L’errore delle elezioni anticipate
Negli ultimi giorni in Italia c’è stata un’accelerazione verso le elezioni politiche anticipate, invocate da molti partiti e movimenti, seppure per ragioni diverse.
Questa circostanza è abbastanza curiosa, poiché la materia – stando all’art. 88 della Costituzione – è innanzitutto di competenza del Presidente della Repubblica, il quale “può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere”.
In realtà sul piatto di un possibile accordo sulla legge elettorale alcune forze politiche hanno inserito anche la data della prossima consultazione elettorale, come se il Capo dello Stato non avesse voce in capitolo o addirittura non contasse nulla. Si racconta addirittura di un accordo tra i quattro partiti più consistenti (Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Lega e Forza Italia) per andare a votare il 24 settembre 2017.
A parte lo scarso rispetto dimostrato nei confronti delle prerogative del Presidente della Repubblica, non si capisce comunque per quale ragione si dovrebbe sciogliere anticipatamente il Parlamento.
La principale motivazione addotta è che, una volta approvata la nuova legge elettorale, le Camere (elette con diverso sistema di attribuzione dei seggi) sarebbero di fatto delegittimate. Questo ragionamento è fuorviante per diverse ragioni.
Anzitutto, se considerassimo valida questa regola, per coerenza si sarebbe dovuta anticipare la legislatura nel 2014, quando dal bisturi della Corte Costituzionale (che ha di fatto modificato il cosiddetto “porcellum”) è uscita una nuova legge elettorale per Camera e Senato. E poi nel 2015, quando il Parlamento ha approvato il cosiddetto “italicum” per la Camera e persino all’inizio del 2017, quando la Consulta ha annullato anche parte dell’”italicum”. Non si può invocare un nuovo inizio soltanto quando fa comodo: o vale ogni volta che si modifica una legge elettorale, oppure non vale.
In secondo luogo è arduo sostenere che gli eletti con una legge elettorale, che poi è stata cambiata, per tale ragione debbano decadere. La Corte Costituzionale ha chiarito che, persino in presenza di una legge elettorale incostituzionale, i rappresentanti eletti e gli atti approvati dal Parlamento sono validi, per la necessaria continuità degli organi dello Stato. Questo argomento era rivendicato da molti tra i promotori del referendum costituzionale del dicembre scorso (per altro bocciato dagli elettori): oggi non è più valido?
La terza ragione è legata all’efficienza del Parlamento, che dovrebbe durare per cinque anni, salvo eccezioni. Ma le eccezioni dovrebbero essere ben motivate. È il caso di ricordare che la fine anticipata di una legislatura può mandare in fumo in lavoro di mesi o di anni, perché è evidente che ci saranno disegni di legge che non arriveranno all’approvazione esclusivamente per mancanza di tempo. A quel punto l’iter legislativo dovrebbe ricominciare dall’inizio nella successiva legislatura. Stupisce che molti dei sostenitori di una maggiore efficienza del Parlamento oggi sostengano la necessità di elezioni anticipate.
Quarta motivazione: le legge elettorali si cambiano per tempo e non al termine di una legislatura. La Bulgaria recentemente è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per aver approvato una nuova legge elettorale poco prima del voto. È vero che in Italia siamo in una situazione particolare, con leggi elettorali vigenti frutto della censura della Consulta e che l’approvazione di una nuova legge elettorale da parte del Parlamento è sicuramente auspicabile. Ma per evitare la possibilità di confezionare una legge elettorale strumentale, sarebbe logico aspettarsi che le prossime elezioni si possano svolgere il più lontano possibile dalla data di approvazione della nuova legge, cioè al termine naturale della legislatura. Anche in questa prospettiva le elezioni anticipate sarebbero da disapprovare.
La quinta ragione per cui le elezioni anticipate sarebbero da evitare è connessa alla “governabilità”, che di solito viene evocata come un valore prioritario. Anche sotto questo profilo si vede come l’instabilità del governo in realtà non sia causata da antiche regole costituzionali (da cui deriverebbe la necessità di una revisione della Carta), ma da incorreggibili vizi e oscuri giochi di potere, pronti a sacrificare la governabilità – altre volte esaltata – per proprio tornaconto. Non bisogna dimenticare che in autunno il Parlamento è di norma impegnato nell’approvazione della legge annuale più importante: quella di stabilità, cioè relativa al bilancio dello Stato. Tenendo conto dell’elevatissimo livello del debito pubblico italiano, non pare saggio sovrapporre elezioni politiche (che comportano di fatto un periodo di incertezza) e decisioni economiche rilevanti (si pensi anche soltanto al previsto aumento dell’IVA dal 22 al 25% nel 2018).
A ben guardare, un argomento valido per sciogliere il Parlamento ci sarebbe, o meglio, ci sarebbe stato. Alle elezioni del 2013 per la Camera dei Deputati – in base alla legge elettorale allora vigente (il “porcellum”) – è stato assegnato un premio di maggioranza (oltre 100 seggi) alla coalizione di centrosinistra, formata fondamentalmente dai partiti PD e SEL, che subito dopo si sono separati. In quel caso si potrebbe anche affermare che è venuta meno la fiducia tra elettori ed eletti, poiché il voto (e il premio) assegnato ad una coalizione di fatto è stato snaturato rispetto alla volontà dei cittadini. Infatti, logica vorrebbe che un premio di maggioranza venga attribuito per costituire – appunto – una maggioranza tra i gruppi che fanno parte della coalizione che ha ricevuto il premio. Se tale “bonus” non venisse utilizzato per lo scopo prefissato, dato che la legge elettorale non prevede una restituzione dei seggi, spetterebbe al Presidente della Repubblica (allora era in carica Giorgio Napolitano) sciogliere la Camera per l’uso improprio del premio di maggioranza (anche perché rischia di ostacolare la formazione di altre maggioranze possibili). Dato che ciò non è accaduto nel 2013, sarebbe paradossale che tale motivazione venisse presa in considerazione nel 2017 a fine legislatura.
C’è un ultimo motivo che dovrebbe dissuadere tutti dall’intenzione di andare al voto anticipato. Lo si può dedurre da quanto accaduto giovedì 8 giugno, quando in Parlamento il voto segreto su un emendamento presentato da una deputata di Forza Italia, ha di fatto azzoppato la nuova legge elettorale. Il patto tra le principali quattro forze politiche pare sia già saltato o almeno congelato. Ma non ci si deve stupire, perché proprio le forze politiche che avevano trovato un accordo sulla nuova legge elettorale, sono le stesse che stavano spingendo per andare al più presto ad elezioni anticipate. Basti citare Stefano Ceccanti, il principale autore della riforma costituzionale bocciata dagli elettori nel referendum del 4 dicembre scorso, che alla domanda sulle elezioni anticipate ha risposto: “Con il varo della legge elettorale penso che diventerà inevitabile il ritorno alle urne prima della scadenza naturale. (…) È chiaro che per arrivare alla fine della legislatura la legge elettorale non avrebbe dovuto essere toccata”. Non è difficile immaginare che tra i molti franchi tiratori che hanno votato contro il patto elettorale e a favore dell’emendamento ci siano, oltre ai deputati non convinti del testo concordato tra i principali partiti, anche parlamentari che non gradiscono (per principio o per interesse personale) la fine anticipata della legislatura. Si tratta di una scena già vista: i leader politici alzano la voce per chiedere un cambio di maggioranza e di governo, mentre i cosiddetti peones preferiscono prolungare lo status quo. Per l’ennesima volta è stata sottovalutata la resistenza strisciante degli eletti, soprattutto di chi teme di non esserlo più.
In altre parole, la prospettiva delle elezioni anticipate, oltre ad essere in sé poco ragionevole, sta inquinando il confronto democratico sulla legge elettorale. Un motivo in più per evitare di anticipare il rinnovo del Parlamento, riprendendo con più serenità e senza secondi fini il confronto nel merito delle regole del gioco, che riguardano tutti i cittadini e le cittadine in modo diretto.
Se, nonostante queste ragioni contrarie, si andrà al voto nel prossimo autunno, vorrà dire che per l’ennesima volta le motivazioni che spingono le forze politiche sono altre rispetto alla correttezza e al buon senso. Non sarebbe una sorpresa, ma non possiamo nemmeno rassegnarci a subire passivamente accordi strumentali fondati sull’interesse occasionale di ciascun partito o movimento politico.
Che la politica debba essere la forma più alta ed esigente della carità è forse un’utopia. Ma un po’ più di rispetto delle istituzioni e dei cittadini non guasterebbe. Su questo punto – purtroppo – la politica non è mai in anticipo sui tempi.
Se il popolo diventa uno spettatore
(Rocco Antifoni su “Libera informazione)