Luttwak: “La Sicilia vada via dall’Italia”
Luttwak: “La Sicilia vada via dall’Italia e punti sul separatismo”.
In un articolo-intervista a firma di Enrico Deaglio, Edward Luttwak, tra i più noti politologi americani, parla di una Sicilia liberata dall’Italia. Con i porti funzionanti. E con un hub da realizzare a Enna. “L’Isola non sarà governata più dalla mafia, dalla politica, dai Calogero Sedara, ma dai siciliani veri, compresi i nobili, come ai tempi di Federico II. E di nuovo stupirà il mondo”…
Negli Stati Uniti d’America c’è qualcuno che si sta occupando a tempo pieno della Sicilia. L’Isola sprofonda in una pesantissima crisi finanziaria e sociale provocata da Roma. Negli Usa lo sanno benissimo. Ma sanno anche che la Sicilia è una pedina troppo importante per essere lasciata in ‘pasto’ a un’Italia che affonda, governata da un personaggio – Renzi – che più che occuparsi degl’italiani, sembra occupato a consegnare il Belpaese ai tedeschi. Da qui la possibile soluzione illustrata, anzi quasi dettagliata, da un americano molto particolare in un articolo dal titolo decisamente indicativo: “Ma che ci fa il dottor Luttwak in Sicilia?”. Il servizio, firmato da Enrico Deaglio, è pubblicato su Incontri ravvicinati (come potete leggere qui). E si apre con una frase dell’economista, politologo ebraico-rumeno naturalizzato statunitense, anche se con un passato siciliano: “Io sono l’unico ad avere la ricetta perfetta per la Sicilia”.
Insomma, a 72 anni Luttwak non ha perso il gusto di stupire. E anche di suscitare inquietudine. Eh già, perché questo personaggio che a quattordici anni stupiva i professori del Carmel College, in Inghilterra, per la facilità di scrittura, un po’ di timore lo incute sempre: di lui si sono sempre dette tante cose, anche che operi all’ombra della Cia, magari come agente speciale. Però quando uno come lui parla a chiare lettere di soluzione separatista per la Sicilia, beh, quanto meno c’è da pensare che non si tratti delle elucubrazioni di un signore un po’ su con gli anni che vaneggia.
La soluzione per i problemi della Sicilia è semplice, dice Luttwak: i siciliani debbono rialzare con “orgoglio il loro vessillo indipendentista sanguinante”. Insomma, aggiunge il professore, “i siciliani si riuniscono in assemblea e dichiarano la loro separazione da Roma”. E qui non si capisce se l’economista-politologo fa riferimento all’Assemblea regionale siciliana, ovvero al Parlamento siciliano, che in verità non sembra composto da deputati in grado di esprimere tale coraggio (basti dire che tengono ancora al governo l’attuale presidente della Regione, Rosario Crocetta, per non perdere i circa 16 mila euro di diaria parlamentare mensile…); o se, invece, l’economista-politologo ipotizzi una sorta di agorà, come nelle città dell’antica Grecia, dove il popolo siciliano, ridiventato improvvisamente separatista, decida di dire addio a Roma.
Attenzione: il richiamo del professore Luttwak è meno campato in aria di quanto si pensi. E quando noi
scriviamo del popolo siciliano che potrebbe ridiventare separatista non ci inventiamo nulla. Perché in Sicilia, dal 1943 al 1948, la maggioranza dei siciliani era separatista. Ed erano stati proprio gli americani, sbarcati in Sicilia nell’estate del 1943, a fomentare il movimento separatista, per poi abbandonarlo quando il sistema dei partiti, con in testa la Dc, garantì agli USA “ordine e disciplina” sotto il segno di Gladio, tra basi militari visibili e invisibili. Con un rapporto strettissimo tra le due sponde dell’Oceano che vedeva insieme anche mafia siciliana e Cosa nostra americana.
La storia si ripete, insegna Giambattista Vico. Con i “corsi e ricorsi storici”. Alla fine della seconda guerra mondiale la Sicilia era allo stremo. E oggi, dopo che tre governi nazionali (Monti, Letta e ora Renzi) e un contesto internazionale hanno ‘asfaltato’ l’Isola, lo scenario comincia ad essere quello degli anni ’40 del secolo passato. La descrizione della Sicilia che viene fatta nell’articolo è impietosa. Si parla del ritorno della povertà e “dell’eversivo movimento dei forconi”. Poi della Procura della Repubblica di Palermo, “alla ricerca di patti scellerati tra Stato e mafia”; con l’ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, accusato, “nientemeno di essere a conoscenza di terribili segreti”. L’articolo descrive il crollo “verticale” dell’economia siciliana con un avvertimento che non sembra lasciare scampo: “La Grecia è vicina…”.
Si parla del Canale di Sicilia con “duemila morti affogati”. Dell’emergenza rifugiati esplosa tra Lampedusa e il Cara di Mineo. E di un’Isola “clamorosamente divisa in due per il cedimento di un pilone dell’autostrada Palermo-Catania”. Viene anche raccontato il “caso Crocetta”. E’ la storia dell’intercettazione che non c’è – o che forse non si trova più – nella quale il medico personale del governatore della Sicilia, Matteo Tutino, direbbe peste e corna dell’allora assessore regionale alla Salute-Sanità, Lucia Borsellino. Vicenda, anzi vicende che, stando a quanto si legge nell’articolo, verrebbero “manipolate dalle solite menti raffinatissime per alimentare congiure di potere e piccoli tentativi di piccoli colpi di Stato”. Una vicenda che lasciava presagire la caduta del governo regionale di Crocetta. Ma poi tutto è rientrato quando ci si è resi conto che, in caso di elezioni regionali anticipate, i Cinque Stelle avrebbero vinto “a mani basse, se non altro per lo straordinario disgusto che attirano su di sé i partiti tradizionali”.
Nell’articolo si parla anche dl “discredito” che oggi avvolge gli uomini della “legalità” e “dell’antimafia”. Mentre “stanno diventando popolari i personaggi più strani”. Ora è il “turno” (pirandelliano?, ci chiediamo noi) “di un popolare giornalista e scrittore catanese, Pietrangelo Buttafuoco (di cui vi abbiamo gia’ parlato qui), ‘camerata’ convertitosi all’Islam sciita, per cui fa il tifo nientemeno che il capo del fascio-Lega, Matteo Salvini”. Un centrodestra senza idee, con Forza Italia allo sbando (di fatto – e questa è la nostra tesi – Berlusconi appoggia Renzi e sta sfasciando il suo partito sotto il possibile ricatto dei ‘mercati’ controllati della Germania: della serie, se non obbedisce i ‘mercati’ gli mangiano le aziende) potrebbe anche candidare un personaggio come Buttafuoco. In questo ‘teatrino’ potrebbe starci benissimo…
E dalle parti del centrosinistra? “Il ‘vecchio’ PD – si legge nell’articolo – è dilaniato da scandali, arresti, sconfitte”. Mentre il renzismo siciliano “ha come figura di spicco l’attuale sottosegretario alla Pubblica istruzione, Davide Faraone, 40enne fuoricorso in Scienze politiche. Scenario possibile: la Sicilia dei fannulloni, dei forestali, dei mantenuti, dei vitalizi, della corruzione, dei cannoli, del caffè corretto, va praticamente in default e la famosa Troika impone scelte di rottura. Se questo è il quadro – scrive Deaglio – perché non dare credito al ritorno del vessillo insanguinato dell’indipendenza, sventolante nella mani del professor Edward Luttwak?”.
L’analisi, per certi versi, è simile a quella di chi scrive. Noi, in verità, la motiviamo con i ‘numeri’, cioè con i continui scippi di risorse operati da Roma ai danni della Sicilia (l’ultimo riguarda 420 milioni di euro, soldi che sarebbero dovuti servire per gli impianti sportivi e la spesa sociale, come potete leggere qui). Partendo da una crisi finanziaria e sociale della Sicilia, che è sotto gli occhi di tutti, Luttwak illustra la sua ricetta. Intanto, come già accennato, separazione da Roma. I siciliani, a questo punto, dovrebbero definitivamente rompere con “chi li ha asserviti e distrutti”. Al governo nazionale, a conti fatti, la Sicilia non dovrebbe più chiedere nulla. In effetti, senza bisogno di ricorrere al separatismo, basterebbe applicare due articoli dello Statuto autonomistico siciliano – gli articoli 36 e 37 – per fare affluire nelle ‘casse’ della Regione un sacco di soldi. Sono le accise (in pratica imposte: per esempio quelle sulle benzine) che oggi si trattiene lo Stato (articolo 36). E sono le imposte che le imprese nazionali, con stabilimenti in Sicilia, pagano oggi allo Stato (in base all’articolo 37 dello Statuto dovrebbero restare in Sicilia). Se a questi si aggiungono le trattenute su IVA e IRPEF che, da qualche anno, lo Stato si trattiene abusivamente – trattenute che dovrebbero essere restituite alla Sicilia – la Regione siciliana ce la potrebbe fare benissimo da sola.
Alla fine, rispetto ad oggi, la Regione siciliana, una volta applicati integralmente gli articoli 36 e 37 dello Statuto autonomistico, dovrebbe pagare (in più rispetto a quello che paga oggi) i docenti di licei e scuole superiori (che sarebbero felici di rientrare in Sicilia, visto che il governo Renzi li sta ‘deportando’ nel Nord Italia) e i docenti universitari. E poco più di 2 miliardi di euro di spese sanitarie che oggi, in teoria, paga lo Stato (in teoria perché, da tre anni a questa parte, lo Stato strappa dal Bilancio della Regione un miliardo e 200 milioni di euro all’anno che vanno messi nel conto).
Quella che abbiamo illustrato noi è la posizione degli indipendentisti siciliani che, volendo, ipotizzano un distacco dolce della Sicilia dall’Italia. Luttwak, invece, è più deciso. Come già ricordato, dà per possibile una separazione meno dolce. L’economista politologo parla di un “capo” (chi potrebbe essere, ci chiediamo noi?), che dovrebbe “indossare un elmetto” e che dovrebbe manifestare la volontà di “non essere rieletto” (questo lascerebbe pensare comunque a un separatismo siciliano che si dà un “capo” democraticamente). Questo comandante dovrebbe, in prima battuta, “licenziare tutti i dipendenti pubblici della Regione” (circa 18 mila persone, più oltre 50 mila precari nascosti tra le pieghe di enti e società più o meno riconducibili alla stessa Regione).
“Sarà riassunto solo chi ha intenzione di lavorare – spiega Luttwak -. Viene dato spazio all’iniziativa privata, al commercio, al turismo, alla cultura. Viene incoraggiato il co-investimento. Vengono ristrutturati i porti, eliminando la burocrazia. Viene alacremente costruito un hub aeroportuale internazionale nella piana di Enna (progetto presentato qualche anno fa dai cinesi, ma sembra fortemente osteggiato dai tedeschi che pare siano i candidati ad acquisire le miniere di Enna e di Caltanissetta, con riferimento soprattutto ai Sali potassici ndr). L’Isola – aggiunge il politologo-economista – non sarà governata più dalla mafia, dalla politica, dai Calogero Sedara, ma dai siciliani veri, compresi i nobili, come ai tempi di Federico II. E di nuovo stupirà il mondo”.
Alcuni passaggi sono importanti. Il rilancio dei porti e l’hub di Enna sembrano un assist ai cinesi, che da anni si chiedono perché la Sicilia non valorizzi i trasporti via mare e via cielo. Importante anche il passaggio sulla mafia che non governerà più: detto dagli americani, la promessa acquista forza, perché tanti fatti di mafia avvenuti in Sicilia, da Portella della Ginestra fino ai nostri giorni, potrebbero avere salde radici dall’altra parte dell’Oceano. Notevole, e denso di significati non solo metaforici, il richiamo al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: una Sicilia senza gli eredi dei “Calogero Sedara” potrebbe significare un cambio radicale della classe dirigente: e qui, come leggerete più avanti, il richiamo ai grillini potrebbe risultare la chiave di volta del ragionamento di Luttwak. Che si richiama a una Sicilia che potrebbe ridiventare Capitale del mondo, come ai tempi di Federico II.
Abbiamo citato il Movimento 5 Stelle della Sicilia. Non a caso. Perché, leggendo l’articolo, viene fuori un
possibile legame tra Luttwak e i grillini. Così, dalla Palermo di Federico II ci spostiamo nella Bagheria di Renato Guttuso, Ignazio Buttutta e Giuseppe ‘Peppuccio’ Tornatore. Bagheria, nella Sicilia post stragi del 1992, è diventata una cittadina particolare. E’ il luogo, per entrare subito in tema, che è stato scelto da Bernardo Provenzano quando, catturato Totò Riina, diventa il capo della mafia siciliana. E’ a Bagheria che Provenzano stabilisce il proprio quartier generale. E lì resterà fino a quando una malattia non lo sfiancherà. Ma questo, si legge sempre nell’articolo, è ormai “acqua passata”.
Oggi la storia di Bagheria (e della Sicilia liberata dall’Italia?) ricomincia nel 2014. Quando in città si celebrano le elezioni comunali. I vecchi partiti hanno praticamente distrutto il Comune, che ‘viaggia’ con 43 milioni di euro di ‘buco’ e con l’immondizia per le strade. I Cinque Stelle presentano Patrizio Cinque, un ragazzo di appena 28 anni. Che verrà eletto sindaco. Ad appoggiarlo, tra gli altri, c’è anche Luttwak. Nell’articolo si racconta che lo stesso economista-politologo americano consiglia al giovane sindaco di nominare Marco Troiano assessore comunale alla Cultura. Di lui si dice che trasformerà Bagheria in una città turistica internazionale. Ma Troiano non si presenterà mai. E verrà sostituito.
A questo punto si entra nel mistero. Perché Luttwak appoggia il giovane sindaco di Bagheria? Non è stato lo stesso economista-politologo ad accusare Beppe Grillo di demagogia? Perché Luttwak e la moglie Dyala, nota scultrice, appoggiano certi personaggi locali di Bagheria? “Che ruolo ha la fondazione Guttuso in tutta questa storia? – si legge sempre nell’articolo – Il più famoso pittore comunista (ma convertitosi in punto in punto di morte) avrà un futuro nel mercato americano?”.
Il nostro ‘viaggio’ non si ferma in Sicilia. Da Bagheria, ci trasferiamo a Washington, dove “Luttwak – leggiamo sempre nell’articolo – è stato ben contento di risponderci… e di raccontare una storia non banale”. La storia è quella della famiglia Luttwak (ebrei romeni di Arad, in Transilvania) che nel 1947, “pochi mesi prima che i comunisti prendano il potere, lascia il regno di Romania con regolare passaporto firmato da Re Michele. Kozef, il padre – ricco, ma di ricchezza non feudale – vorrebbe fermarsi ad Haifa, ma gli inglesi vietano agli ebrei di scendere in quella Palestina che è ancora loro proprietà”.
I Luttwak proseguono per Napoli, città della quale l’economista-politologo serba ricordi bellissimi. E poi tutti a Palermo dove Luttwak frequenta la scuola elementare. Anche di Palermo i ricordi sono belli: il Teatro Massimo, il Teatro Politeama, gli spettacoli, la cultura. Ma anche gli affari del padre, che organizza l’export di agrumi siciliani verso l’Inghilterra. Affari d’oro. Quindi il trasferimento a Milano. Anni tumultuosi, per il giovane Edward, che viene espulso dalle scuole. Così lo mandano a studiare in Inghilterra. Dove diventa cadetto militare. Poi la laurea alla London School of Economics.
A metà anni ’60, a 25 anni, Luttwak va in Israele come volontario. Giusto in tempo per partecipare alla “Guerra dei sei giorni”. E poi ancora in giro per il mondo, al servizio di Israele, alla ricerca di ebrei intenzionati a dare una mano al Paese di origine. Quindi negli Stati Uniti, dove diventa docente universitario e consulente economico e militare dei governi USA. E poi altre storie, o forse altre leggende, che lo vedono consulente di alcune multinazionali americane e giapponesi.
Nella parte finale dell’intervista Luttwak torna ad occuparsi della Sicilia. Partendo dalla riforma agraria approvata dall’allora neonato Parlamento siciliano, anno di grazia 1950. Riforma agraria pessima, secondo l’economista-politologo. “Che decapitò una classe dirigente ricca e colta e la sostituì con una classe incolta di campieri mafiosi, di politici dottori, di magistrati super pagati”. Tesi un po’ debole. Perché la riforma agraria siciliana, alla fine, spezzò una parte dei grandi latifondi. Lasciando, però, i migliori terreni ai nobili e distribuendo ai contadini fondi non eccezionali. Anche se, in realtà, il destino dei bracciani agricoli del Sud era già segnato: avrebbero dovuto alimentare la forza lavoro del ‘Triangolo industriale’ del Nord Italia, come denuncerà il filosofo socialista e marxista siciliano, Mario Mineo, che era stato uno dei protagonisti della nascita dell’Autonomia siciliana. Non a caso messo da parte perché si rifiutava di fare l’ascaro, cioè di vendersi al grande capitale del Nord Italia.
La tesi di Luttwak è anche debole là dove parla di un’aristocrazia siciliana “decapitata”, se è vero che molti nobili siciliani si erano messi fuori gioco da sé già molti anni prima, consegnando i propri possedimenti ai mafiosi – gabelloti e campieri – del feudo che, di fatto, conducevano i fondi sfruttando i contadini: fatti descritti con dovizia di particolari nella celebre “Inchiesta in Sicilia” di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonino negli anni successivi alla ‘presunta’ unificazione italiana. E infatti Luttwak si corregge, ricordando che non tutti i nobili siciliani erano vocati per l’economia.
Tuttavia, aggiunge, “nella storia è sempre una parte dell’aristocrazia a guidare il progresso, è successo così in Inghilterra e in Belgio. In Sicilia, invece, una classe di politici mediocri, abituati a governare da lontano, ha messo l’Isola nelle mani di parassiti violenti, incapaci di alcunché, ma di certo utili a fermare ogni forma di progresso sociale, oltre che sindacale. Oggi si parla tanto di Matteo Messina Denaro – aggiunge – ma la figura chiave non è lui: è suo padre, che era il campiere – ovvero il padrone di fatto – dei latifondi dei baroni D’Alì di Trapani, l’ultimo dei quali è entrato pure nel governo nazionale di Berlusconi”. Il riferimento è a Tonino D’Alì Staiti, eletto parlamentare ininterrottamente dal 1994 ad oggi, sempre nelle file dei berlusconiani (nel 2013, per ricandidarlo, visto che aveva alle spalle cinque legislature, è intervenuto l’ex Cavaliere in persona).
L’articolo si chiude con i ricordi degli anni del separatismo siciliano, quando i vari Andrea Finocchiaro Aprile, Attilio Castrogiovanni, Antonio Canepa e via continuando creavano vere e proprie “attese escatologiche”, come scriverà lo storico siciliano, Massimo Ganci. “Guardi che io gli anni dell’indipendentismo e del bandito Giuliano li ho vissuti”, dice Luttwak. E oggi? “La Sicilia è ancora la portaerei del Mediterraneo”, chiede il giornalista. “No, finito – risponde l’economista-politologo -. Gli Stati Uniti si sono disimpegnati dal Mediterraneo e dal Medio Oriente. Gli interessi americani sono oggi in Asia. Sì, certo, resta la base di Sigonella. Che però non è così importante”. E la “Primavera araba”? E la presenza degli americani in Libia e in Egitto? E i droni di Sigonella? E il Muos di Niscemi? Vattelappesca!
Insomma, non è che il professore sia molto convincente. Almeno quando parla del Mediterraneo e del Medio Oriente. Però sulla Sicilia sembra avere le idee chiare: “Via da Roma. Fuori i politici. E anche tutti i magistrati super pagati, alla Ingroia… Tirare un po’ la cinghia e risorgere, sotto un capo, un nuovo Federico II…”.
Resta da chiedersi: Luttwak parla a titolo personale? E’ un uomo potente che si sta divertendo un po’ o c’è qualcosa dietro di lui? Di certo l’analisi sulla crisi finanziaria e sociale della Sicilia è corretta. A fronte di un’Italia che, al di là delle bugie raccontate da Renzi, è un Paese che sta scomparendo. Gli asset italiani finiti in mani straniere ormai non si contano più. Né Renzi e chi gli sta dietro possono pensare di pagare le ‘rate’ del Fiscal Compact continuando a derubare il Sud d’Italia, perché ormai nel Mezzogiorno non c’è più nulla da rubare.
L’Italia è in default non dichiarato. La manovra sulla sanità – che è sì un regalo alle assicurazioni (come vi abbiamo raccontato qui), ma è anche un risparmio di un sacco di soldi per uno Stato che erogherà 180 prestazioni sanitarie in meno – è un segnale preciso: il governo cerca soldi che non troverà. Lo stesso discorso vale per la “Buona Scuola”, con un grande numero di docenti del Sud che si rifiuterà di emigrare nel Nord facendo risparmiare soldi al governo. Lo stesso goffo tentativo di imporre al Parlamento siciliano quello che, in fondo, altro non è che una forma di ‘pizzo’ sulle presenze turistiche nella Cappella Palatina del Palazzo Reale di Palermo, è un’ulteriore prova che l’Italia sta per fare la fine della Grecia.
Insomma, tutti ormai stanno cominciando a capire che l’Euro, prima che moneta unica europea, è una truffa per metà massonica e per metà tedesca. Una moneta che, come ha dimostrato la vicenda greca, serve per togliere risorse a un Paese – la Grecia, per l’appunto – per trasferirle in Germania e in qualche altro Paese europeo (ma soprattutto in Germania). E tutti sanno che, dopo la Grecia – che è stata letteralmente derubata – toccherà all’Italia. In questo scenario le parole di Luttwak acquistano un’altra luce…
(La voce di New York)