Un amore di Mauro Rostagno (Rino Giacalone)
Proviamo a raccontare di Mauro Rostagno da un altro punto di vista.Arriveremo alla mafia e alla violenza, contro cui si scagliava Rostagno alla fine, dopo essere stato al fianco degli ultimi dentro la
Cattedrale di Palermo molti anni prima…Stavolta raccontiamo di Rostagno cominciando da una sua storia d’amore. No, attenzione, non gli “amori” segreti, tanto segreti proprio perché non esistevano, o se c’erano non erano cosa da provocare morte tanto spietata, non sono nemmeno gli “amori” che secondo ragionamenti perversi, nelle menti di investigatori poco attenti, o disattentia comando, investigatori comequei carabinieri che hanno dimenticato per decenni nei loro archivi documenti
importanti di denunzie fatte da Rostagno sulle malefatte che si compivano ogni giorno in provincia di Trapani…
Raccontiamo di un amore vero, quello che Mauro Rostagno aveva per questa terra, per la Sicilia, per la città di Trapani.“Io sono più trapanese di voi perché io ho scelto di venire ad abitare qui”.
Scriviamo di Rostagno, cominciando da questa sua affermazione, che come altre lastricano il percorso dei ricordi incancellabili, svelando il suo innamoramento per i siciliani grazie al quale ha
vissuto con intensità gli anni del giornalismo a Rtc, coincisi purtroppo con gli ultimi anni della sua vita, in tv, a Rtc, si era portato appresso tutto il bagaglio dellesue esperienze.Dal Sessantotto in poi
Perché il lavoro fatto da Rostagno tra il 1986 e il 1988 nella televisione privata trapanese non è altro che la summa di esperienze che lo avevano portato a vivere gli anni della contestazione del ’68 a
Trento, la sua laurea in Sociologia, la vita dentro Lotta Continua, l’esperienza del Macondo di Milano, ed ancora con gli arancioni in India prima e a Trapani dopo, e infine il bianco della comunità di recupero per tossicodipendenti Saman.
Per raccontare delle cose più straordinarie, per come le ha vissute da lui, che lo hanno visto protagonista.Lungo queste strade tanti i personaggi da lui incontrati, presi e portati appresso per un periodo, lasciati e poi ripresi, o abbandonati del tutto. Ma forse questo possono riferirlo con maggiore dovizia di particolari e con profonda conoscenza solo i suoi familiari e chi lo ha davvero
conosciuto, in profondità, da vero amico.Alcuni ci rammentano – ecco l’amore per gli altri di Rostagno – che lui in effetti non ha mai abbandonato nessuno, e chi voleva poteva continuare a bussare alla sua porta. E chissà che quella maledetta sera del 26 settembre 1988 non gli sembrò
che qualcuno era venuto a bussare alla sua porta su quella stradina di Lenzi, forse per questo rallentò la marcia della sua Duna mentre i killer cominciavano a fare fuoco.
La mafia dei notabili
E allora proviamo a raccontare Rostagno e la sua storia d’amore con questa città. Con la Trapani che in quegli anni, gli anni 80, ma già da prima ovviamente, dinanzi ai morti ammazzati negava l’esistenza della mafia ed oggi, nel 2012, continua a mostrare incredulità se in galera
finiscono i cosiddetti “colletti bianchi”, gli imprenditori, i professionisti ed i politici.
A Trapani si sostiene che la mafia è stata sconfitta e quindi non esiste, come non esisteva negli anni ’80… e ancora prima ovviamente. E se la mafia è sconfitta, si sostiene, ma non a ragione, che è
ingiusto e inutile arrestare un notabile, perché un burocrate da queste parti è un notabile, e un politico è un uomo da ossequiare, soprattutto se poi questo politico viene dalle stanze della più nobile borghesia: quella che subiva in silenzio il ricatto dei campieri mafiosi ma si accordava
con loro trovandone convenienza precisa. Una tela che resiste ancora oggi e che fa parte del telaio delle indagini antimafia che riguardano, per esempio, l’ex sottosegretario all’Interno, oggi presidente della Commissione Ambiente del Senato, Tonino D’Alì. Nei terreni dei D’Alì, a Castelvetrano,contrada Zangara, a fare da campieri c’erano i Messina Denaro, così come erano altri mafiosi nel resto della provincia ad occuparsi di altri terreni e di altri latifondisti, come succedeva quando a comandare era Totò Minore, il vecchio austero capo mafia trapanese che dal dopoguerra
agli anni ’80 comandò la mafia trapanese, ubbidito e riverito; Minore fece anche il presidente del Trapani calcio, divideva il comando con un altro ossequiato mammasantissima, Nanai Crimi,
uno di quelli che si occupava di edilizia fin nel lontano Lazio con il famigerato e famoso Frank “tre dita” Coppola.
La storia d’amore di Rostagno per Trapani è simile a quelle storie di amore di ogni giorno dove spesso le parole vere sono quelle non dette e si nascondono dietro quelle che vengono pronunciate e
che possono pure sembrare banali. Provate a rileggere gli editoriali di Mauro Rostagno: ci sono quelli che, letti alla luce degli accertamenti e delle verità più scomode emerse anche ora, svelano le
intuizioni che il giornalista aveva avuto. Per esempio quando parlò di uno sconosciuto imprenditore pacecoto, Ciccio Pace, ne parlò indicando, con sorpresa, la sua improvvisa ascesa in quegli anni ’80,ne scoprì i legami con i cavalieri del lavoro di Catania, Rendo, Graci e Costanzo,venuti a Trapani a costruire aeroporto e case popolari, lo indicò in combutta con i Minore (unico errore che fa, lui come alcuni investigatori perché all’epoca:Minore era stato già ucciso dalla mafia
corleonese e al suo posto era arrivato già il “coccodrillo” Vincenzo Virga, quello che non lasciava spazi ad alcuno ed arraffava tutto quello che c’era da rendersi in termini di appalti, lavori, soldi), ne ricordò ancora il coinvolgimento, sempre di don Ciccio Pace, in uno scandalo di una cassa rurale.
Pace, che nel frattempo frequentava impunemente le stanze della politica, nel 2001 proprio grazie alle alleanze con la mafia catanese, e per la vicinanza a quella mazarese di Mariano Agate (anche lui bersaglio pubblico degli editoriali di Rostagno),
Fu scelto da Matteo Messina Denaro quale nuovo capo della mafia trapanese, messo a capo di una “cupola” fatta solo da imprenditori, sgominata quattro anni dopo dalla Squadra Mobile di Trapani
con l’operazione “mafia e appalti”.
Questo era il giornalismo fatto da Rostagno, c’era dentro l’amore per la terra nella quale aveva scelto di venire ad invecchiare, a vedere crescere le figlie, e coccolare i nipoti che sarebbero potuti
arrivare, e la denuncia, proprio per preservare quel suo amore, di chi sporcava di sangue il territorio, di chi ne speculava le bellezze e le opportunità.
Nelle storie d’amore c’è una inversione di tendenza, non sono le parole che volano e gli scritti che restano, ma l’esatto contrario gli scritti volano e le parole restano, e per Rostagno è stato così: oggi
spesso si ricordano le sue parole, le sue affermazioni, brevi ma efficaci, nelle parole lasciate da Mauro Rostagno c’è la sintesi di quello che è rimasto stampato sui fogli dei suoi editoriali.
E così come un amore che in questa maniera diventa più intenso, allo stesso modo maggiormente intenso divenne la sua maniera di fare giornalismo a Rtc.
Un continuo salire di tono, intensità, emozioni, rabbia, voglia di riscattare la terra dai suoi mali. Fino a quando non trovò i killer sulla sua strada quella sera del 26 settembre 1988.
Lui che aveva alzato sempre più il tiro denunciando la munnizza che abbondava per strada, il disagio dei meno fortunati, il pericolo della droga, gli intrecci dentro le stanze della massoneria segreta, le ruberie di Palazzo D’Alì, sede del Municipio di Trapani, le tangenti che venivano
distribuite nella vicina Marsala, la Paceco nascosta dentro le stanze dove si riunivano i mafiosi, le anomalie di un delitto irrisolto come quello del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, compiuto
nell’agosto del1980, il coinvolgimento in quel delitto di due capi mafia siciliani per eccellenza, Mariano Agate e Nitto Santapaola,“salvati” in un primo tempo dall’ignavia di un capitano dei carabinieri, o ancora la barbarie del delitto di un giovanissimo ragazzo di bottega, ammazzato senza perché una mattina di estate in una stradina di Paceco.
Ci hanno detto: “voleva far cambiare costume alla società”, vero verissimo, ma la società, questa società che lui tanto amava non è stata unisona nel cambiare costume, anzi chi ci ha detto di questo disegno di Mauro, incredibilmente davanti ai giudici che stanno processando i mafiosi assassini, non ha saputo dire chi, dove e quando borghesi ipocriti e venduti consigliavano agli editori di Rtc di fare tacere presto Rostagno. La mafia non era a cento passi da lui, come era stato per Peppino Impastato, ma a poco meno di cinque passi, tanti quanti erano quelli che dividevano il suo ufficio da quello dell’editore di Rtc all’interno della sede di Nubia. Proprietario della tv era Puccio Bulgarella, uno di quelli che quasi giornalmente sedeva al tavolo con Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina.
Cosa Nostra non poteva permettersi tutto questo. Non poteva sopportare un giornalista che la sfidava ogni giorno anche quando denunciava la spazzatura lasciata per strada perché sui rifiuti Cosa nostra aveva già messo le sue mani. Non fu un delitto di impeto, di gelosia, fatto da sprovveduti, ad uccidere fu quella mafia che entra in scena usando le auto rubate mesi prima e tenute nei garage della criminalità pronte per essere usate, è quella mafia che spara prendendo armi e munizioni dai suoi arsenali, che usa quei fucili sovraccaricati di pallettoni, che riesce a fare andare in corto circuito un intero impianto di illuminazione come accadde quella sera a Lenzi.
Il patriarca della mafia belicina Ciccio Messina Denaro, ha raccontato il pentito Sinacori, durante un summit espresse ogni peggiore rancore per “chiddu ca varva chi parla in televisione” e ne ordinò
l’uccisione. Un incarico arrivato a Trapani a Vincenzo Virga, passato al gruppo di fuoco comandato dal campione di tiro a volo Vito Mazzara. I due sono imputati oggi in corte di Assise a Trapani. Incastrati dai pentiti e da una super perizia balistica. Mazzara si procurava da sè cartucce e polvere da sparo, era lui a fare il confezionamento, cartucce similari a quelle rinvenute a Lenzi sono state trovate sulle scene dei delitti per i quali Mazzara è stato condannato all’ergastolo. La firma sul delitto di Cosa Nostra secondo la Polizia, nei giorni immediatamente vicini al delitto un maggiore dei carabinieri, oggi generale in pensione, Nazareno Montanti, sostenne invece che l’abitudine a sovraccaricare le cartucce era dei cacciatori. Ma Rostagno non è morto per un incidente di caccia. Né per colpa di balordi.
Nel 1988 l’allora capo della Squadra Mobile Rino Germanà imboccò decisamente la pista mafiosa nelle indagini, ma fu fermato. I carabinieri convinsero la magistratura a seguire altre piste, le gelosie, gli sprechi dentro Saman, un piccolo spaccio di droga in comunità. Dimenticarono
quei verbali in cui Rostagno era andato a raccontare di alcune sue scoperte sulle connessioni tra mafia e massoneria, la presenza nel trapanese, non rara, del capo della P2 Licio Gelli, adesso confermata dal pentito Siino che ha detto ai giudici che qui, a Trapani, Gelli era venuto a preparare un golpe. Per i carabinieri, per i carabinieri di allora, il delitto era roba di poco conto e non c’era quindi bisogno di andare a rileggere gli editoriali di Rostagno dove invece a chiare lettere c’erano scritti i mandanti e gli esecutori del suo omicidio, non era necessario calarsi nella realtà di una città dove si diceva che la mafia non esisteva e che Rostagno era un pazzo da isolare, e però Mauro di questa città si era innamorato. E ancora oggi a noi che restiamo continua a dirci di questo suo innamoramento. Basta sapere non solo leggere ma ascoltare cosa ci dice il vento che leggero soffia
sulla collina di Ragosia a Valderice, e che con il suono prodotto da una sola mano, sfiora la figura di Mauro Rostagno sul muretto di pietra che circonda il luogo dove riposa. Da innamorato.
I Sicilianigiovani – pag. 35 . Aprile 2012 IL QUADRO è DI Gaetano Porcasi
www.isiciliani.it