Quando si scambia la parte per il tutto (S.Vitale)
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Il tutto e la parte
Il classico sillogismo aristotelico dice che “Tutti gli uomini sono mortali – Socrate è un uomo – Quindi Socrate è mortale” La triade è composta da una premessa maggiore, una premessa minore, un termine medio e una conclusione. E’ il classico esempio di ragionamento deduttivo che va dall’universale al particolare, che ne è una componente. Il ragionamento ha già un suo limite nel non far precedere l’affermazione da un “se”, dubitativo che lascerebbe ulteriori spazi al concetto di universalità.
Non ci occuperemo dei complessi discorsi logico-matematici sul tutto e la parte. Certi quesiti, se il tutto fa parte della parte, così come la parte fa parte del tutto, se la somma delle parti è il tutto o una parte più grande, o se il tutto è oltre la somma delle parti, e ancora, se il libro-catalogo dei libri di una biblioteca fa parte della biblioteca o se è estraneo ad essa, o se si deve far riferimento, all’infinito, a un catalogo che comprenda il catalogo, rappresentano esercitazioni e paradossi su cui non si smette di discutere e che hanno alla base il vecchio tentativo di identificare la “causa” alla base di ogni effetto e poi, scordandosi di questa regola, di arrivare a una causa prima non causata, cioè a Dio. L’uomo che, distruggendo la natura (il tutto), di cui fa parte, distrugge anche se stesso, lo fa perché non si sente incluso nella natura ma se ne sente padrone. La èartw che pretende di essere tutto, o addirittura al di sopra del tutto.
Giudizi e pregiudizi
Secondo una diffusa caratteristica comportamentale in molti uomini c’è una diffusa superficialità ad estendere giudizi e pensieri a una sfera più ampia, rispetto a quella di partenza, senza che esistano relazioni e spiegazioni giustificabili. La parte per il tutto è uno dei difetti di chi vuole gettare un’ombra d’infamia su soggetti di qualsiasi tipo: basta uno schizzetto di fango a rovinare anni di lavoro sociale e politico fatti in nome di un ideale. Basta un reato, un furto, uno stupro, commesso da uno straniero, sia esso europeo o africano, per arrivare alla soluzione che tutti gli stranieri e/o gli extra-comunitari sono ladri, delinquenti, stupratori ecc…. Una volta confezionato e lanciato il giudizio, questo si trasforma in pre-giudizio e in criterio di valutazione che pretende di essere giudizio. E così il tutto viene omologato sulla base di quanto caratterizza una sua parte, o, al contrario, partendo dalle caratteristiche generali del tutto, si finisce col comprendere in esso anche una parte che non gli è omogenea.
Alcune parti che diventano tutto
Vediamo alcuni pregiudizi diffusi: in Sicilia c’è la mafia e pertanto la definizione di siciliano comprende automaticamente quella di mafioso. Chi non si sente mafioso è l’eccezione che conferma la regola. Se ci si permette di dire che Cinisi, il paese d’Impastato, è una città mafiosa, tutti quelli che vivono a Cinisi e che non sono e non si sentono di essere mafiosi, insorgono, a ragione, perché non vogliono essere catalogati come tali: alcuni di essi cadono nel vizio opposto, ovvero quello di accusare chi si lascia andare a questi giudizi, di danneggiare l’immagine, il turismo, l’economia ed altre baggianate simili, con la conclusione che dell’argomento è meglio non parlare. Tipico atteggiamento di chi non vuol cambiare nulla perché va bene così, anche con la mafia.
“Una parte” può essere anche quella della magistratura che non fa il suo dovere: è solo una parte, ma chi osa metterla in discussione, secondo quanto ebbe a dire un noto giudice, in riferimento allo scandalo dell’Ufficio misure di prevenzione del tribunale di Palermo, finisce col danneggiare l’immagine complessiva di tutta la magistratura, a mettere in pericolo, un pilastro del sistema. Stessa cosa è stata detta per i rappresentanti delle forze dell’ordine coinvolti in casi di malaffare, in trattative stato-mafia, o in scene di violenze contro i detenuti, indegne di un paese che si dice civile: a questo punto la scelta sarebbe, al solito, o non parlare del problema, oscurarlo, cercare di farlo cadere nell’oblio, o parlarne per correggerlo. In genere si opta per la prima soluzione.
Lo stesso tipo di giudizio si è portati ad attribuire alla politica: ci sono dei politici ladri, mediocri, incapaci? Ebbene, i politici sono tutti ladri, mediocri, incapaci. L’antipolitica è diventata un cavallo di battaglia di tanti piccoli santoni che manifestano un basso livello politico e che cercano faticosamente di mettersi alla pari con il livello politico più alto facendo credere di volerlo cambiare o di essere altro rispetto al tutto.
Oppure: nel mondo dell’antimafia ci sono enti, uomini, istituzioni che non hanno nulla a che fare con la lotta contro la mafia? Ci sono altri che usano le norme antimafia per fini personali o che hanno fatto dell’antimafia un businnes? Allora tutta l’antimafia è inutile, se non addirittura mafiosa, e anche l’affermazione che esiste una mafia dell’antimafia finisce con il provocare lo screditamento dell’antimafia, anche se solo una parte di essa può essere messa in discussione. Che è quello che auspica il mafioso: i cosiddetti “talebani dell’antimafia”, nella loro divisiva intransigenza non sanno prendere in considerazione questa banale conseguenza del loro atteggiamento, ovvero di essere utili idioti al servizio inconsapevole della causa di chi considerano nemico, cioè del mafioso, che comunque è considerato meno nemico dell’antimafioso vicino di casa ritenuto eretico.
Dicono, vogliono, decidono
Qualcosa del genere si sta vivendo in questi giorni a proposito della pandemia e degli eventuali effetti negativi causati dai vaccini: il criterio di valutazione sia del numero che degli effetti diventa atteggiamento o scelta che oscura anche la più elementare valutazione dei danni rispetto ai benefici. I dati vengono falsati assumendo, secondo i casi, categorie di giudizio e parametri diversi, per non parlare della persistente paura del contagio, tale da non considerare liberatori gli effetti della vaccinazione. Il virus assume la parte del tutto, il vaccino rimane una parte manipolabile, secondo le circostanze o gli interessi dei singoli partiti, delle singole regioni, dei singoli stati, di coloro che pescano piccole verità a senso unico e loe fanno diventare spiegazioni universali.
Ancora più scorretto e demagogico è l’uso di verbi senza soggetto di aggettivi e accuse senza nome: “Vogliono distruggere l’Italia… stanno uccidendo l’ambiente…. Assassini, stanno facendo crollare le montagne… hanno riempito la terra di veleni, non si preoccupano della sicurezza, proteggono i delinquenti, gli uomini di potere sono tutti al servizio di poteri più forti, “qualcuno” cerca di vendere il paese ai cinesi o ai russi o agli americani, “qualcuno va dicendo in giro, si dice, voci di corridoio…”. Chi? Fuori i nomi. Ma i nomi non spuntano, basta sparare nel mucchio per suscitare rancori ed emettere condanne. Il basso livello culturale, la chiusura mentale di coloro ai quali arrivano queste notizie fa il resto, e da qui nascono i populismi, i settarismi, le condanne anticipate, i razzismi, le intolleranze, i libri bruciati, l’utilizzo di ogni occasione articolata sulla teoria della transitività: se X ha un amico mafioso, delinquente, ateo, comunista, omosessuale, drogato, vuol dire che anche lui è mafioso anche lui, è coinvolto con questo tipo di soggetti. Per i dissidenti politici si faceva e si continua a far così, con schedature di contatti, frequenze, intercettazioni, analisi di scritti o post.
Diversità e omogeneità
Per non parlare del ripetuto ricorso al “sempre” e al “mai”…, del tipo “tu fai sempre così”, anche se succede qualche volta, o “tu non hai mai…”, che so, non una parola di tenerezza, ti scordi sempre dei tuoi doveri, dell’anniversario, ecc”. Con una parola si può bruciare una carriera, una vita d’amore, una condotta coerente, scheggiata da un incidente di percorso. La parte per il tutto. Un amore nascosto basta a macchiare l’immagine di una persona, a far venir meno il rapporto di fiducia, a inquadrarla nel mondo delle perversioni e dell’infedeltà, una sigaretta fumata è sufficiente per definire il soggetto un fumatore, una mela rubata basta per classificare l’affamato come ladro, un incidente di cui non necessariamente si è responsabili finisce col pesare come un macigno sulla reputazione e sulla professionalità. Come mi ebbe a dire una volta un noto giornalista, vittima anche lui di una campagna denigratoria gestita, nel suo caso, in nome della legge, “quando ti buttano un secchio di merda, la puzza ti rimane addosso per sempre”.
Ne consegue che la scelta della diversità diventa l’anticamera del sospetto, proprio perché mette in discussione l’omogeneità e il conformismo, che è lo strumento privilegiato di chi detiene il potere di governare le masse. E tuttavia tante volte quella parte negata o guardata con sospetto è ciò che dà una nota alternativa di originalità, di anticonformismo, di nuove identità e possibilità, è un modo per differenziarsi dall’omogeneità del tutto, per caratterizzare se stessi e rivendicare la voglia, l’autonomia, spesso il coraggio di essere non omologati. Ma bisogna saper riflettere, tornare, se capita, anche sulle proprie decisioni e valutazioni per riconsiderarle, cosa che in questo mondo, in cui tutti sanno tutto, non è facile.