Per un ritorno alla ragione rileggere Beccaria (Mauro Mellini)
Dovremmo tutti essere preoccupati se, per cercare un po’ di luce della ragione, per superare l’inerzia morale ed intellettuale di fronte a scempi della società e della giustizia, ci accada troppo spesso di dover confidare nel supporto intellettuale, nel sostegno morale di pensatori e scrittori d’altri tempi, tra i quali soltanto sembra possibile trovare chi in vario modo si sottragga all’assuefazione a certe spaventose irrazionalità, a certe intollerabili sopraffazioni dell’ingiustizia del presente. Ma rifiutare il soccorso della storia, il frutto della speculazione intellettuale solo perché d’antica data è cosa anche peggiore di non saper guardare avanti e valerci di quanto il progresso umano mette oggi a nostra disposizione.
Beccaria non è solo l’apostolo dell’abolizione della pena di morte. Talune sue riflessioni sulla natura, la finalità e l’utilità del diritto e delle leggi sono di una attualità per più versi sconcertanti.
Non è qui il caso di cercare di fare una sintesi del pensiero di Cesare Beccaria né di trascrivere i lineamenti della sua figura di pensatore e di propugnatore di principi troppo spesso dimenticati, né siamo noi in condizione di poterci cimentare con un tale compito.
Lapidaria la condanna di Beccaria del potere dei giudici di “fare le leggi” largamente utilizzando quello di “interpretarle” e del corrispondente dovere dei legislatori di redigere leggi chiare: “se l’interpretazione delle leggi è un male egli è evidente esserne un altro: l’oscurità che trascina seco necessariamente l’”interpretazione”.
“Quanto la pena sarà più pronta e più vicino al delitto, ella sarà tanto più giusta e tanto più utile”. E’ inutile domandarsi che cosa avrebbe dovuto dire di fronte alla realtà della “giustizia” attuale!!!
“La ragione non è quasi mai stata la legislatrice delle nazioni, che i delitti o più atroci o più oscuri e chimerici, cioè quelli de’ quali l’improbabilità è maggiore, siano provati dalle congetture e dalle prove più deboli ed equivoche, qualchè le leggi ed il giudice abbiano interesse non di cercare la verità ma di provare il delitto, qualchè da condannare un innocente.”.
Basterebbe quest’ultima proposizione per poter affermare che Beccaria sia stato, oltre che acuto analista del suo mondo presente, addirittura profeta di future, atroci distorsioni dello stesso senso della ragione.
Parole assai sagge scrive Beccaria sui “pentiti”: “…Alcuni tribunali offrono l’impunità a quel complice di gravi delitti che paleserà i suoi compagni… Il tribunale fa vedere la propria incertezza, la debolezza della legge che implora l’aiuto a chi la offende… invano tormento me stesso per distruggere il rimorso che sento, autorizzando le sacrosante leggi…al tradimento ed alla dissimulazione”.
E sui magistrati: ,,,,(il sovrano)… col non permettere le giuste e le ingiuste querele di chi si crede oppresso, avvezzerà i sudditi a temere più i magistrati che le leggi. Essi profitteranno più di questo timore che non ne guadagni la propria e pubblica sicurezza”.
Ed una massima di grande valore: “A che saremmo ridotti, se ci dovesse esser vietato ciò che può indurci al delitto?… Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi siano chiare, semplici…”.
Così, quasi a caso cogliendo frasi del famoso libretto “Dei delitti e delle pene”, si ricevono ammaestramenti che a distanza di secoli non hanno perso attualità.
Sapessimo usufruirne!!!
Mauro Mellini
12.04.2017