Silenzio in America mentre ci si prepara alla guerra (John Pilger)

Dettagli

NEWS 259342di John Pilger
Trump o Clinton sono due facce della stessa medaglia. Trump è un arruffapopoli di estrema destra; tuttavia il pericolo Clinton può essere ancora più letale per il mondo.

Al mio ritorno negli Stati Uniti in periodo elettorale, mi colpisce il silenzio. Dal 1968 ho coperto quattro campagne presidenziali; ero con Robert Kennedy quando gli spararono e vidi il suo assassino prepararsi ad ucciderlo. Fu una sorta di battesimo all’americana, condito dalla bramosia violenta della polizia di Chicago al convegno truccato del Partito Democratico. La grande controrivoluzione era iniziata.
Quell’anno, il primo ad essere assassinato fu Martin Luther King, che aveva osato equiparare la sofferenza degli afro-americani e quella dei Vietnamiti. Quando Janis Joplin cantava, “Libertà è solo un altro modo per dire di non aver niente da perdere”, parlava, forse inconsciamente, per i milioni di vittime degli americani in terre lontane.
“Abbiamo perso 58.000 giovani soldati in Vietnam, morti difendendo la vostra libertà. Non lo dimenticate.” Così diceva una guida del Servizio Nazionale Parchi mentre filmavo la scorsa settimana al Lincoln Memorial di Washington. Stava parlando ad una scolaresca di adolescenti vestiti con magliette di brillante arancione. Ha trasformato, meccanicamente, la verità sul Vietnam in una menzogna incontrastata.
I milioni di Vietnamiti che sono morti o sono stati mutilati, avvelenati ed espropriati dall’invasione americana non hanno un posto storico nelle menti dei giovani, per non parlare dei circa 60.000 veterani che si sono tolti la vita. Ad un mio amico, un marine tornato paraplegico dal Vietnam, è stato spesso chiesto, “da che parte hai combattuto?”.

Qualche anno fa partecipai ad una mostra popolare intitolata “Il Prezzo della Libertà” al venerando Smithsonian Institute di Washington. Alle code di gente comune, in maggior parte bambini che si trascinavano attraverso quella specie di grotta di Babbo Natale del revisionismo, furono propinate una serie di frottole: il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki aveva salvato “un milione di vite”; l’Iraq era “stato liberato [con] attacchi aerei di precisione inedita”. Il tema era immancabilmente eroico: solo gli americani pagano il prezzo della libertà. La campagna elettorale del 2016 è rilevante non solo per l’ascesa di Donald Trump e Bernie Sanders, ma anche per la capacità di ripresa di un lungo silenzio riguardo ad un’assassina autoproclamata divinità. Un terzo dei membri delle Nazioni Unite ha provato la pressione di Washington nel rovesciare governi, sovvertire democrazie, imporre blocchi e boicottaggi. La maggior parte dei presidenti responsabili sono stati liberali: Truman, Kennedy, Johnson, Carter, Clinton, Obama.

Il defunto Harold Pinter scrisse che lo strabiliante record di malvagità è così falsificato nella mente delle persone, che per loro [la malvagità] “non è mai successa…niente è mai successo. Anche mentre stava accadendo non stava accadendo. Non importava. Non era di nessun interesse. Non contava…”. Con sarcasmo, Pinter fingeva ammirazione per quello che definì “una clinica manipolazione del potere in tutto il mondo, mascherata da forza per il bene universale. È un brillante, persino arguto, atto di ipnosi di grande successo.”
Prendiamo Obama. Mentre si prepara a lasciare l’ufficio, il servilismo è ricominciato. Lui è “cool”. Uno dei presidenti più violenti, Obama ha dato il suo pieno appoggio all’apparato guerrafondaio del Pentagono del suo disonorato predecessore. Ha perseguito più informatori – svelatori di verità – di ogni altro presidente. Ha pronunciato Bradley (Chelsea) Manning colpevole prima che fosse processata. Attualmente, Obama svolge a livello mondiale una campagna senza precedenti di terrorismo e omicidio da drone.

Nel 2009, Obama promise di aiutare “a liberare il mondo dalle armi nucleari” ed è stato insignito del premio Nobel per la pace. Nessun presidente americano ha costruito più testate nucleari di Obama. Sta “modernizzando” l’arsenale da giorno del giudizio degli Stati Uniti, tra cui una nuova “mini” arma nucleare, le cui dimensioni e la cui tecnologia “intelligente”, dice un importante generale, garantisce che il suo uso “non è più impensabile”.
James Bradley, autore del best-seller “Flags of Our Fathers” e figlio di uno dei marines statunitensi che ha innalzato la bandiera su Iwo Jima, ha detto, “[Una] grande fola sta svolgendosi sotto i nostri occhi, quella che vede in Obama una specie di ragazzo pacifico che sta cercando di sbarazzarsi delle armi nucleari. Invece è il più grande guerriero nucleare che ci sia. Ci ha impegnato in una corsa rovinosa alla spesa di un trilione di dollari in più per le armi nucleari. In qualche modo, la gente vive in questa fantasia perché lui dà notizie vaghe nelle sue conferenze stampa, nei suoi discorsi e nelle sue simpatiche sedute fotografiche, e [fa pensare che] in qualche modo tutto ciò sia collegato alla politica reale. Non lo è”.

Sotto Obama, è in corso una seconda guerra fredda. Il Presidente Russo è rappresentato come un cattivo da pantomima; i Cinesi non sono ancora tornati alla loro sinistra caricatura con le trecce – come quando tutti i cinesi furono banditi dagli Stati Uniti – ma i guerrieri mediatici ci stanno lavorando su.
Né Hillary Clinton né Bernie Sanders ne hanno mai parlato. Non vi è alcun rischio né pericolo per gli Stati Uniti e per tutti noi; per loro, il più grande assembramento militare ai confini della Russia dalla seconda guerra mondiale non è avvenuto. L’11 maggio, la Romania ha mostrato “una diretta” da una base Nato sulla “difesa missilistica”, con missili americani puntati al cuore della Russia, la seconda potenza nucleare del mondo.

In Asia, il Pentagono sta inviando navi, aerei e forze speciali nelle Filippine per minacciare la Cina. Gli Stati Uniti già circondano la Cina con centinaia di basi militari che curvano ad arco dall’Australia all’Asia attraverso l’Afghanistan. Obama lo definisce “un perno”.
Come diretta conseguenza, si riferisce che la Cina abbia cambiato la sua posizione politica sul nucleare da sola difesa a quello di massima allerta e messo in mare sottomarini nucleari. L’inasprimento sta accelerando.
Fu Hillary Clinton che, come Segretario di Stato nel 2010, elevò le rivendicazioni territoriali concorrenti da roccia e barriera corallina nel Mar Cinese meridionale ad un problema internazionale; poi vennero l’isteria della CNN e della BBC: la Cina stava costruendo piste di atterraggio sulle isole contese. In un enorme gioco di guerra nel 2015 chiamato “Operation Talisman Sabre”, Stati Uniti e Australia praticarono il “soffocamento” dello Stretto di Malacca attraverso cui passa la maggior parte del petrolio e del commercio su nave della Cina. Ma questo non fece notizia.

La Clinton ha dichiarato che l’America ha un “interesse nazionale” in queste acque asiatiche. In virtù di vecchie inimicizie contro la Cina, le Filippine ed il Vietnam sono stati corrotti e incoraggiati a perseguire le proprie rivendicazioni. In America, le persone vengono indotte a vedere ogni posizione difensiva cinese come offensiva, così ponendo le premesse per un rapido inasprimento della situazione. Una simile strategia di provocazione e di propaganda è applicata alla Russia.
La “candidata delle donne” ha alle spalle una scia di golpe sanguinosi: in Honduras, in Libia (con l’aggravante dell’assassinio del presidente libico) ed in Ucraina. Quest’ultimo paese è ora un parco a tema della CIA, brulicante di nazisti e linea del fronte di una fattibile guerra con la Russia. È stato attraverso l’Ucraina – letteralmente, terra di confine – che i nazisti di Hitler invasero l’Unione Sovietica, che perse 27 milioni di persone. Questa catastrofe immane è tuttora molto sentita in Russia. La campagna presidenziale della Clinton ha ricevuto denaro da nove su dieci tra le più grandi aziende manufattrici di armi al mondo. Nessun altro candidato si avvicina [a tale record, ndt].

Sanders, speranza di molti giovani americani, non differisce molto dalla Clinton nella sua visione padronale del mondo oltre gli Stati Uniti. Ha sostenuto i bombardamenti illegali di Bill Clinton in Serbia. Avalla il terrorismo da drone di Obama, la provocazione della Russia ed il ritorno delle forze speciali (gli squadroni della morte) in Iraq. Non ha nulla da dire sulle costanti minacce alla Cina e sul rischio di accelerazione di una guerra nucleare. È d’accordo che Edward Snowden debba affrontare un processo e chiama Hugo Chavez – socialdemocratico come lui – “un dittatore comunista morto”. Ha promesso di appoggiare la Clinton se sarà nominata.

L’elezione di Trump o di Clinton è la vecchia illusione di una scelta che non è tale: sono due facce della stessa medaglia. Usando le minoranze come capri espiatori e promettendo di “rendere l’America nuovamente grande”, Trump è un arruffapopoli di estrema destra; tuttavia il pericolo Clinton può essere ancora più letale per il mondo.
“Soltanto Donald Trump ha detto qualcosa di significativo e critico della politica estera statunitense”, ha scritto Stephen Cohen, professore emerito di Storia Russa alle Università di Princeton e New York, uno dei pochi esperti sulla Russia negli Stati Uniti a parlare del rischio di una guerra.

In una trasmissione radiofonica, Cohen rammentò le domande critiche che solo Trump aveva sollevato. Tra queste: qual è il motivo per cui gli Stati Uniti sono “ovunque sul globo”? Qual è la vera missione della NATO? Perché gli Stati Uniti sono sempre pronti a perseguire cambi di regime in Iraq, Siria, Libia, Ucraina? Perché Washington tratta la Russia e Vladimir Putin come nemici?
L’isterismo dei media liberali su Trump serve l’illusione di un “dibattito libero e aperto” e di una “democrazia al lavoro”. Le sue opinioni sugli immigrati e musulmani sono sì grottesche, ma il più grande deportatore di persone vulnerabili dall’America non è Trump,  è Obama, per cui il tradimento della gente di colore è il suo retaggio: come lo è l’ammassamento in carcere di una popolazione perlopiù nera, ormai più numerosa di quella dei “gulag” di Stalin.

Questa campagna presidenziale potrebbe non riguardare il populismo, bensì il liberalismo americano, un’ideologia che si propone come moderna e perciò superiore, e quindi l’unica vera via. Quelli sulla sua ala destra ricordano gli imperialisti cristiani del 19° secolo, con il dovere di convertire o cooptare o conquistare quanto elargito loro da Dio.
In Gran Bretagna, questo è blairismo. Il criminale di guerra cristiano Tony Blair riuscì a tener segreta la sua preparazione all’invasione dell’Iraq in gran parte perché la classe politica liberale e i media furono ingannati dal suo “cool Britannia”. Nel Guardian, l’applauso era assordante; lo definivano “mistico”. Una follia conosciuta come identità politica, importata dagli Stati Uniti, si trovò bene tra le sue mani.

La storia fu dichiarata finita, la classe abolita e il “genere” promosso a femminismo; un gran numero di donne divennero parlamentari nel New Labour. Come da manuale, il primo giorno in Parlamento votarono il taglio dei benefici ai genitori single, perlopiù donne. La maggioranza di loro votò per l’invasione che produsse 700.000 vedove irachene.
Negli USA, l’equivalente sono i guerrafondai politicamente corretti che dominano lo scenario politico sul New York Times, il Washington Post e sulle reti televisive. Ho guardato un furioso dibattito sulla CNN sulla doppiezza di Trump. Era chiaro, dissero, che di un uomo del genere alla Casa Bianca non ci si poteva fidare. Nessun argomento fu sollevato. Niente sull’80 per cento degli americani il cui reddito è crollato ai livelli del 1970. Nulla sulla deriva verso la guerra. Quello che si evinceva sembrava essere di “turarsi il naso” e votare per Clinton, o chiunque ma non Trump. Solo così si ferma il mostro e si salvaguarda un sistema che smania per un’altra guerra.

Tradotto da ComeDonChisciotte.org

Tratto da: megachip.globalist.it

Seguimi su Facebook