La guerra, la volpe, la iena e lo sciacallo
Nel calderone delle informazioni sul conflitto russo ucraino, se ne stanno vedendo e leggendo di tutti i colori. Intanto sono stati promossi a politologi o a esperti degli eventi internazionali giornalisti di vecchie e nuove generazioni, tutti impegnati a sparare proprie considerazioni che poi, tirando le somme, si assomigliano e non vanno al di là del solito conformismo, vecchia malattia del giornalismo italiano. La presenza dell’invitato-esperto è un passaggio pressocchè necessario, per dare un minimo di rilevanza al servizio televisivo, non importa quel che dice, l’importante è che abbia un titolo, anche farlocco. Anche sulle due parti in guerra se ne sono sparate tante, ovvero che gli Ucraini sono nazisti, che hanno favorito l’espansione della NATO sul loro territorio, che hanno fatto stragi nel Donbass, soprattutto nei sette anni passati, che Zelenski è al suo posto grazie a un colpo di stato, ma la stessa accusa di nazismo è stata ripetuta per Putin e per i russi, con contorno di barbarie, di disumanità, di cinismo, di violenza e di crimini contro l’umanità. Al momento questa seconda versione è quella dominante Riassumiamo:
1.Dire e contraddire: si trova ovunque qualcuno che ha qualcosa da dire su chi scrive e su tutto quello che si scrive, non tanto per proprie convinzioni, ma perché il bombardamento mediatico ha messo in testa una convinzione che è stata assimilata e resa propria. Quindi, anche colui che, per ridotte capacità mentali non ha mai formulato proprie idee, stavolta ne ha individuata, appropriandosene, una già pronta e resa indiscutibile davanti alla crudezza e all’abbondanza delle immagini quotidianamente esposte. Tutta l’impostazione del pensiero relativa a questa guerra, che per alcuni non bisogna chiamar guerra, è perfettamente costruita, incastonata tassello dopo tassello, dagli input provenienti dai servizi televisivi, fatti di immagini arrangiate alla meno peggio, dalle quali si evince, senza margine di errore, che i Russi sono criminali, sanguinari, macellai, a partire dal loro capo, Putin, mentre gli ucraini sono vittime della brutalità, della distruzione, della mancato rispetto dei più elementari diritti umani e che il loro capo, Zelensky è un eroe che sta cercando di reagire alla dittatura russa, per difendere la democrazia del suo paese. Una volta accertato questo ”indiscutibile” teorema, chi si permette di mettere in discussione una parola, è promosso a criminale, macellaio e amico di Putin.
2.Non è ammessa nessuna forma di equidistanza: questa intollerante posizione, espressa senza mezzi termini da opinionisti di area PD, sembra richiamare la posizione del PCI degli anni ’70: “O con lo stato o con le brigate rosse”. Quando il responsabile provinciale della CGIL del 1978, 15 giorni dopo l’assassinio di Peppino Impastato, durante una manifestazione di solidarietà organizzata dai sindacati, venne a dirci che bisognava schierarsi con lo stato contro il terrorismo, davanti al suo “o….o” , opponemmo il nostro “né…né”, nel senso che non si poteva stare col terrorismo, ma neanche con quello stato che voleva far passare per attentato, l’omicidio di Peppino Impastato. Padrut se ne andò, sommerso da un mare di fischi. Adesso, per ridicolizzare chi sostiene di non volersi schierare, è stato confezionato un neologismo, il “ne-neismo”, ma, si potrebbe controbattere con l’”o-oismo”. Nel nostro caso chi non sta con Zelesky, secondo il principio del “tertium non datur”, sta con Putin e viceversa, perché l’equidistanza sarebbe un oltraggio a questa guerra condotta in difesa della democrazia.
3.Proibito parlare di pace seriamente: le due parti in causa hanno escluso qualsiasi trattativa sino alla soluzione finale e i filozelenskiani sono d’accordo, potendo contare su forniture pressocchè illimitate di armi e assistenza varia. Putin, che sperava di chiudere la partita, come fatto in passato con altri stati “ribelli”, si è trovato davanti un’imprevista resistenza con il compatto schieramento dei cosiddetti paesi democratici, che in mille altre occasioni sono stati a guardare o sono entrati direttamente in azione, mentre adesso usano la tecnica dell’agire sottobanco per evitare di partecipare direttamente a un conflitto che minaccerebbe chissà quali altre catastrofiche conseguenze. Più che all’invasione tedesca della Polonia, risolta in un mese, questa guerra sembra avere qualche connessione con la guerra civile spagnola, allorchè tutti gli stati europei inviarono truppe regolari, ma con l’etichetta di volontari, senza impegno diretto. E’ concesso di agitare la parola pace ai giovani e ai meno giovani che manifestano innocuamente, come vaga aspirazione verso una impossibile combinazione degli eventi. A Papa Francesco I è concesso parlare di disarmo, di dialogo, di dire no al traffico delle armi, perché egli fa il suo mestiere, ma se lo dice l’ANPI, giù polemiche e arzigogolamenti, perché i partigiani italiani che combatterono per la liberazione del nazifascismo, foraggiati con le armi dagli americani, secondo inconsuete analogie, sono uguali ai partigiani ucraini. Va precisato, per chi non conosce bene la storia, che dal novembre del 1944 il generale americano Alexander bloccò i rifornimenti, invitando i partigiani a smobilitare, nella paura che tra essi prevalessero le formazioni socialcomuniste. Fortunatamente nessuno gli diede ascolto, anche se la mancanza di rifornimenti indebolì di molto la capacità offensiva dei partigiani, esponendoli alle brutali reazioni nazifasciste.
4.La mistificazione dell’informazione: mai si era vista una tale sovraesposizione mediatica di un conflitto bellico. Ogni telegiornale contiene tre quarti di informazione sulla guerra e poche briciole per altri eventi , che spesso s’incrociano con quelli bellici. Covid, crisi economiche, licenziamenti, inquinamento sembrano fastidiosi parassiti attaccati all’argomento principale. Niente è risparmiato all’intraprendenza degli inviati speciali , non le case, non gli animali, non i bambini, non gli alimenti, non il freddo. Ognuna delle vittime dice qualcosa, spesso in italiano, e da ognuno trasuda disperazione e bisogno d’aiuto. Attenzione, sono drammi umani con dolori insostenibili, ma sembra che al cronista più che questo interessa confezionare la notizia da mandare in redazione. Nella divisione in due fazioni ognuno crede che chi dissente, sia portato a sostenere la propria posizione, perché vittima di informazioni sbagliate. Va precisato che il dissenso è sostenuto da una minoranza esigua, inferiore al 10% e che, come è già successo nel caso dei no-vax, questa minoranza è usata come occasione per amplificare i contrasti e le tensioni ed è spesse volte esposta al pubblico ludibrio, malgrado l’autorevolezza di chi osa agitare certi argomenti spinosi. Tutti gli inviati sono riversati nelle zone sotto il controllo ucraino e l’altro lato dell’informazione è assente o proibito. Le notizie che non piacciono sono definite fake news, oppure sono censurate, e passano solo quelle che servono a dimostrare, a confermare e imbottire il cervello di una verità preconfezionata, servita come pasto quotidiano. Non c’è un attimo di tregua: sedicenti cronisti e croniste di guerra frugano con le telecamere facendo diventare notizia anche le quotidiane banalità. Danno l’impressione di penetrare in zone inaccessibili o pericolose, ma, a parte qualche incidente di percorso, specialmente per chi si spinge troppo avanti, si guadagnano giornalmente la pagnotta con il solito collegamento, per la felicità dei propri direttori. C’è poi l’uso delle immagini, su cui non si dovrebbe discutere, ma invece lo si fa. E così la foto della vicepresidente ucraina che fa il saluto fascista è ritenuta falsa, anche se vera, quella del videogioco spacciato da Formigli per l’acciaieria di Mariupol è ritenuta una disattenzione, la sostituzione delle statue di un eroe ucraino con quelle di Stephen Bandera, collaboratore dei nazisti, glorificato e diventato eroe nazionale, è una scelta “democratica”, su cui si stende un velo pietoso. Altra patente di eroe è stata data al nazista Denis Prokopenko , capo del famigerato battaglione Azov, ,i cui crimini commessi nel Donbass sono inimmaginabili e che adesso, secondo Putin, se ne sta asserragliato nell’acciaieria di Mariupol, usando i civili come scudi umani. Non vogliamo parlare della sospensione di 11 partiti ucraini dell’opposizione moderata e di quella del Partito Comunista, malgrado il suo 13%.
5.Difesa della democrazia: la lotta di Zelenskj è presentata come una lotta di resistenza per la democrazia, sul modello delle democrazie occidentali, le quali lo appoggiano perché così difenderebbero se stesse. Non risulta che Zelensky e i suoi sostenitori abbiano espresso simpatie per le democrazie che adesso lo difendono. La democrazia non c’entra molto, come non c’entra, se non di straforo, in tutte le guerre condotte in suo nome. Nel nostro caso i partigiani italiani avrebbero tutte le sacrosante ragioni a non volere essere paragonati con quelli ucraini, perché il loro nemico, il fascio-nazismo stava dalla stessa parte in cui ora stanno parecchi combattenti ucraini. E allora? Dare via libera al bastardo russo? Ci potrebbe essere un’ipotesi secondo cui gli Stati Uniti, che hanno tra la loro intelligence strateghi pronti a descrivere e a tracciare il futuro militare del pianeta per i prossimi dieci anni, abbiano deciso di usare il caso Ucraina per conseguire due obiettivi: indebolire l’Europa e la Russia e restringere gli spazi di democrazia aperti dopo la seconda guerra mondiale e troppo esposti al rifiuto del militarismo e del conflitto armato.
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6.La “stupidità” delle sanzioni: Lo storico C.M. Cipolla, in un suo gustoso e breve saggio dal titolo “Le leggi fondamentali della stupidità umana”, indica come caratteristica centrale della stupidità quella di causare «un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita». Se dovessimo valutare il senso e i risultati delle sanzioni che per ordine degli Stati Uniti i vari stati europei hanno portato avanti nei confronti dei Russi, non possiamo non concludere che si tratta di stupidità allo stato puro, dal momento che è più il danno arrecato alla propria economia che a quella dei russi, i quali hanno a disposizione un mercato mondiale sconfinato per vendere i loro prodotti. Nella strategia degli USA un’Europa debole e dipendente dal dollaro è più facilmente controllabile, in quella degli strateghi europei c’è addirittura la trovata draghiana che, per ottenere la pace basta diminuire di qualche grado i condizionatori. Pertanto, pur sapendo che il 40% del metano arriva dalla Russia e che non potrà in nessun caso essere sostituito interamente da altre fonti, ci si fa credere che ci si potrà difendere con un po’ di gas dell’Angola, un po’ dell’Algeria, un po’ degli Stati Uniti e con un brutale aumento dei prezzi che metterà in ginocchio l’economia causando nuove povertà. Negli ultimi giorni sembra che Francia e Germania si stiano accorgendo delle conseguenze controproducenti di alcune sanzioni, specie nel settore energetico, e stiano rompendo il fronte. Non è il caso dell’Italia, da sempre tappetino degli USA.
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Sta cominciando a crescere un fronte di interventisti che, come nella prima guerra mondiale, era in origine minoritario, ma che fu capace di trascinare l’Italia nel conflitto mondiale. Comincia a girare la voce “che la guerra è bella, anche se fa male”, che bisogna anche rischiare la vita per i fratelli ucraini, che chi non si lascia coinvolgere è un vigliacco. Il tutto è sistemato in una cornice secondo cui la guerra è inevitabile, è immanente, che quanto prima ci ritroveremo tutti immersi nella terza guerra mondiale, quindi bisogna cominciare a prepararsi. E’ difficile contrastare con questo mucchio di balle, spesso messe in giro in maniera subdola, altre volte aggressiva, anche perché le voci messe in giro dal circuito mediatico hanno una loro capacità d’impatto preoccupante, specie per chi non è provvisto di adeguate capacità critiche.
Il punto di questa riflessione è proprio in questa fragilità del destinatario finale della notizia, che è poi il terreno su cui si costruisce la propaganda e il consenso. Tutti i regimi, direi tutti i governi, maneggiano queste tecniche e, in tal senso, Zelensky si è dimostrato un esperto e ha già vinto la battaglia mediatica, anche su scala mondiale. Putin, da parte sua, sa di poter contare sulla forza bruta e sulla sua presunta certezza che gli stati dichiarati ostili non hanno alcun interesse di portare avanti uno scontro diretto. Alla fine raccoglierà solo macerie.
Antimafia Duemila 27.4.20