Testimonianze su Peppino Impastato: Vito Lo Duca

 

Vito Lo Duca è stato  un bell’esempio di compagno, con una robusta  coscienza proletaria, acquistata dalla costante vicinanza con Peppino. E’ morto per  una grave malattia il 20 maggio 1997.  L’esperienza del lavoro politico con gli edili di Cinisi occupò  Peppino nel 1973 e venne condotta assieme alla FILLEA-CGIL di Cinisi. In quell’occasione Peppino ricevette alcune lettere con minacce di morte. Qualche anno dopo la morte di Peppino Vito si trasferì a Milano, con il preciso rifiuto di sottoporsi allo sfruttamento mafioso del proprio lavoro.

Gli edili a Cinisi

La presenza di uno stra4618 Mangiata luglio 78to di edili precari a Cinisi e in zona è rappresentata da circa 400 giovani dall’ età da 15 a 22 anni circa e da un centinaio di imprenditori edili. La nostra condizione di lavoro è molto brutta, nel senso che non abbiamo nessun tipo di intesa e di collegamento organizzativo. Ci sono tanti piccoli cantieri nella zona con quattro o cinque edili per imprenditore. Sul lavoro non ci sono strutture adeguate per la sicurezza, infatti spesso qualcuno ci lascia la pelle: si sono verificati casi di morte con la corrente elettrica, edili che cadono dai ponti e dalle impalcature. Il ritmo di lavoro è molto veloce. La situazione si aggrava con un supersfruttamento bestiale. Una giornata di lavoro dura in estate dalle 10 alle 12 ore, in inverno un po’ meno: qualche imprenditore usa persino la lampada per continuare nel ritmo di lavoro che aveva in estate. La paga è veramente misera: non rispecchia neanche la metà della paga prevista dal contratto nazionale di lavoro. Non usufruiamo della benché minima assistenza sanitaria, non siamo messi in regola, non abbiamo libretto di lavoro, libretto di cassa malattia né assicurazione sul lavoro. Per quanto riguarda le assicurazioni ogni imprenditore ha una o due polizze di assicurazione senza nominativo: per ogni operaio che si infortuna o che muore si scrive il nome dell’infortunato sulla polizza con una data di una settimana prima e,in questo modo, ci si mette in regola con l’ispettorato del lavoro. Il modo con cui gli imprenditori riescono ad avere queste polizze è collegato al discorso di rapporti tra loro e i prestanome della mafia .. Il livello di coscienza degli edili precari non è per niente adeguato a questo tipo di sfruttamento imprenditoriale: le cause si possono ricercare in diverse istituzioni, soprattutto nella cultura popolare zonale e paesana., una cultura familiare piccolo borghese inculcata dagli strumenti di cui la borghesia dispone, attraverso le sue leggi e le istituzioni e facendoli passare come “leggi naturali” che la popolazione, col ricatto dei bisogni, con la paura del terrorismo è costretta ad assimilare. Alla fine del ’73 c’è stato un tentativo di organizzazione per l’affermazione dei nostri diritti e delle nostre esigenze. In principio eravamo pochi ma, parlando tra noi della nostra condizione disagiata, cresceva lentamente la voglia di dire basta allo sfruttamento. In meno di un mese, dopo diverse riunioni, eravamo circa 90-100 giovani edili. Con un volantino reclamammo i nostri diritti e la nostra affermazione alla vita, dandoci una scadenza: a distanza di una settimana avremmo dovuto vederci tutti in piazza, davanti al municipio  per manifestare la nostra condizione di sfruttamento e di disagio. A questo punto scattò la repressione nei confronti degli edili precari e della sezione in cui ci andavamo a riunire. Ai compagni della sezione, che ci aiutavano ad organizzarci, arrivarono lettere di minacce e di morte, intimando ci di smetterla nella nostra azione che voleva far diventare comunista la gente: queste lettere erano firmate da “un gruppo di muratori”. Contro di noi edili si mobilitarono gli imprenditori e la mafia andando casa per casa a dire ai nostri familiari: “state attenti che vostro figlio prende una brutta strada, gli può finire male”, e frasi di questo genere. Da quel giorno in poi i nostri rapporti si diradarono e non riuscimmo neanche a fare la dimostrazione in piazza, addirittura cercavamo di evitarci per non salutarci. Il terrorismo creato dalla mafia, dai fascisti e dagli imprenditori riuscì in pieno. In realtà l’ideologia dei giovani edili precari per buona parte è estranea alla loro condizione di sfruttamento. Si va a lavorare per il bisogno in famiglia, per avere soldi in tasca, per comprare il motore, si ricerca il soddisfacimento di bisogni indispensabili, si vive in continuo stato d’ansia.
Dopo il servizio militare, il matrimonio e il bisogno economico familiare non permettono più la continuazione di questo lavorio precario … La mafia ha il monopolio delle forniture, dal calcestruzzo agli infissi, dalla ceramica al marmo ecc. La mafia, attraverso il controllo della commissione edilizia impone il piano di fabbricazione nei luoghi che fanno comodo con la corruzione, le tangenti, il ricatto sui partiti. In questo modo può prevedere, a distanza di diversi anni, lo sviluppo del piano regolatore, comprare le terre a pochi soldi e speculare nella loro rivendita. Gli imprenditori non hanno altra scelta: se vogliono lavorare devono stare alle leggi dei clan mafiosi e prendere da loro le forniture. Tutto questo passa attraverso lo sfruttamento degli edili precari … La sinistra rivoluzionaria a Cinisi, anche su tutte queste cose si deve rapportare e fare i conti. L’unica possibilità sarebbe di parlare delle nostre contraddizioni, dei nostri bisogni, delle nostre paure, di socializzarle e di farle diventare prassi concreta, in modo da unifìcarle con le altre realtà sociali, ma succede raramente. Prendere posizione su queste cose e quindi prendere coscienza è difficile: alla base ci sta la paura delle conseguenze, cioè di mettere in crisi il vecchio modo di fare piccolo borghese.

Vito lo Duca

Il documento è stato pubblicato nel 1978 in “Dieci anni di lotta contro la mafia”,  a cura del Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato pag. 11.

Nella foto di Salvo Vitale Vito Lo Duca con Umberto Santino – luglio 1978

 

 

 

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