Peppino, il sindacato, il lavoro
Intervento di Salvo Vitale all’Assemblea Nazionale di Democrazia e Lavoro
L’Assemblea Nazionale di Democrazia e Lavoro a Cinisi e l’eredità di Peppino Impastato
- Salvo Vitale
L’unico titolo che posso vantare è quello di essere stato compagno di Peppino Impastato e, nella stessa misura in cui queste giornate d’incontro e d’analisi sono state organizzate in questo posto per rendere omaggio a Peppino, voglio approfittare di questa opportunità proprio per parlarvi di Peppino, che molti conoscono solo di nome, e in particolare del suo rapporto con il mondo del lavoro e con il sindacato.
Peppino e Danilo Dolci
E’ il 1966 quando lo troviamo impegnato, come “inviato” del suo giornale “L’Idea”, nella partecipazione alla “Marcia della protesta e della speranza” organizzata da Danilo Dolci per un piano di rinascita delle popolazioni della Sicilia Occidentale, che non riuscì mai a decollare: lo vediamo in una foto con un cartello in cui è scritto: “Pace in Vietnam – Libertà ai popoli oppressi – Lavoro ai siciliani” Tre tematiche che, anche oggi qui sono alla nostra attenzione. Il tema del lavoro sarà centrale in tutta la sua attività politica, sia nella rivendicazione dei diritti, sia nell’analisi del plusvalore come strumento dell’accumulazione del capitale da parte dei padroni.
Qualche anno dopo egli scrive: «Il ’68 mi prese quasi alla sprovvista. Partecipai disordinatamente alle lotte studentesche e alle prime occupazioni. Poi l’adesione, ancora una volta su un piano più emozionale che politico, alle tesi di uno dei tanti gruppi marxisti-leninisti, la Lega. Le lotte di Punta Raisi e lo straordinario movimento di massa che si è riusciti a costruirvi attorno. È stato anche un periodo delle dispute sul partito e sulla concezione e costruzione del partito: un momento di straordinario e affascinante processo di approfondimento teorico. Alla fine di quell’anno l’adesione ad uno dei due tronconi, quello maggioritario del PCD’I ml: il bisogno di un minimo di struttura organizzativa alle spalle (bisogno di protezione), è stato molto forte.
Passavo con continuità ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d’opinione a livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime esperienze di lotta di quartiere, stavano lì a dimostrarlo. Ma io mi allontanavo sempre più dalla realtà, diventava sempre più difficile stabilire un rapporto lineare col mondo esterno, mi racchiudevo sempre più in me stesso. Mi caratterizzava una grande paura di tutto e di tutti e al tempo stesso una voglia quasi incontrollabile di aprirmi e costruire. Da un mese all’altro, da una settimana all’altra, diventava sempre più difficile riconoscermi. Per giorni e giorni non parlavo con nessuno, poi ritornavo a gioire, a riproporre: vivevo in uno stato di incontrollabile schizofrenia. E mi beccai i primi ammonimenti e la prima sospensione dal partito. Fui anche trasferito in un altro posto a svolgere attività, ma non riuscii a resistere più di una settimana: mi fu anche proposto di trasferirmi a Palermo, al Cantiere Navale: un po’ di vicinanza con la Classe mi avrebbe giovato. Avevano ragione, ma rifiutai».
I contadini di Punta Raisi
Il rapporto con gli operai dei Cantieri Navali di Palermo fu un primo contatto con i problemi dei lavoratori, ma era estremamente defatigante alzarsi all’alba, prendere il treno e andare a volantinare: si chiuse così la nostra militanza nel PCDI, dal quale fummo espulsi per indisciplina e la nostra attenzione si spostò verso la lotta dei contadini di Punta Raisi contro la terza pista per rivendicare il diritto al lavoro: è il filo che lega Peppino ai movimenti contadini degli anni ’40 e 50 e ai 40 sindacalisti allora uccisi dai mafiosi, dei quali erano mandanti i grandi proprietari: in questo caso non si trattava di occupare un feudo incolto, ma di difendere la propria terra o quantomeno di ricevere un giusto compenso per la sua espropriazione. Manifestazioni, cortei, scontri con le forze dell’ordine ci riportano in una fase in cui i diritti dei lavoratori potevano facilmente essere calpestati da quello stato che invece avrebbe dovuto farsene garante. Si tenga presente che questo aeroporto, “disegnato con l’intrigo”, tanto per usare una espressione di un presidente della Regione Siciliana, Alessi, fu voluto per le pressioni, da una parte della mafia, che allora aveva il suo principale esponente in Cesare Manzella, zio di Peppino, e dall’altra dalla politica, presumibilmente con le pressioni del pluriministro dei trasporti Bernardo Mattarella, originario del vicino paese di Castellammare del Golfo. In ogni caso non si costruisce un aeroporto in una striscia di terra tra una montagna e il mare.
Due incidenti
Il 5 maggio 1972, cioè tre giorni fa, è stato ricordato il cinquantesimo anniversario della tragedia aerea di Montagnalonga, allorchè un DC 8 dell’Alitalia , sulla linea Roma Fiumicino-Palermo, poco prima dell’atterraggio si schiantò sulla cima della montagna tra Cinisi e Carini causando la morte dei 108 passeggeri e dei 7 membri dell’equipaggio. Non meno grave l’altra tragedia del 23 dicembre 1978, allorchè un altro aereo Alitalia precipitò in mare, sulle coste di Cinisi, in fase di atterraggio, causando la morte di 108 passeggeri, compresi i 5 membri dell’equipaggio, e il miracoloso salvataggio di altri 21, grazie all’intervento dei pescatori di Terrasini. Non citerò i numerosi altri incidenti né i traffici d’eroina che veniva raffinata in zona e portata a New York. In quella lotta ci trovammo isolati e abbandonati anche dal PCI, che, dopo un primo momento si schierò a favore della terza pista, abbandonando i contadini al loro destino.
Gli edili
Spostiamoci al 1973: L’adesione a Lotta Continua, la collaborazione con Mauro Rostagno e il lavoro politico sul territorio, portano la sua attenzione alla condizione degli edili, la più importante attività di lavoro della zona: si tratta di giovani sfruttati bestialmente, costretti a lavorare dieci-dodici ore al giorno, a prestare due ore di lavoro gratuito presso le ville in costruzione di mafiosi o di professionisti a loro legati. Non sono coscienti dei propri diritti e della propria forza e sono vittime dell’ onnipotenza del potere mafioso, Dovendo fare i conti con questo stato di cose, Peppino e il suo gruppo instaurarono un rapporto di collaborazione diretta con la CGIL, gestendone in gran parte l’attività. È di quel periodo questo volantino: «Lavoratori. Edili, le nostre condizioni di vita e di lavoro sono state sempre caratterizzate dallo sfruttamento più bestiale e inumano. La maggior parte di noi non ha mai avuto il libretto di lavoro, non ha mai usufruito della benché minima assistenza contro le malattie e gli infortuni, ha sempre, lavorato in condizioni di spaventosa nocività ed insicurezza e senza assicurazione. Adesso è il momento di dire basta! Ci stiamo organizzando per affermare i nostri diritti e le nostre esigenze. Che cosa chiediamo:
1) che l’assunzione avvenga secondo le leggi vigenti (col libretto di lavoro, le marche, l’assistenza e tutto il resto);
2) il rispetto dell’orario di lavoro (40 ore settimanali, settimana corta);
3) il giusto pagamento dello straordinario (35 per cento in più);
4) il rispetto delle tariffe sindacali;
5) la terza categoria per tutti quelli che hanno già compiuto tre anni di lavoro;
6) salario garantito.
Lavoratori edili, uniamoci per lottare ed affermare il nostro diritto alla vita. Organizziamoci per lottare e per vincere.
F.I.L.L.E.A.-C.G.I.L. Cinisi»
Primo comizio di Peppino per gli espropriandi di Punta Raisi 1968
Due lettere
Com’era inevitabile l’agitazione degli edili non ebbe lunga vita, pressata tra le minacce dei neofascisti e quelle dei mafiosi. La mattina fissata per lo sciopero si presentò solo un muratore, che lavorava autonomamente, mentre gli altri andarono al lavoro, intimiditi dalle minacce dei mafiosi.
Ecco due lettere allora recapitate ai compagni:
- «Compagni, vi scriviamo ancora per dirvi alcune cose. Abbiamo visto che le nostre lettere hanno fatto qualcosa con i giovani muratori. Ci dovevano per forza esserci le minacce con voi luridi comunisti. La vostra politica di vendere “Lotta Continua” nel bar ci sta sui coglioni, perché dite un sacco di cazzate. E poi molti giovani comunisti di Cinisi la dovete pagare per altre cose che avete fatto negli anni scorsi. Voi tutti l’avete promesse, anche i muratori se si muovono. Luridi comunisti attenzione a quello che fate. Firmato: gruppo di avanguardia SAM (organizzazione fascista n.d.r.). Ci firmiamo e accettiamo da voi ogni provocazione».
- “Pinuzzu, ti scriviamo questa lettera per dirti una cosa. Innanzitutto ti diciamo che già un tuo amico (G.Impastato) ha ricevuto una lettera così. Noi siamo gente che ci guadagniamo il pane e voi comunisti volete levarcelo. Ma ti diciamo a te e a tutti i comunisti di finirla con tutti i muratori. Siamo capaci di fare tutto. Se voi continuate, subito agiremo. E non ci spaventiamo perché abbiamo l’appoggio di molte autorità. Tu, Giuseppe ed altri avete scherzato troppo con noi muratori, ma ora abbiamo deciso anche di farvi saltare la casa dove c’è il Circolo e così poi la pagherete al padrone. Perciò finitela una buona volta con i muratori e fateli lavorare in pace. E poi noi veniamo a sapere molte cose di voi e abbiamo informatori che ce lo dicono.
Gruppo lavoratori
Tramontato il progetto di mobilitazione sindacale il gruppo sceglie di intervenire nel campo della cultura e dell’informazione attraverso le due esperienze del “Circolo Musica e Cultura”, frequentato da un centinaio di giovani, e, successivamente attraverso la creazione di “Radio Aut”. Controinformazione, denunce, satira politica spietata nei confronti degli intoccabili, ma contemporaneamente attenzione ai problemi di chi aveva un lavoro sottopagato e di chi un lavoro non lo aveva.
1977-78 : i disoccupati
Il progetto era particolarmente orientato verso i lavoratori del villaggio turistico “Città del Mare”, circa 400 stagionali. Il villaggio, nato come filiazione della “Lega delle Cooperative” e con sede centrale a Bologna, era caratterizzato da una generica gestione di sinistra, e le assunzioni non erano esenti da criteri di cooptazione politica, cosa, del resto comune nel Sud, così come comune era il pagamento, da parte di chi gestiva il villaggio, di contributi alla locale sezione del PCI o a quella della CGIL: così il sindacato, che avrebbe dovuto difendere i diritti dei lavoratori, si trovava ad essere foraggiato da coloro con i quali avrebbe dovuto scontrarsi: era cioè “cinghia di trasmissione” al contrario, delle decisioni del padronato. E tuttavia avere un lavoro, dopo tutte le umiliazioni per conquistarlo, finiva con il rendere privilegiato l’occupato rispetto a chi invece il lavoro non lo aveva, mentre chi non aveva lavoro aveva paura di compromettersi lottando in prima persona. Da questa contraddizione non era facile uscire, soprattutto in un momento come quello degli anni 76-77, quando cominciò a diffondersi l’ideologia del “riprendiamoci la vita” e “il personale è politico.
1978: le elezioni amministrative sono l’ultimo approdo di Peppino, nel tentativo di entrare nelle istituzioni e scardinarle dall’interno. Le denunce delle speculazioni mafiose, attraverso finanziamenti statali, delle collusioni con i politici, della devastazione ambientale, delle manovre dell’eversione neofascista, costituirono una miscela esplosiva che, assieme al tritolo, fece esplodere Peppino sui binari, con l’aggravante del depistaggio delle indagini portato avanti da magistratura e mafiosi e con la complicità, mai del tutto emersa, di qualche personaggio politico. Costoro tuttavia non avevano valutato bene la risposta dei compagni e la ostinazione della famiglia, soprattutto di Felicia, a volere giustizia e verità. Ci sono voluti 22 anni, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
Un messaggio
Se mi è consentito un messaggio, non vi parlerò di guerra e pace, sia perché è il titolo di un romanzo dell’odiatissimo russo anarchico, Lev Tolstoi, sia perché non c’è spazio informativo che non ne sia giornalmente pieno. E’ già successo a Portella della Ginestra, 1 maggio, festa del lavoro, quando il tema della guerra ha occupato quasi interamente gli interventi degli oratori. La guerra sembra un ottimo distrattore, non solo dell’interesse verso i problemi del lavoro e della sopravvivenza, ma anche di quelli dovuti ai fondi per forniture di armi e degli altri relativi a sanzioni suicide che getteranno l’Europa in una recessione di proporzioni devastanti. Covid, crisi economiche, licenziamenti, inquinamento sembrano fastidiosi parassiti attaccati all’argomento principale.
La stupidità delle sanzioni
Per contro invece parliamo della “stupidità” delle sanzioni: in un passato articolo ho citato lo storico C.M. Cipolla, che in un suo saggio dal titolo “Le leggi fondamentali della stupidità umana”, ha indicato come caratteristica centrale della stupidità quella di causare «un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita». Il significato e i prossimi risultati delle sanzioni degli stati europei nei confronti dei Russi, ci fanno concludere che si tratta di stupidità allo stato puro, dal momento che è più il danno arrecato alla propria economia che a quella del nemico russo, il quale può contare su un mercato mondiale sconfinato disposto all’acquisto dei suoi prodotti. Pertanto, pur sapendo che il 40% del metano arriva dalla Russia e che non potrà in nessun caso essere sostituito interamente da altre fonti, ci si fa credere che ci si potrà difendere con un po’ di gas dell’Angola, un po’ dell’Algeria, un po’ degli Stati Uniti e con un brutale aumento dei prezzi che metterà in ginocchio l’economia causando nuove povertà. Non abbasseremo i condizionatori di qualche grado, ma dovremo tornare all’uso della legna per cucinare e lavarci, mentre dovremo spegnere le macchine che divorano energia elettrica e lasciare a casa, non 500 mila, come è stato stimato, ma almeno due milioni di lavoratori. Qualche stato europeo comincia ad arricciare il naso. Non è il caso dell’Italia, da sempre tappetino degli USA.
Sgombrato il campo torniamo all’argomento del lavoro: Il quadro di Pellizza da Volpedo, dal titolo “Novecento” illustra l’avanzata, nel Novecento, del quarto Stato, ovvero della categoria sociale dei proletari e lavoratori: ci sarebbe da ridipingere il quadro per illustrare il ritorno di quella borghesia, il terzo stato, che aveva messo fine alle regole del passato e cambiato il mondo, sfruttando i lavoratori. Quelle conquiste e quelle lotte costate spesso sangue, sono state risucchiate interamente e, in questa fase si sta realizzando la più spietata offensiva nei confronti dei lavoratori chesi sia verificata nella storia. Spuntano nuovi oligarchi, nuovi ricchi e ricchi mostruosamente ricchi, a fronte di licenziati, disoccupati, nuovi poveri, sfruttati e subpagati o sostituiti da tecniche di esternalizzazioni. E’ in questa fase che non c’è più tempo da perdere e occorre non andare a prendere la carezzina da Draghi, ma affilare le armi e organizzare una conflittualità sociale dura e senza cedimenti, per una distribuzione più dignitosa della ricchezza e per un equo costo del lavoro. Se sapremo attrezzarci per questa sfida avremo qualche possibilità di spuntarla.
Pubblicato su Antimafia Duemila 9.5.2022