UNA QUESTIONE DI COLORE (Piero Riccobono)
Parecchi anni fa (insegnavo al liceo scientifico di Partinico), durante un ricevimento di genitori una gentile signora mi confidò di essere preoccupata perché suo figlio, da quando aveva scoperto con me la filosofia, aveva cominciato a mettere in dubbio la sua fede religiosa. Risposi alla signora che nessuna fede autentica può esistere se non fa i conti col dubbio, che la fede non è assenza del dubbio ma suo superamento e che quindi esige il dubbio come suo polo opposto con cui misurarsi. Quella mamma aveva scambiato per fede una superficiale e acritica adesione a un costume familiare. Ma la fede non si eredita, si conquista, e passa attraverso una crisi di crescita, un percorso di riflessione e di ricerca che può sfociare o no nella fede. Compito della scuola è proprio questo: fornire agli studenti non soluzioni, bensì le nozioni e gli strumenti critici per maturare consapevolmente le proprie scelte esistenziali, accompagnarli in questo processo di crescita.
Educare significa dunque de-condizionare, che non vuol dire sostituire scelte e convinzioni desunte dall’ambiente di provenienza con quelle dell’insegnante, ma indurre l’educando a riflettere, a riconsiderare il proprio modo di essere e di vivere attraverso nuove conoscenze, prospettando nuovi punti di vista, suscitando interrogativi, stimolando confronti, seminando il dubbio come strumento d’indagine.
Ciò ovviamente non riguarda soltanto la sfera religiosa, ma anche quella morale, affettiva, relazionale, politica… Sì, anche politica! Non subiscono forse anche in questo campo, i ragazzi, condizionamenti ambientali prima dell’età della ragione? E se sì, perché mai la scuola non dovrebbe occuparsene? Strana e assurda pretesa volere imporre alla scuola il silenzio in questo campo. Se essa è chiamata a formare l’uomo e il cittadino, verrebbe meno al suo dovere ignorando la sfera politica.
Il problema non sta dunque nel “se” la scuola debba occuparsi di politica, bensì nel “come”. L’insegnante non deve dare indicazioni di voto, non deve fare proselitismo, propaganda. Ma ha il dovere di sensibilizzare sui valori, sui diritti di libertà, sulla solidarietà, sui diritti sociali, sulla giustizia, sull’uguaglianza… Non sto inventando nulla, sono i valori scritti nella nostra Costituzione! E alla luce di questi valori sottoporre ad analisi critica l’operato delle forze politiche o di singoli politici, sia del passato sia del presente, senza mai imporre il proprio punto di vista, che pure non può rimanere nascosto, semplicemente perché il pensare implica un punto di vista, così come per guardare fuori devo pur aprire una finestra.
Ma così si influenzano gli alunni, obietterà qualcuno. Certo che si influenzano, è inevitabile. Ma si forniscono nel contempo le armi critiche per trasformare questa influenza in uno stimolo alla propria maturazione. Col silenzio forse si eviterebbe di influenzarli? Niente affatto, si invierebbe loro un messaggio di qualunquistica indifferenza per la politica e li si abbandonerebbe senza difesa ai condizionamenti ambientali.
In base a quanto sopra detto, non ci trovo assolutamente nulla di male (anzi!) nel gesto di quegli insegnanti che hanno indossato le magliette rosse per dire quello che per tutti i marinai è la regola e cioè che non si abbandona nessuno in mare! Ma purtroppo non tutti gli insegnanti la pensano così, perché nella scuola vige il pluralismo. Conosco insegnanti che fomentano anche attraverso i social l’odio razziale, ma non mi sembra di aver mai sentito la Meloni e Alemanno indignarsi per questo. Sicuramente non se ne saranno accorti. O forse è il colore rosso che li fa infuriare. Nulla di strano, succede anche ai tori.
Da Facebook