Regionali in Sicilia: divide et impera (Lorenzo Baldo)
“E’ una schifezza!”, non ci gira troppo attorno, Letizia Battaglia, commentando i risultati definitivi delle elezioni regionali in Sicilia. L’analisi della grande fotografa palermitana è tranciante, il motivo del successo del Caimano è alquanto scontato. “Berlusconi porta con sé il fascino dei soldi – sottolinea Letizia –. A chi lo ha scelto non gliene frega nulla delle nuove indagini sulle stragi che lo vedono coinvolto assieme a Dell’Utri. Tutti sanno che è indagato e che possibilmente ha contribuito a creare morte e distruzione, ma lo hanno votato lo stesso. Così come in passato c’era chi votava Salvo Lima, Andreotti o Dell’Utri. Sono troppo disperata… non hanno creduto nelle persone perbene e hanno portato al potere gli impresentabili…”. Questa donna indomita si ferma un attimo per prendere fiato: “Voglio ancora lottare – afferma con forza – c’è ancora tanto da costruire”. Letizia pensa alla bellezza che ancora bisogna tirare fuori da una terra meravigliosa e disgraziata come la Sicilia. Non nasconde però quella disillusione che l’accomuna a tanta gente che si è risvegliata con le smorfie di personaggi del calibro di Gianfranco Miccichè, ma cerca di tenerla a bada. Per lo meno fino a quando le sue forze glielo consentiranno.
Dall’altro capo dell’isola è l’amarezza di un’altra donna siciliana ad emergere. “Me lo aspettavo, ma non a questi livelli…”, Angelina Manca parla con un soffio di voce da Barcellona Pozzo di Gotto (Me). La madre del giovane urologo morto in circostanze a dir poco misteriose, porta con sé le cicatrici di una guerra dove il confine tra mafia e Stato non si vede quasi più. “Mi hanno riferito che Rosario Cattafi ha fatto campagna elettorale ‘porta a porta’ nei comuni vicino a Barcellona…”, racconta questa madre coraggio che non ha più nulla da perdere. “Sono convinta che anche in queste elezioni la mafia si sia mobilitata attraverso promesse di favori in cambio di voti”, ribadisce senza alcuna esitazione. “Qui vince il bisogno di raccomandazioni, non vanno avanti i meritevoli; so bene che è un problema che riguarda l’Italia intera, ma in Sicilia è ancora peggio”. “Matteo Salvini ne diceva di tutti i colori contro la Sicilia e contro il sud in generale, eppure anche lui ha raccolto voti; per non parlare del figlio di Francantonio Genovese che a poco più di vent’anni è stato votato da oltre 17.000 persone…”. La considerazione finale di Angelina Manca racchiude una amara presa di coscienza: “Io penso che se dovessero candidare nuovamente Marcello Dell’Utri lo voterebbero ancora perché la Sicilia è collusa, è corrotta nell’animo”. Sulla sua pagina facebook la madre di Attilio Manca riporta un post di una sua amica, si parla di Gaio Verre, vissuto nel 70 A.C., divenuto governatore della Sicilia, una sorta di capostipite dei corrotti, prototipo del politico ladro. Il post cita le ricchezze trafugate da Verre, e soprattutto ricorda che tutte le città siciliane (tranne Messina e Siracusa) si costituirono parti civili nel processo dell’epoca chiamando il giovane avvocato Marco Tullio Cicerone in loro difesa. Poche righe che terminano con una domanda secca: “Ed io mi chiedo, cosa è cambiato in duemila anni?”. Un interrogativo che brucia nella rassegnazione di chi non vede per questa terra una luce in fondo al tunnel, di chi è scappato o ha intenzione di farlo, di chi si ostina a rimanere per salvare il salvabile, o di chi non è andato a votare per totale disillusione, indifferenza, o per protesta. Lo scenario che si apre oggi in Sicilia porta con sé le ombre del passato. La rabbia e il dolore dei familiari delle vittime di mafia, in questa terra senza memoria, si scontrano con le immagini oscene delle strette di mano dei vincitori sull’altare di nuove trattative. Ma a dare il potere a certi personaggi e ai loro sodali è sempre quel popolo che duemila anni fa ha scelto Barabba. Un popolo legato a doppio filo al motto latino “divide et impera”. Che non ha mai imparato a lasciarsi alle spalle questa condanna. Ma che ha ancora la possibilità di poterlo fare.
Dall’altro capo dell’isola è l’amarezza di un’altra donna siciliana ad emergere. “Me lo aspettavo, ma non a questi livelli…”, Angelina Manca parla con un soffio di voce da Barcellona Pozzo di Gotto (Me). La madre del giovane urologo morto in circostanze a dir poco misteriose, porta con sé le cicatrici di una guerra dove il confine tra mafia e Stato non si vede quasi più. “Mi hanno riferito che Rosario Cattafi ha fatto campagna elettorale ‘porta a porta’ nei comuni vicino a Barcellona…”, racconta questa madre coraggio che non ha più nulla da perdere. “Sono convinta che anche in queste elezioni la mafia si sia mobilitata attraverso promesse di favori in cambio di voti”, ribadisce senza alcuna esitazione. “Qui vince il bisogno di raccomandazioni, non vanno avanti i meritevoli; so bene che è un problema che riguarda l’Italia intera, ma in Sicilia è ancora peggio”. “Matteo Salvini ne diceva di tutti i colori contro la Sicilia e contro il sud in generale, eppure anche lui ha raccolto voti; per non parlare del figlio di Francantonio Genovese che a poco più di vent’anni è stato votato da oltre 17.000 persone…”. La considerazione finale di Angelina Manca racchiude una amara presa di coscienza: “Io penso che se dovessero candidare nuovamente Marcello Dell’Utri lo voterebbero ancora perché la Sicilia è collusa, è corrotta nell’animo”. Sulla sua pagina facebook la madre di Attilio Manca riporta un post di una sua amica, si parla di Gaio Verre, vissuto nel 70 A.C., divenuto governatore della Sicilia, una sorta di capostipite dei corrotti, prototipo del politico ladro. Il post cita le ricchezze trafugate da Verre, e soprattutto ricorda che tutte le città siciliane (tranne Messina e Siracusa) si costituirono parti civili nel processo dell’epoca chiamando il giovane avvocato Marco Tullio Cicerone in loro difesa. Poche righe che terminano con una domanda secca: “Ed io mi chiedo, cosa è cambiato in duemila anni?”. Un interrogativo che brucia nella rassegnazione di chi non vede per questa terra una luce in fondo al tunnel, di chi è scappato o ha intenzione di farlo, di chi si ostina a rimanere per salvare il salvabile, o di chi non è andato a votare per totale disillusione, indifferenza, o per protesta. Lo scenario che si apre oggi in Sicilia porta con sé le ombre del passato. La rabbia e il dolore dei familiari delle vittime di mafia, in questa terra senza memoria, si scontrano con le immagini oscene delle strette di mano dei vincitori sull’altare di nuove trattative. Ma a dare il potere a certi personaggi e ai loro sodali è sempre quel popolo che duemila anni fa ha scelto Barabba. Un popolo legato a doppio filo al motto latino “divide et impera”. Che non ha mai imparato a lasciarsi alle spalle questa condanna. Ma che ha ancora la possibilità di poterlo fare.
Pubblicato: 07 Novembre 2017 su Antimafia Duemila Lorenzo Baldo