave del Vittoriale la frase: “Cinque le dita, cinque le peccata”. Accanto alle virtù teologali, fede, speranza, carità, l’etica cristiana associa le virtù cardinali, prudenza, temperanza, fortezza, giustizia, indicandone qua e là altre come il coraggio, la rassegnazione, l’amore fraterno, la purezza, la generosità, la volontà: ma già Aristotele era andato ben oltre. Bisognerà aspettare Nietzsche per leggere una critica feroce di alcuni di questi valori e la proposta di un’inversione di una morale che ha avuto il suo primo assertore in Socrate.
Nota: Ho già affrontato il tema in un mio articolo pubblicato, su Antimafia 2000 dal titolo “L’inversione dei valori”, in data 30.9.2019.