Ricordo di Agostino Vitale
Il 26 febbraio 2005 ci lasciava, troppo presto, Agostino Vitale una figura “storica”, ovvero una di quelle persone che hanno dato un loro contributo per dare un volto migliore a Cinisi. Negli anni ’60 diede vita, assieme a Peppino Impastato, a Saverio Sgroi e ad altri compagni all’”IDEA”, un giornalino ciclostilato che, per la prima volta a Cinisi cominciava ad occuparsi criticamente dei problemi del paese e di tematiche giovanili. Dopo una serie di alterne vicende il giornale venne chiuso perché sgradito ai personaggi politici di allora. Troviamo la firma di Agostino anche in un documentato articolo sul neofascismo a Cinisi, pubblicato nel 1974 su “Confronto”, un giornale locale del PCI e riportato nel libro di Salvo Vitale “Peppino impastato, una vita contro la mafia”. Ha continuato a dare il suo contributo politico al Circolo Musica e Cultura nel ‘77 e a Radio Aut nel ‘78. Dopo la morte di Peppino ha scelto di dedicarsi al suo lavoro di falegname, rimanendo tuttavia attento all’evoluzione politica del paese e, in particolare, agli sviluppi del fenomeno mafioso. E’ stato candidato nelle liste dei Verdi alle elezioni provinciali del 1984. Nel 1997 è stato uno dei principali promotori della lista “Progetto Insieme”, che ha portato alla vittoria del centrosinistra con la sindacatura di Mangiapane.
In suo ricordo ripropongo un suo articolo scritto nel 1980 per il giornale “9 Maggio” e pubblicato nel citato libro di Salvo Vitale.
SIAMO TUTTI MAFIOSI?
di Agostino Vitale
La morte di Peppino Impastato ha evidenziato grosse contraddizioni dentro il manipolo gravitante nell’estrema sinistra e in generale nei partiti della sinistra storica, sviluppandone in modo preciso connotati e tendenze.. Una frangia consistentissima di compagne femministe e ampi settori del precariato ideologico ( creativi, fricchettoni, cani sciolti) si sono squagliati nei rivoli del personale e del privato. Comunisti e socialisti hanno dato un esempio palpitante di immobilismo politico e di grossolana malafede. L’uomo della strada stenta a capire perché un compagno possa morire di mafia consapevolmente. Perché? Un ex militante del PSIUP, ex simpatizzante dell’area extraparlamentare, approdato alcuni anni fa nel PSI, allora reduce dall’esperienza del centro sinistra, ha cercato di dare una risposta a questo interrogativo, inquadrando il problema così: può darsi che siamo tutti mafiosi, arroganti, prepotenti. Una considerazione che non manca di verità: soffriamo un po’ tutti del retaggio di una mentalità basata sull’omertà, sulla paura, sul fascino del più forte. Ma questa motivazione suona rassegnata e imbelle sulla bocca di uno che è passato attraverso precisi momenti di analisi marxista, dalla quale doveva scaturire l’uomo nuovo, modellato su esempi di socialismo e giustizia sociale. Come passa veloce il tempo sulle cose, ma anche sulle idee!
Dov’è finito quel progetto sociale che doveva far sollevare gli umili e i diseredati, farli emergere dal buio della paura e dello sfruttamento? E dove siamo gli umili? Chi siamo? Dov’è il nostro nemico e chi è il nostro nemico? Ci hanno confuso, ci hanno fatto confondere. Non è vero che ormai ognuno fa ciò che vuole, che tutti hanno un lavoro: Non è vero che guadagniamo tutti abbastanza per vivere. Il potere non ha cambiato faccia: è sempre lì, più furbo, più agguerrito: si chiama capitalismo, si chiama disoccupazione, dalle nostre parti si chiama soprattutto mafia. E infatti si fa presto a imparare che la realtà sociale è diversa dagli ideali politici della prima giovinezza: è molto più facile adagiarsi su quello che esiste, circondarsi del consenso degli spaventapasseri di regime, dei baciapile, dei ruffiani, dei mafiosi: ci si sente integrati, calati nel nostro ruolo ,realizzati e apprezzati. E dunque siamo davvero tutti mafiosi? Se all’uomo della strada è consentito muoversi nelle sabbie mobili dell’ignoranza e della soggezione, non vi è molta giustificazione per molti “compagni”. Se essi hanno perso il gusto della lotta, per inerzia o per malafede, non altrettanto abbiamo fatto noi di Radio Aut: non crediamo che tutti gli abitanti di Cinisi siano mafiosi: noi pensiamo che esistono migliaia di persone che, come noi, vogliono cambiare le cose. Noi da tempo abbiamo individuato nella mafia, nei suoi legami politici, nella sua rete d’interessi, nel suo retroterra culturale, l’ostacolo più grosso allo sviluppo e all’emancipazione economica, nonché alla piena occupazione. Questi, a nostro avviso, sono gli unici terreni di lotta rimasti aperti alle sinistre. Deflettere da questi compiti significa abdicare al proprio ruolo e alla propria identità. E in tal caso farebbero bene i compagni del PSI e del PCI di Cinisi a raccogliere le loro tessere di partito, a riunirle in piazza e farne un bel falò.
Pubblicato su “Nove Maggio” Marzo 1980
Nella foto, presumibilmente del 1968 Piero suona, Peppino fuma, Agostino canta