Pino Maniaci chiede e ottiene rinvio a giudizio. Intanto Telejato prova a reagire, con enormi difficoltà

Pino Maniaci chiede e ottiene rinvio a giudizio. Intanto Telejato prova a reagire, con enormi difficoltà
aprile 05
15:482017
NUOVA UDIENZA PER PINO MANIACI. INTANTO L’EMITTENTE TELEJATO, DOPO IL GRIDO D’ALLARME DI IERI, PROVA A REAGIRE ANDANDO AVANTI, ALMENO PER IL MOMENTO

Oggi nuova udienza del processo per l’operazione Kelevra, ma questa volta s’è parlato solo dell’imputato Maniaci Giuseppe, detto Pino. Hanno preso la parola gli avvocati della difesa Bartolo Parrino e Antonio Ingroia, davanti al GUP Natale, passando in esame i capi d’accusa e dimostrandone, a loro parere l’inconsistenza e la debolezza dell’impianto accusatorio, e pertanto hanno chiesto il non luogo a procedere e il proscioglimento dalle accuse. Ha chiesto di parlare Pino Maniaci, che, diversamente dai suoi avvocati ha chiesto di volere essere rinviato a giudizio, per potere dimostrare la sua piena innocenza e affinché siano individuati i responsabili di quello che a suo parere è stato un preordinato linciaggio mediatico nei confronti della sua persona e della sua emittente. Il GUP ha accolto la richiesta del giornalista e per lui è stato deciso il rinvio a giudizio. L’udienza si terrà davanti la seconda sezione del Tribunale di Palermo il prossimo 19 luglio.

Nel frattempo il grido d’allarme che era stato lanciato ieri è stato amplificato da vari mass media e testate giornalistiche, assumendo dimensioni forse superiori a quelle che erano le intenzioni della redazione. È vero che l’emittente è in vendita perché ci sono ormai troppe difficoltà, sia economiche, sia legali. Difficoltà economiche, perché ci sono da pagare le spese quotidiane per mantenere in piedi la struttura, (affitto, bollette telefono ecc), e perché il numero delle pubblicità è diminuito dopo lo scoppio del presunto scandalo in cui la Procura di Palermo, su input dei carabinieri di Partinico ha cercato di incastrare Maniaci costruendo attorno a lui una mostruosa macchina del fango. Ma soprattutto perché, da quando è nato il blog che pubblica gli articoli dell’emittente, una serie di denunce è piovuta sulla testa del direttore Riccardo Orioles, di Pino Maniaci e di Salvo Vitale. Denunce provenienti da più parti, dalla Kore di Enna, offesa perché abbiamo commentato pesantemente la laurea regalata al figlio della Saguto, da un alto componente della corte dei Conti, dall’ex Presidente del tribunale Guarnotta. Altre denunce sono arrivate da poliziotti, da ex commissari prefettizi, da giornalisti, sindaci, politici e persino da un alto rappresentante della procura di Palermo, offeso perché ci si è permessi di fare satira su di lui e su tutta una serie di personaggi che ruotavano attorno a una non meglio identificata zza Silvana Saputo.

In questo stato di cose ci si trova giornalmente nella condizione di dovere analizzare i pezzi virgola dopo virgola, parola dopo parola, per evitare qualsiasi commento che possa indisporre il suo referente e possa prestare il fianco alla consueta querela per diffamazione. Il nostro è anche un appello a rivedere questa legge che consente, come una volta ebbe a dire Antonina Bertolino di utilizzare la denuncia al posto della pistola. Basterebbe una rettifica, l’ammissione dell’errore o la sua spiegazione, la pubblica scusa, e invece non basta: la querela sta là è può scattare anche quando meno te l’aspetti, coinvolgendo l’editore, il responsabile della testata, oltre che l’autore. Il tutto, nella maggioranza dei casi, per far sentire il fiato sul collo o per spremere qualche soldo di risarcimento ai responsabili dell’offesa.

E quindi, constatata la difficoltà di potere svolgere serenamente un lavoro che per la sua specifica identità antimafia, anticorruzione e antillegalità non può che essere esposto a ritorsioni, considerato che gli ostacoli non vengono soltanto dal sottobosco mafioso, ma persino da chi dovrebbe apprezzare e tutelare il tuo lavoro, “in nome della legge”, ciò che resta è mettersi il bavaglio e rinunciare a trasmettere o continuare alla disperata in attesa che dall’alto qualcuno non disponga la chiusura definitiva o in attesa di una dichiarazione di fallimento. Stile Turchia. Noi non siamo più disposti a farci macinare né dalla Saguto né dai suoi amici, né da tutti quelli che si abbuffano al tavolo dei beni sequestrati a presunti mafiosi.

E comunque, gli attestati di solidarietà che ci sono pervenuti da tutta Italia, le telefonate preoccupate, gli inviti a continuare sono serviti a dirci che non siamo così isolati, come si è cercato di ridurci, che esiste una fascia di giornalisti e di telespettatori  che ci segue con stima e che c’è ancora qualche margine e qualche spiraglio per andare avanti nel nostro sogno di vedere crescere un’altra Sicilia che non c’è. È vero, siamo alla frutta, ma, in attesa di qualche improbabile acquirente, ancora c’è il dolce.

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