La datità di senso
Mar i ta vul fi, tu no vol sco, nes gio de set ti pia, che ca de fa?. O m’a min pen a tia
L’acrostico di partenza potrebbe avere un senso, come potrebbe non significare niente , essere espressione di un’assenza di significato, di mancanza di datità di senso.
Man mano che riemergono i frammenti del discorso, quello di vita quotidiana, oddio, anche amoroso, la prima tentazione, se vuoi regola, è quella di assemblarli nella griglia del significato. Il puzzle si ricompone senza rinunciare all’insignificanza da cui provengono i pezzi. Il nostro costante, disperato modo di catturare pezzi volanti e di costringerli in categorie è una forzatura che Kant aveva cercato di stabilizzare per non perdersi: il salto nella dimensione logica non è niente più che la scelta di un paniere, uno scaffale, o per dirla in modo più deprimente, un comodo ricovero in un ospizio pieno di contenitori logici, forme a priori, categorie, schemi. I parametri guida dei vari stadi dell’esistenza umana sono legati alla “datità di significato”, a ciò che dà e contiene “coerenza logica”, sistemazione organica di ciò che ti circonda, persino di ciò che sta fuori di te, che galleggia tra le brume del fantastico, in funzione della sua “funzionalità”: ciò che regge il senso della presenza, la tua presenza come chiave di lettura di ciò che sta fuori di te. Lo sballo è una più o meno forte alterazione di questa capacità. L’avere altre chiavi di lettura, altre “porte” per avventurarsi su altre strade è ciò che gli uomini hanno in mano, briciole o grandi porzioni di questo potere, che si configura come trasgressività nei confronti di coloro che non sono disposti per nulla a deviare, perchè crollerebbe il filo di congiunzione e la continuità con il passato. Si ritiene indiscutibile il rapporto di causa-effetto, anche se Hume lo ha sbriciolato, si ritiene “logica” la disposizione di fatti affini, anche pieni di forzature, in una catena utile a dimostrare l’assunto di partenza. Questa lettura della conoscenza è una strada maestra suggerita o imposta dall’uniformità, dall’adattabilità funzionale al proprio essere e si conferma con l’esclusione di ciò che non è utile, non conforme alla sua affermazione e alla sua riproduzione. In politica è legata al fascino, alla paura, all’esaltazione o alla più frequente repressione dell’idea di rivoluzione, alla ricerca della “medietà” aristotelica, della mediazione, del consenso dei ceti medi, del rifiuto degli estremismi, della moderazione. Tra i misteri occulti del “noumeno” si gioca la scommessa di chi vuol tentare l’avventura e quella di chi non ha il coraggio di provarci. Qualcosa si fa spazio, difficoltosamente, in questa selva compatta, ovvero ciò che nasce dalla fantasia e che elude le regole, la traccia imprevista di una nota, di un colore, di una sonorità. In pratica l’arte. L’artista come corifeo della liberazione. Mi pareva di avere intuito la teoria del pensare e mi accorgo che Nietzsche l’aveva individuato più di cento anni fa, rilevandola da Schopenhauer, Gorgia l’aveva intuito duemila anni prima. Il punto di partenza è diverso, ma quello d’arrivo è uguale.