LETTERA A OTTAVIO NAVARRA
Questa lettera scritta il 9 agosto e rimasta senza risposta, è stata rivista il 3 settembre, con qualche integrazione
Caro Ott.
La iena sicula ignora o finge di ignorare che il marchio lacoste si può trovare anche al mercatino per pochi euri ma fa due considerazioni su cui riflettere, ovvero il rischio che l’aggregazione che andiamo a costruire abbia qualche sfumatura radical chic e il fatto che in buona parte dei compagni ci sia troppa stagionatura: lo avevo osservato già all’Astoria nel ritrovare i soliti “reduci di mille battaglie”, quelli dei cortei, delle assemblee, delle manifestazioni condotte in nome di incrollabili principi che non sempre trovano riscontri nella variegata composizione della realtà siciliana. Quelli che ci ritroviamo sempre a lottare per la conquista di uno spazio, anche minimo con gli stessi sostenitori ed esponenti della stessa area politica della quale idealmente dovremmo tutti far parte. Va bbè, l’età non è una discriminante, ma la poca presenza di “sangue fresco” sì. Intanto spero per prima cosa che il rapporto umano che ci ha caratterizzato non venga meno, com’è già successo per altri compagni che, una volta lanciati nell’agone politico sono diventati inaccostabili: spero cioè che tu possa continuare ad essere la bella persona che sei , malgrado l’imminente navigazione nel mar dei veleni.
Gli altri
Qui è il primo punto: lasciare la baia o la nicchia tranquilla nella quale siamo stati ormeggiati e affrontare il mare aperto. Non so al momento cosa vogliono fare i fuorusciti del PD, oggi MDP, se continuare navigando a vista verso il nulla, verso la ricerca di gloriose bandiere d’altri tempi e se chiudere definitivamente con lo sbruffoncello che hanno prima sostenuto, storcendo il muso. Non sembra che abbiano manifestato qualche apertura verso la tua candidatura, anche perché conosciamo i polli, sono abituati a decidere loro, ad essere partito e non ad essere scavalcati dai movimenti di base. La proposta di candidatura di Claudio, senza che sia stato tentato alcun contatto, calata dall’alto ha solo una funzione di rottura del fronte e di rivendicazione di un ruolo di rappresentanza non condiviso. In ogni caso, prima di procedere bisogna parlarsi ed evitare, in ogni caso, che ognuno vada per i fatti suoi. Idem dicasi dei fans di Pisapia, che vuol fare l’unità, ma attorno a se stesso, per non parlare degli eredi di Sinistra Ecologia e Libertà, i quali mi pare stiano disperdendo il patrimonio pazientemente costruito da Vendola, arroccati in una identità priva di confronti con realtà affini. Si sono schierati solo i resti di Rifondazione e quelli di qualche sparuto cespuglio. E siamo già ai primi scogli all’imboccatura del porto, ben lontani dall’aggregazione già più ampia con la quale Antonio Ingroia non ha superato il fatidico 5%. La velleitaria proposta di candidatura di Crocetta non è molto diversa da quella di altre liste e altri candidati di sinistra che non rinunceranno ad esserci e preferiscono perdere e contarsi anziché stare insieme per contare. Anche Leoluca Orlando ha già deciso, imponendoci un nome, quello di Micari ( mi cari sulle palle) che, mi sembra, non ha nulla a che fare con la nostra storia, assieme ai vertici di un PD che di sinistra non ha più nulla, ma al cui interno circolano ancora persone alla ricerca dell’identità perduta. Non mi occupo della destra dove Miccichè, che in passato ha avuto lo stesso ruolo distruttivo di Renzi, ha capito che con l’unità la vittoria è possibile. Musumeci, che si dice essere persona seria, con la sua divisa di camerata non aveva molte chanches, ma può prendere quota sfruttando le debolezze degli altri.
I grillini
E poi ci sono i pentastellati che sulla Sicilia si giocano tutto e che, data la loro rozzezza politica, sono e saranno disposti, nei confronti di chiunque, anche all’insulto alla menzogna, oltre che alla facile demagogia. Credo che siano il vero problema, data la loro, per noi sconosciuta, capacità di raccogliere consensi e aumentarli malgrado le critiche. Quale il motivo del successo? La denuncia delle storture del sistema, i costi della politica, la diffidenza, per non dire ostilità rispetto all’invasione di migranti, la promessa, per allocchi, del reddito di cittadinanza, la denuncia della corruzione, la salvaguardia ambientale degli abusivi necessari, la netta barriera divisoria con il resto della “casta” e il conseguente rifiuto di alleanze con i presunti “corrotti”. Poche idee, facili da digerire, una mitizzata situazione di giustizia rispetto alle ingiustizie che caratterizzano le differenze sociali e l’operato della magistratura. O noi o loro. Basta e avanza per loro, non per noi , perché vogliamo accreditarci come nuova forza, ma anche come eredi di una lunga storia.
Mediazioni?
Conclusioni possibili: nello storico scontro tra “partitisti” e “movimentisti” sarei dell’avviso che non siamo un partito e non vogliamo esserlo, senza rinunciare a un minimo di organizzazione che non significhi dittatura di un direttorio con insormontabili paletti, puzzetta al naso e sdegnose prese di distanza: senza aperture e mediazioni non si va da nessuna parte e non bisogna mettersi nell’ordine di idee che partecipiamo per esserci, ma che ci siamo per vincere. Il “movimento” ha la sua forza nella mancanza di vincoli, nella libera circolazione di idee, nella creatività di chi ne fa parte, il Partito conta invece sull’organizzazione, sugli schemi, sulla strada già fatta, anziché su quella da costruire. Quindi quello della ricerca di aggregazione, il lavoro del “tessitore” e una delle prime opzioni da sciogliere e dei compiti di cui ti devi far carico, mettendo sul conto la puzzetta sul naso dei “puri” e degli ortodossi, lo zoccolo duro.
Nel sottile gioco della politica siciliana per molti tu rappresenti un intruso. C’è chi aspetta di vedere dove vuoi andare a parare per presentarti il piatto delle sue richieste. A monte c’è tutto l’apparato che possiede le strutture, le persone e le tecniche di controllo del consenso: c’è la vecchia piaga del clientelismo, del controllo dell’economia e degli strumenti per catturare adesioni e voti , delle promesse elettorali di fette della torta del bilancio della Regione e la folla dei piccioni pronti a contentarsi anche delle briciole. insomma, bisognerà farci i conti anche con questo e saranno bocconi amari. Non possiamo condividere il giustizialismo pentastellato e il rifiuto di ammettere chi ha già ricoperto cariche politiche. Esistono altre strutture collaterali, come i sindacati, i patronati, le associazioni, anche quelle d’ ispirazione religiosa, che costituiscono un’ulteriore veicolo di comunicazione con la gente.
Il lavoro
Alla Convention, aldilà di inutili riproposizioni del radicale bisogno di una vita diversa, mi sembra sia mancata un’analisi spietata e senza illusioni della situazione siciliana e della sua drammaticità, che è il caso di cominciare a leggere per quel che è: neanche nei regimi dittatoriali e polizieschi più feroci, (come quello ex-sovietico o quello di Erdogan) c’è un controllo così capillare del voto e dei posti di lavoro.
Sul ruolo della Regione, sul modo in cui viene distribuito il flusso di spesa pubblica, sulla gigantesca voragine di assistenzialismo, di affari, appalti piccoli e grandi, assunzioni, nomine, leggine per precari, immissioni in ruolo, raccomandazioni, acquisti, convenzioni, finanziamenti ad enti inutili, corsi professionali, fondi per i culti religiosi e per i restauri di chiese e parrocchie, POR, PIP, LSU, RSU, Co.Co.Pro si è detto di tutto, ma si continuano a oscurare i camminamenti sotterranei in cui si muove tutto ciò. Non è un segreto che maggioranze e opposizioni abbiano ognuna la sua porzione, per continuare a vivere e a recitare la propria parte, necessaria per dare l’illusione dell’esistenza formale della democrazia. Basta poi una sanatoria per tranquillizzare gli abusivi, ognuno dei quali porta quattro voti di famiglia, o la recente promessa di un migliaio di posti nella sanità per conquistare, senza sforzo, voti e la gratitudine di chi ha violentato l’ambiente, di chi ha umiliato il diritto all’assistenza medica, o di chi ha pazientemente atteso il suo momento per avere il posto. E siamo al punto più ostico, ovvero la struttura atipica, tutta siciliana, di gestione della forza lavoro: lavorare è un privilegio da conquistare o comunque da pagare. Pizzo o voto, compravendita del posto, quote di posto riservate, lavoro nero in percentuali superiori a qualsiasi altra regione italiana, extracomunitari sfruttati sino al midollo, salari dimezzati rispetto a quelli ufficialmente dichiarati dai datori di lavoro.
Agricoltura e turismo
A tutto ciò si aggiunge la smisurata e crescente differenza tra i prezzi dei prodotti all’origine e quelli sul bancone di vendita, soprattutto per i prodotti agricoli: la cooperazione è debole e pervasa dalla legge del sospetto, la filiera di distribuzione, in gran parte in mano mafiose, e comunque, sempre più concentrata in grandi gruppi di smistamento, impone progressive lievitazioni , gli incentivi all’agricoltura diminuiscono anno dopo anno, il 50% del vino prodotto, composto da uve da macero non ha prezzo o va in fumo, cioè in distillazione, i costi di produzione dell’olio siciliano non reggono la concorrenza con quelli tunisini, greci o spagnoli. Spesso ci si sciacqua la bocca facendo riferimento al nostro immenso patrimonio culturale, che negli ultimi anni ha visto salire alle stelle i costi dei biglietti d’ingresso ai beni monumentali , i prezzi della ristorazione e degli alberghi: anche sul mercato turistico siamo perciò battuti dalle ben più favorevoli offerte degli altri paesi del Mediterraneo. Per non parlare dei trasporti, della viabilità colabrodo, della difficoltà per raggiungere i posti più rinomati.
Compromesso o radicalità?
La volontà politica che avvolge come in un bozzolo la staticità di questa situazione è quella secolare dell’assurdo paradosso che mette in stretta dipendenza la soddisfazione di bisogni e necessità con l’obbligo di ricambiare col consenso e sostenere il sistema di potere politico secolarmente stratificato: può l’avvento di una reale politica di “sinistra” cambiare questo stato di cose? Si tratta di cambiare il modo di essere strutturale e congenito dell’economia e della società siciliana, con tutte le preoccupanti conseguenze che sono nascoste dietro l’angolo, dalla diffamazione, allo screditamento, agli scioperi del tipo “W la mafia che dà lavoro”, al delitto: è storia vecchia. La lezione di Peppino Impastato: “nun parrassi di vutari, ma di svutari” è ancora lì a suggerire che la discontinuità di cui parliamo è rottura radicale, potatura dei rami e riconversione delle colture e delle culture e che tale rottura dovrebbe inzupparsi di rivoluzione per essere efficace e risolutiva. Ci vuole la radicalità di Peppino nel mettere sul piatto la propria vita, per non lasciarsi avvolgere dal bozzolo (“il puzzo”) del compromesso, per ricollegarsi idealmente a quel grande movimento di speranze e di lotta che segnò l’inizio della Repubblica in Sicilia, strangolato con la strage di Portella della Ginestra. Non parliamo di minestrine grilline, ma di radicali mutamenti di regole e di modi d’essere. Con i tempi che attraversiamo, il discorso potrebbe diventare pericoloso e il rischio va messo sul piatto. E allora? Dobbiamo persino rinunciare alla speranza di una Sicilia Rossa non arrossata dal sangue? No, ci sono gli Americani e il Muoss, stiamo con i piedi per terra, senza perdere la speranza nella possibilità che tutto può succedere. Se tu dovessi diventare l’onorevole Presidente il problema vero sarà l’organizzazione del dopo.
La mafia non è una categoria a parte, ma è in tutto questo, e la lotta alla mafia non può prescindere da una scelta rivoluzionaria, sia personale che politica. Non mi soffermo su questo, siamo siciliani e conosciamo il problema, che parte soprattutto dalla centralità della intermediazione, come il volano della sicilianità, la ricerca dell’anello mancante, la password, la chiave che apre le porte, il valore aggiunto su cui si misura l’importanza della persona, la richiesta e l’imposizione di protezione, la raccomandazione, la calcagnata nculo ecc. E’ li la chiave di tutto, così come per Goethe è la chiave di tutto è la Sicilia, è in Sicilia, dove £tutto è compiuto”. Anche le mediazioni politiche di cui parlavo all’inizio fanno parte di questo circuito, ho il sospetto che siano un salvagente.
Il resto
Non mi soffermo sul resto, dalla politica di prevenzione degli incendi a quella dello smaltimento dei rifiuti, a quella della conservazione delle acque, in gran parte sprecate, a quella della sicurezza, alla sanità pubblica ormai al collasso, all’utilizzo dei beni sequestrati e confiscati ai mafiosi o presunti tali, alla salvaguardia delle identità culturali, artistiche, ambientali che caratterizzano lo “specifico siciliano”, alla continua emorragia delle nostre menti migliori, in gran parte giovani specializzati, verso l’estero o verso il Nord (è di ieri la notizia che un terzo dei ragazzi siciliani si iscrivono nelle università del nord ) e a quella spinosissima degli immigrati, sulla quale, ahimè, ho qualche riserva rispetto alle posizioni dell’”accogliamoli tutti a braccia aperte”, sostenute da compagni, ai quali, poi, se chiedi di accoglierli nella propria casa ti dicono: “che c’entra!”.
Per quello che posso, le mie doti, conoscenze, eredità culturali di intellettuale in pensione, che non ha alcuna voglia di farsi rottamare da improvvisati parvenus, sono a tua disposizione. Ciao
Partinico 9.8.2017 Salvo Vitale